Obbedienti servitori di Washington in politica estera e nazionalisti all'interno dell'Unione europea.
Dopo le dichiarazioni di Francia, Gran Bretagna e altri Paesi disposti a un riconoscimento eventuale della Palestina si delinea il quadro effettivo dello strumento diplomatico del governo di Meloni e Tajani. E non è davvero dei migliori. La subalternità imposta dal governo italiano agli Stati Uniti ha messo la sua povera linea diplomatica sui binari di un posticcio atlantismo, un falso e poco efficiente attivismo sul fronte della guerra in Ucraina e su una confusionaria strategia da cercare di applicare in Africa.
L’Italia si è conformata proattivamente ad ogni scelta di Washington finendo per essere il “cavallo di Troia” statunitense, o meglio trumpiano, in Europa. Sin dall’elezione di Trump, Meloni ha costruito un, a volte immaginario, rapporto speciale con gli Stati uniti, fingendosi equilibrista in grado di tenersi stabile fra interessi europei e quelli statunitensi. In realtà ha creato una narrativa rivolta soprattutto ai mezzi di comunicazione europei che, ad onta di essere contraddittoria – quando ad esempio ha affermato che Italia e USA sono sorelle e sono in buoni rapporti anche quando sono in disaccordo (sic!) – ha sempre parteggiato strenuamente per Washington. L’attivismo italiano in favore degli Stati uniti ha portato l’Europa a pendere per un accordo sui dazi del tutto favorevole a Trump che porterà a degli esiti disastrosi proprio su gran parte della produzione delle classi di beni su cui la destra italiana ha basato la propria politica economica. Ad esempio il settore delle eccellenze alimentari tanto elogiato del governo meloniano, al punto da diventare caratterizzante per il ministero del fedelissimo Lollobrigida, sarà fra i più esposti (secondo uno studio di Unimpresa) e subirà dai dazi un contraccolpo che può essere letale per una importante percentuale di piccole imprese.
L’Italia, con la sua frenesia atlantista ha inoltre costantemente attuato un atteggiamento di complicità nel genocidio commesso da Israele nei confronti della popolazione palestinese, non votando mai alcuna Risoluzione dell’Assemblea generale che chiedesse un cessate il fuoco se non nell’ultimo periodo. Ma non solo. Roma non si è assolutamente discostata dalle posizioni statunitensi e prima di qualsiasi iniziativa il capo dell’esecutivo ha sempre interpellato Washington o il governo israeliano.
É poi forse ancora più grave (perché tenuto sotto traccia) quanto sta avvenendo in Africa e con il cosiddetto piano Mattei, col quale il governo Meloni si è riempito la bocca sin da subito e con il quale in concreto si è ottenuto ben poco, se si esclude la collaborazione con la Tunisia e il complicato (conseguente) gioco a tre con i governi libici che è già stato frutto di una umiliazione per alcuni dirigenti europei. Soprattutto poi non si comprende, da un punto di vista della legalità internazionale, come l’Italia abbia potuto addestrare militari dell’esercito di un governo che formalmente non riconosce. Ad onore del vero su questo particolare punto si deve ammettere che la situazione libica è molto complessa e certe scelte sono state forse dettate più da un eccessivo attivismo che da una inclinazione politica. Sembra infatti, a partire dalle ingarbugliate dichiarazioni del ministro degli Affari esteri Tajani sulla bandiera europea, che ai vertici della Farnesina (quelli politici per intendersi) semplicemente manchi ogni competenza per poter condurre una politica estera mirata e non sia quindi una questione di prese di posizione politiche. Alcuni esempi in questo senso sono illuminanti come la visita del ministro in Egitto ad aprile durante la quale Tajani ha plaudito gli sforzi egiziani per garantire il cessate il fuoco a Gaza. Il piano egiziano è però essenzialmente differente da quello Usa sostenuto da Trump. Sembra quindi che in molti casi la dirigenza del ministero di Tajani sia quantomeno sconnessa dalla realtà e impreparata ad affrontarla senza un deciso indirizzo della presidenza del consiglio dei ministri.
Gli ultimi eventi, con i quali Francia e Gran Bretagna, molto sottilmente, utilizzano la posta del riconoscimento della Palestina contro Israele e in un certo qual senso contro gli Stati Uniti dimostrano però, e finalmente, il vicolo cieco in cui ci hanno portato Meloni e Tajani.
L’Italia, dopo la sua formale sottomissione a Washington non potrebbe mai permettersi, pena la sua credibilità internazionale, di proporre un tale innalzamento della posta e neanche uno simile. Così diventa chiaro il nostro ruolo come Paese: obbedienti servitori di Washington da una parte, e suoi vassalli dall’altra, all’interno dell’Unione europea. La questione dei dazi è risuonante da quest’ultimo punto di vista e non può che riportarci anche a quanto giustamente notato dal noto reportage della rivista Time: un Primo ministro con due facce, una decisamente nazionalista in Europa (a corroborare i vaghi ideali della maggioranza che la ha supportata) e una sordidamente atlantista dall’altra parte dell’Oceano (per ottenere favori e simpatie che finora ha saputo captare anche se solo in parte).
08/08/2025
da Left