Sembra una ‘velina’ di sessant’anni fa. «La Tass comunica: Su suggerimento della parte americana, è stato raggiunto un accordo di principio sulla possibilità di tenere nei prossimi giorni un incontro bilaterale al massimo livello, ovvero un incontro tra il Presidente Vladimir Putin e Donald Trump».
Forse la prossima settimana
Yuri Ushakov, eminenza grigia della politica estera russa, annunciando ai giornalisti il vertice, ha precisato che l’obiettivo dei due leader è incontrarsi la prossima settimana e che il luogo, già fissato (forse gli Emirati Arabi n.d.r.), verrà reso noto molto presto. Donald Trump, dall’altro lato dell’Atlantico, ha confermato quasi a orologeria la lieta novella. Con un post sul suo account di Truth Social. Anche se, viste le bizze del soggetto, non ci stupiremmo più di tanto se si rimangiasse tutto in un paio di giorni. «Giovedì, dopo l’annuncio della riunione programmata – dice la BBC – il mercato azionario russo è salito del 4,5%. L’incontro bilaterale non includerà l’Ucraina, perché Putin si è rifiutato di incontrare il Presidente Volodymyr Zelenskyy. L’inviato Usa, Steve Witkoff, ha accennato all’idea di un vertice trilaterale tra Putin, Trump e Zelenskyj, ma Mosca non ha rilasciato dichiarazioni. Zelensky – prosegue la Tv britannica – invece ha dichiarato: «L’Ucraina non ha paura degli incontri e si aspetta lo stesso approccio coraggioso dalla parte russa. Sono stati discussi due incontri bilaterali e uno trilaterale. È ora, dunque, di porre fine alla guerra».
La recita del concordato
Comunque, era stato già tutto abbozzato a tavolino dagli ‘sherpa’, i diplomatici che dietro le quinte fanno un lavoro preparatorio ‘sporco’. Così, quando il Cremlino e la Casa Bianca, all’unisono, hanno annunciato l’imminente vertice dopo la visita di Steve Witkoff a Mosca, la sorpresa tra gli analisti è stata molto relativa. Quasi tutti sono convinti, da un pezzo, che gli americani vogliano chiudere la faccenda il più velocemente possibile, per dedicarsi (è ovvio) al fronte principale. Cioè, all’Indo-Pacifico e al loro vero nemico pubblico numero uno, che è la Cina. Il drastico ultimatum di Trump, rivolto a Putin perché cambiasse registro, scadeva oggi. Ma, evidentemente, qualcosa si è mosso durante i colloqui che l’inviato speciale del Presidente Usa ha avuto con il leader russo. Come trapelato da indiscrezioni riprese da alcuni organi di stampa (Bloomberg, The Bell, il Guardian), il Cremlino potrebbe aver proposto di sospendere gli attacchi a lungo raggio da entrambe le parti. Si tratta di bombardamenti rovinosi, che toccano la popolazione civile e che amplificano drammaticamente gli echi di una guerra che sembra molto complicato fermare. Trump potrebbe anche essersi convinto a entrare direttamente in campo, spinto da un possibile ammorbidimento delle posizioni russe sulla questione territoriale. Vista finora come un sostanziale ostacolo, da parte ucraina, alla sottoscrizione di qualsiasi accordo.
Non territorio ma neutralità
Secondo il New York Times, gli adviser di Putin gli hanno suggerito di non essere troppo intransigente con Trump e di dare prova di ‘malleabilità’, concedendo lenza in settori che non sono strategicamente rilevanti per la trattativa di pace. In sostanza, ciò che preme maggiormente a Putin, sostiene il ‘Times’, non è tanto guadagnare alcune migliaia di chilometri quadrati in più di territorio, quanto piuttosto avere la ‘neutralizzazione’ della futura Ucraina. «Persone vicine al Cremlino – scrive il giornale – così come analisti politici, affermano che le richieste di Putin (escludere l’Ucraina dalla Nato, limitare le capacità militari ucraine e gettare le basi per un governo di Kiev più favorevole a Mosca) sono per lui più importanti dei dettagli sul territorio che la Russia dovrà controllare». Si tratta di una riflessione per certi versi scomoda, perché finora la narrativa occidentale aveva sempre parlato di questioni territoriali, mettendo in secondo piano (e anzi quasi irridendo) le preoccupazioni sulla sicurezza nazionale di Mosca.
Carnegie Russia Eurasia Center
È questa la tesi di Tatiana Stanovaya, ricercatrice senior al Carnegie Russia Eurasia Center, la quale ha sottolineato che la Russia «fin dall’inizio, non ha formalmente demarcato i confini delle quattro regioni annesse. Dimostrando così che c’è sempre stata una certa flessibilità sulla questione territoriale. E ciò, dunque, non esclude la possibilità che Mosca sia aperta allo scambio di alcuni territori. La cosa più importante per Putin è la Nato – chiarisce la specialista – e queste garanzie ferree che l’Ucraina non ne farà parte e che i Paesi dell’Alleanza atlantica non svilupperanno una presenza militare in Ucraina». Su queste basi già si infittiscono i ‘rumors’ che dipingono possibili bozze di accordo, per una soluzione di tipo ‘coreano’, cioè un cessate il fuoco o, se si vuole, un ‘armistizio di lungo corso’, senza firma di paci compromettenti. Un escamotage per salvare la faccia e fermare in qualche modo una mattanza senza senso. Ecco, secondo quanto scrive il Daily Telegraph, la proposta americana per porre fine al conflitto. Si tratta dello stralcio di un articolo, ripreso dal quotidiano polacco Onet.
Il piano Trump sull’Ucraina
Il Piano-Trump sull’Ucraina si baserebbe su tre linee d’indirizzo imprescindibili:
- Si concorderebbe un cessate il fuoco, non una pace a lungo termine.
- Ci sarebbe il riconoscimento americano delle conquiste territoriali russe, per una durata di tempo prestabilita. Ad esempio, 49 o 99 anni.
- La maggior parte delle sanzioni imposte alla Russia verrebbero ritirare e sarebbe garantito il ritorno alla cooperazione energetica a lungo termine.
«Finora – scrive il Telegraph – non è stata offerta alcuna garanzia che impedisca all’Ucraina di entrare nella Nato. Anche se Donald Trump ha già affermato che non permetterà che ciò accada. Secondo quanto riferito – inoltre – la Russia non avrebbe ricevuto alcuna garanzia che l’Occidente avrebbe smesso di armare l’Ucraina». Il difetto del Piano-Trump? Esclude l’Europa dal pentolone dei decisori. A Berlino, Parigi e Londra già masticano amaro. Per non parlare di Bruxelles. Merz, Starmer e Macron in questo caso giocano una partita a sparigliare: non vogliono la «pace di Trump». E meno che meno un accordo in cui l’ultima parola non sia quella dell’Ucraina. O di Zelensky?
C’è un’ostinazione sospetta, nel pur sacrosanto sostegno alla battaglia ucraina, nel far finta di non vedere le tante cose che non tornano. A cominciare dalla dilagante corruzione e dal (mancato) controllo degli stramiliardari fondi che arrivano a Kiev. Chi controlla chi? E soprattutto, chi controlla i controllori? Chi si ostina a tenere ancora aperta una guerra, che si risolverà solo con una brutta pace. O con un conflitto generalizzato, ancora più devastante?
08/08/2025
da Remocontro