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Von der Leyen in Cina: un po’ più di ‘terre rare’. E poco altro

Von der Leyen in Cina: un po’ più di ‘terre rare’. E poco altro

Vertice Cina e Unione Europea, parafrasando Shakespeare, ‘tanto rumore per nulla’. Poco e niente sul versante commerciale. Zero (a parte le solite dichiarazioni) su quello dell’ambiente e della politica internazionale.
Organizzato per celebrare il 50º anniversario delle reciproche relazioni diplomatiche, l’incontro tra Xi Jinping e Ursula Von der Leyen è servito a incorniciare una lista di buone intenzioni.
E i discorsi, che vi risparmiamo, potrebbero benissimo essere quelli di ieri, di oggi o di domani.

‘Telefono rosso’ commerciale

Se vogliamo, l’unico risultato concreto che gli europei sono riusciti a ottenere dal loro ‘pellegrinaggio’, è stato l’elaborazione di un nuovo meccanismo per risolvere le controversie sugli approvvigionamenti di materie prime e semilavorati. In particolare, il protocollo studiato per velocizzare le forniture, specie di ‘terre rare’, potrà essere applicato d’ora in poi, cercando di superare alcuni mortali strozzature che danneggiano l’industria del Vecchio continente. Una specie di ‘telefono rosso, insomma, che consentirà all’Unione di ‘ammorbidire’, di volta in volta, le dure posizioni burocratiche dei cinesi. Che impongono estenuanti trafile, come espedienti, per rendere pan per focaccia a Bruxelles, che ha cominciato per prima la guerra sui dazi, partendo dai motori elettrici.

I dazi Ue sulle auto elettriche cinesi

La verità nuda e cruda è che l’UE si è presentata a Pechino col cappello in mano, spinta dalla furia crescente dei propri imprenditori, messi praticamente al muro (degli approvvigionamenti) da una geopolitica becera e senza senso. Perché la politica estera, di difesa e militare dell’Unione è nelle mani di commissari-estremisti, che non cercano il dialogo, ma sanno solo roteare la clava. Così, fatti i conti e tirate le somme, l’Europa per andare appresso alla dottrina strategica americana, scrupolosamente anti-cinese (prima con Biden e ora con Trump), ha finito per entrare in rotta di collisione col colosso asiatico. Che ha cominciato a tagliare le forniture (vitali) di terre rare e semilavorati ad alto valore aggiunto, arrivando a rallentare, se non a bloccare, intere linee di produzione.

Materie prime essenziali dalla Cina

«Abbiamo bisogno di una fornitura affidabile e sicura di materie prime essenziali dalla Cina», ha detto la Von der Leyen alla fine degli incontri. «Essere considerati un fornitore e un partner affidabile è chiaramente in linea con gli interessi economici e strategici a lungo termine della Cina»,  ha poi ribadito, aggiungendo: «Ci sarà maggiore trasparenza sulla velocità con cui verrà autorizzata l’entrata in vigore della licenza di esportazione e maggiore rapidità nella consegna di queste materie prime essenziali alle aziende. E se si verifica un ritardo, un ritardo critico, abbiamo ora istituito un meccanismo grazie al quale le aziende possono chiederci immediatamente di mediare e di scoprire il motivo del ritardo nella consegna delle materie prime essenziali. Quindi, un passo avanti molto pragmatico».

Ue di troppo ‘americanismo’

Certo, c’è una bella differenza rispetto a qualche mese fa, quando la Commissione, anziché fare economia, com’è nelle aspettative dei cittadini europei, si aggrappava a formule di contrapposizione politica che parlavano (e parlano) della Cina come ‘avversario strategico’, in ciò seguendo pedissequamente i diktat di Washington. Ma, come dicevamo, la dura reazione di Pechino, che ha mortalmente colpito la catena di approvvigionamento globale, ha gettato nel panico le imprese europee. Così c’è stata una ribellione contro la strategia «a somma zero» che Bruxelles avrebbe voluto imporre alla Cina, specie in alcuni settori (le rinnovabili) che finivano per far pagare, a tutto il resto del sistema, il peso di una guerra commerciale insensata.

  • Se è questo il massimo risultato pratico, per ora raggiunto dalla spedizione UE, bisogna però anche dire, come anticipavamo, che si tratta di un vero e proprio ‘rattoppo’ diplomatico.

Ue ‘pentita’ ma punita

Scrive, a questo proposito il South China Morning Post di Hong Kong (SCMP): «»Non è chiaro come il meccanismo può funzionare in pratica, ma non sembra essere la ‘soluzione strutturale’ che gli europei cercavano». Ciononostante, ha affermato la Von der Leyen, ‘il vertice ha dimostrato che possiamo trovare soluzioni concrete’. Soluzioni, aggiungiamo noi, che alla Commissione sono costate parecchio, in termini di coerenza e di credibilità, dato che per raggiungerle ha dovuto rimangiarsi, nei fatti, molte delle posizioni barricadere contro Pechino. Non solo. Xi Jinping ha sdegnosamente rifiutato di recarsi a Bruxelles, e ha obbligato (per trattare) la Von der Leyen a recarsi in Cina. «A dimostrazione di quanto distanti fossero le due parti – sostiene il SCMP – giovedì non sono riuscite nemmeno a mettersi d’accordo su quali incontri includere nel summit. Mentre gli europei hanno insistito sul fatto che i colloqui della mattina con il presidente cinese Xi Jinping segnassero l’inizio, Pechino ha ritenuto che si trattasse di un incontro bilaterale e di un preludio al vertice con Li Qiang del pomeriggio. Si ritiene – aggiunge il SCMP – che questa differenza sia il motivo per cui Xi ha deciso di non recarsi a Bruxelles per l’evento.

Ue con qualche ragione

Cioè, in pratica, Xi ha costretto la Von dee Leyen a recarsi a Pechino. Intendiamoci, non è che le lagnanze europee siano tutte campate in aria, anzi. Gli aiuti di Stato cinesi, formalmente mirati alla produzione interna, finiscono invece per sovvenzionare le esportazioni, che in tal modo diventano imbattibili dal punto di vista dei prezzi. C’è, in sostanza, uno squilibrio strutturale fra produzione e consumi, che per l’Occidente si traduce in una sorta di ‘concorrenza sleale’. «In settori cruciali, come ad esempio l’acciaio, i pannelli solari, i veicoli elettrici, le batterie e altri, la produzione sovvenzionata non soddisfa la domanda interna in Cina e quindi la sovracapacità prodotta qui viene destinata ad altri mercati», ha sostenuto la Von der Leyen, mettendo il dito nella piaga. Ma dimenticando di dire che anche l’Unione sovvenziona, generosamente, certi tipi di impianti industriali ‘a vocazione ecologica’. Così come sostiene artificialmente in vita diversi altri comparti (certe produzioni agricole), economicamente in perdita strutturale.

Furberie economiche bilaterali

Bisogna dire che anche i cinesi hanno riconosciuto l’esistenza di questo problema nella loro economia, definendolo ‘involuzione’. Un editoriale dell’Economist Daily, citato da SCMP spiega: «Tra i governi locali, questo tipo di competizione autolesionista include sforzi per le imprese attraverso politiche insostenibili, come l’offerta di incentivi eccessivi, agevolazioni fiscali e sussidi, che portano a un aumento del debito e a rischi a lungo termine», ha osservato il giornale. «Per le aziende, la ‘involuzione’ si manifesta in eccessive guerre sui prezzi, mancanza di differenziazione e un’attenzione ai profitti a breve termine a scapito dell’innovazione a lungo termine, il che porta allo spreco di risorse, alla stagnazione e a una riduzione della competitività complessiva». Guerre commerciali locali all’ultimo sangue, dunque, che poi si saldano e si amplificano, fino a diventare un’unica gigantesca sfida concorrenziale per il resto del pianeta. La Cina ha promesso di migliorare questa situazione, che fa volare il debito pubblico delle amministrazioni locali.

E ancora Zelensky e la Russia

  • Ma i problemi dell’economia sono fatti apposta per essere risolti: trattando e cercando il reciproco interesse dei propri cittadini. Cosa che, di questi tempi raramente riesce in politica internazionale. E così la Von dee Leyen, tra microchip, batterie al litio, e vagonate di Disprosio e Samario, ha trovato tempo, voglia e obblighi per infilare nei suoi discorsi anche Zelensky e la Russia.
  • Cosa che fa andare letteralmente in bestia i cinesi, perché si sentono trattati ne più e ne meno come l’Occidente trattava i ‘boxer’ di Pechino alla fine dell’Ottocento. Questa sorta di neocolonialismo travestito con i lustrini del ‘diritto internazionale’, è ormai un alibi troppo logoro. Usare l’economia come arma di guerra, non rende più nobili coloro che lo fanno. Specie se le ragioni sono più meschine di quelle proclamate.

25/07/2025

da Remocontro

Piero Orteca

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