Lo zombie minaccia, terrorizza, annichilisce, ma non è altro che un morto che cammina. Un’accolita di fanatici miliardari lo ha celebrato in un grande sabba di soldi e potere che lo ha insediato alla Casa Bianca. Due mesi di spettacolo planetario degni di un film hollywoodiano sono bastati ad arrivare al punto che siamo.
Disastro annunciato
«Mai visto un disastro simile nei 50 anni che ho vissuto nel cuore della finanza. Ed è stato un disastro chiaramente annunciato» ha dichiarato Steve Rattner, ex capo della task force che salvò l’industria Usa dell’auto durante la presidenza Obama. Tutto ciò accade perché Trump non sta ragionando in termini economici ma in termini politici, seguendo una visione autoritaria, imperiale e folle. Sì folle, perché Trump sta cercando di spingere le imprese industriali di tutto il mondo a rilocarsi negli Stati Uniti pur di evitare i dazi. L’esempio di Nike vale per tutti. La metà della produzione delle famose scarpe è destinata a 450 mila dipendenti in 130 fabbriche nel Vietnam.
Nike vietnamita
Un operaio vietnamita guadagna circa 8/10 dollari l’ora, quello americano 35/40 dollari all’ora. Chi può mai pensare che quelle scarpe possano essere prodotte in Usa senza triplicare il prezzo di vendita? E così via per tutte gli altri prodotti che dovrebbero essere fabbricati nell’imminente età dell’oro degli Stati Uniti.
Piena occupazione e prezzi adeguati
Oggi il mercato del lavoro è vicino alla piena occupazione. Se avete bisogno di una persona per le pulizie di casa a Philadelphia o a Chicago la dovrete pagare 40 dollari all’ora e per la maggior parte non sarà di nazionalità americana. Questo è il mercato del lavoro negli Stati Uniti del 2025.
Altra cosa il reddito degli americani
Ne riprende i dati l’economista Richard Koo del Nomura Research Institute che il Corriere della Sera ha incontrato a Cernobbio. Le delocalizzazioni verso la Cina e verso il Messico degli impianti dell’acciaio o dell’auto, la deindustrializzazione della Rust Belt e di un’infinità di altre aree produttive, hanno impoverito 38% degli americani che non possiedono azioni quotate alla Borsa di New York e non hanno altro che debiti: sulla casa, sulla carta di credito o per aver mandato il figlio al college. In altri termini, come ormai noto, questi sono gli elettori di Donald Trump. Gente a cui la globalizzazione ha fatto perdere la dignità e che nutre un risentimento incendiario, linfa vitale per il consenso di Trump.
Poi l’altra America
Il 62% della popolazione che detiene azioni quotate a Wall Street. Sono 162 milioni di americani. Federico Fubini ha calcolato che queste persone hanno perso in media 47.500 dollari di risparmi dall’inizio del crollo delle borse. In America quindi coesistono due mondi diversi, con percezioni opposte verso la globalizzazione. I primi ne sono vittime, i secondi ne hanno beneficiato. Sulla carta i dazi imposti al mondo intero tendono a far gli interessi della parte più debole, le vittime della globalizzazione. Ma qui ritornano le sneakers della Nike.
Saranno disposti gli americani ‘diseredati’ a produrre scarpe Nike a un costo orario inferiore alla media? No. Potranno acquistarle a un prezzo superiore all’attuale? No
Recessione minaccia reale
Con la minaccia di una recessione che diventa realtà, Trump non potrà dare seguito alla volontà di trasformare il capitalismo americano in un controllo economico esercitato dal centro con un modello oligarchico (con i Musk e gli altri big del tech). Le marce indietro sui dazi sono da mettere in conto, in tempi assai brevi, così come qualche trattativa o accordo portati a termine.
Ma il tempo scorre e potrebbe essere già tardi per rilanciare sull’età dell’oro. In molti iniziano a chiamare il bluff. La Cina su tutti, ma anche i canadesi fanno la voce grossa, e così giapponesi e coreani. Solo un’Europa invertebrata sembra non sapere da che parte stare, divisa tra scudieri di Elon Musk e un’èlite inconcludente.
09/04/2025
da Remocontro