A che punto è la situazione della “pace” in Ucraina? Parlando al canale “Politeka”, il politologo ucraino Konstantin Bondarenko afferma che, alla fine del conflitto, quando quella fine verrà, non ci sarà “un'altra Ucraina”, ma che sarà tutto Russia.
A giudicare dallo status dei territori passati alla Russia, è molto più appropriato definire il congelamento del conflitto “scenario finlandese”, piuttosto che coreano, dice Bondarfenko. Secondo lo “scenario coreano”, si hanno due entità indipendenti; ma, nel caso ucraino, «i territori occupati, annessi, si uniscono alla Federazione Russa». Certo, Kiev non li riconoscerà diplomaticamente, ma, di fatto, «non costituiranno “un'altra Ucraina”: saranno territori inclusi nella Costituzione russa; saranno parte della Federazione Russa». Punto e basta.
E, a proposito dell'ormai ritrito “contingente di pace” franco-britannico, Bondarenko afferma che la sua presenza in Ucraina significherà «bare in Europa». I ”guerrieri" del contingente franco-britannico in Ucraina «non rappresenteranno nulla; ma, per il ruolo di vittime, in nome dell'escalation, sono proprio ciò che serve», dato l'interesse di Parigi e Londra al proseguimento del conflitto e, anzi, alla sua intensificazione. Dal punto di vista bellico, quelle truppe non rappresentano assolutamente nulla; ma ogni presenza di forze straniere in Ucraina, che finiscono bersagliate da razzi o mortai, significa l'arrivo in Francia e Gran Bretagna di decine e decine di bare, il che costituirà un ulteriore argomento per continuare la guerra. Questo sarà, dice Bondarenko, un pretesto necessario «non tanto ad ascoltare gli Stati Uniti, quanto a condurre in Ucraina» la politica europeista; dato che l'Ucraina «è solo un poligono per gli interessi di altri. Da tempo, questa guerra non è nell'interesse dell'Ucraina. Sin dal principio non è stata nell'interesse dell'Ucraina». Degli oligarchi e dei golpisti di Kiev, però, sì che lo è stata e lo è tuttora.
Tutt'altro atteggiamento, rispetto a Bondarenko, da parte di un nazionalista quale il deputato Aleksej Goncharenko, il quale si dice scioccato dall'indecisione della cosiddetta “coalizione dei risoluti”: Kiev vuole dalla UE «sistemi contraerei, la confisca degli asset russi e l'invio di truppe»; non sa di che farsene di vertici, dichiarazioni, incontri. Quanto «possiamo continuare a parlare di “coalizione dei risoluti”?», sbotta il golpista. Si sono riuniti e «si è scoperto che non sono poi così decisi, e che bisognava «riunirsi di nuovo, riunirsi di nuovo e riunirsi di nuovo, e le decisioni chiave non vengono prese». Kiev non vuole discorsi, sbuffa Goncharenko; Kiev aspetta tre passi dall'Europa, per i quali non ha bisogno degli Stati Uniti: la confisca dei beni russi, la concentrazione della difesa aerea lungo i confini polacco-ucraino e rumeno-ucraino. Ma, soprattutto, vuole l'invio di un «contingente militare. Non una delegazione militare per un giorno, ma un contingente militare», da schierare lungo i confini ucraino-bielorusso e ucraino-moldavo, nel settore della Transnistria, così da liberare unità ucraine per il nord e l'est. Questo, «sarebbe un passo concreto... e anche un segnale per Putin: non raggiungerai i tuoi obiettivi massimi. Noi siamo qui, geopoliticamente questa è Europa», mentre tu sei Asia, sottintende Goncharenko; Kiev è la “civiltà” contro la “barbarie” dei “moskaly”: parole che allargano il cuore ai pennivendoli di Corriere, Stampa, Repubblica.
Abbastanza più realista il politologo ucraino Vadim Karasëv, secondo il quale gli europei, da soli, senza gli USA, non potranno continuare a lungo a sostenere Kiev. Intervenendo sul canale online “Wild Live”, alla domanda sul perché Trump non riesca a garantire molto di quanto afferma, Karasëv risponde che ciò dipende in larga parte dalla resistenza europea e ucraina. L'Europa sostiene l'Ucraina finanziariamente e militarmente; ma «non può durare a lungo. Anche se l'Europa rimanesse quella antecedente l'inizio della guerra commerciale di Trump, non sarebbe comunque in grado di finanziare e aiutare militarmente a lungo l'Ucraina con nuovi pacchetti di armi e altro». Basti l'esempio della fantomatica alternativa a “Starlink” se, per esempio, Mosca dovesse ritirare “Starlink” dal fronte: già ora compaiono dichiarazioni da parte dell'azienda francese che produce un analogo di “Starlink”, secondo cui non si riuscirà a sostituire molto presto “Starlink” con il modello francese; «questo se Trump ai accorderà con la Russia», ha detto Karasëv.
In effetti, afferma un altro ucraino, l'ex deputato ed ex leader della nazionalista UNA-UNSO, Andrej Škil, Trump verrà raffinatamente a capo delle resistenze di Zelenskij al cessate il fuoco e lo farà per mano di Macron e Starmer. A detta del nazista, ora emigrato in Francia, Washington cerca di buttarsi la guerra alle spalle a spese dell'Ucraina: Trump vuol «passare alla storia come pacificatore; gli prude il senso di non appartenenza alla stessa cerchia di Obama... gli USA non giocano nella stessa squadra dell'Ucraina. È vero che non giocano nemmeno, almeno non ancora, nella squadra avversaria. Non si servono di quanto detto nell'ultimatum... probabilmente non se ne parlerà ad alta voce, ma ci saranno pressioni subdole»; verranno esercitate non tanto su Kiev, quanto sui francesi, sul cancelliere tedesco, sul primo ministro britannico, affinché siano loro a «premere sull'Ucraina, del tipo “basta, smettetela, risolveremo tutto dopo, finiamola qui; dopo vi armeremo così tanto, vi sosterremo così tanto che tutto andrà bene"».
Ma, per gli ukronazi, la morte in massa di soldati ucraini è una “buona causa” e, per loro, è un bene che la carneficina continui. Il politologo Pavel Shchelin rivolge un ammonimento agli ucraini, in particolare a tutti quelli spediti in prima linea: è ormai tempo, dice, che si riconosca l'esistenza di un clan di nazi-banderisti, che si sottraggono in massa al fronte, ma che sono pronti a sacrificare la vita di coloro che, al fronte, ci sono per davvero, proprio come gli europei sono pronti a sacrificare l'Ucraina, standosene e casa loro.
I nazionalisti ucraini, afferma Shchelin, costituiscono un «gruppo ideologico, per il quale una sconfitta in guerra significherebbe una potenziale sconfitta del sogno ucraino, che i loro ideologi, a partire sin dalla metà del XIX secolo e fino ad oggi, hanno loro affidato per testamento di realizzare. Quella del nazionalismo ucraino è un'idea molto concreta, nata a metà del XIX secolo nel quadro del generale sviluppo dei nazionalismi est-europei e acquisisce forme molto specifiche nell'opera dei suoi massimi “classici” - Dontsov e Šukhevic».
Ora, quantunque, a nostro parere, si possa quantomeno disquisire sulla categoria di “gruppo ideologico”, in riferimento ai nazi-nazionalisti ucraini, è comunque «semplicemente necessario riconoscere» che, come afferma Shchelin, quel clan nazi-banderista esiste e che quegli individui hanno un sistema di «valori, punti di vista su come dovrebbe essere organizzato il mondo, per i quali sono pronti a combattere, morire». Ma, ci sia consentito aggiungere: pronti a far combattere e morire tutti gli altri, in primo luogo i giovani ucraini, accalappiati e spediti al fronte per gli interessi europeisti.
Ed è importante ricordare, dice ancora Shchelin, che «nel nucleo di questo gruppo c'è effettivamente la stessa divisione in “cavalieri prescelti”, “coscienti”, da un lato, e coltivatori di mais, guardiani di porci, dall'altro e che, in via di principio, l'eliminazione dei secondi non dispiace ai primi, «per la creazione di questa Ucraina ideale». Basti ricordare le parole di Roman Šukhevic, secondo cui se della popolazione ucraina rimane la metà, ma, per questo, essa diventerà “più ucraina”, allora deve esser fatto. Per loro, la «vita umana non ha valore e la guerra è stata l'apice del trionfo di questo gruppo su scala ucraina». Insomma, ancora oggi, tra i “guerrieri della steppa”, vale la vecchia divisione tra “prodi cosacchi” e coltivatori di grano: più o meno la stessa divisione che vige nella gerarchia carceraria, tra “autorità” e “scagnozzi”. Il cosacco vive di sciabola e in libertà e il suo mestiere è la guerra; il coltivatore ara la terra e vive del suo lavoro: il primo tratta il secondo, se va bene, con condiscendenza.
Tale condizione fa proprio al caso dei guerrafondai europeisti, che intendono continuare il conflitto servendosi della carne da cannone ucraina che, per i signori di Bruxelles, non è altro che “materiale di consumo” nella confronto bellico con la Russia. Proprio una simile condizione è apparsa quanto mai evidente, afferma Vladimir Skachkò su Ukraina.ru, in prossimità di due importanti eventi politico-diplomatici: le consultazioni russo-statunitensi a Istanbul del 10 aprile e la riunione a Bruxelles del gruppo di contatto sull'assistenza a Kiev, denominata “Ramstein”, fissata all'11 aprile, cui per la prima volta, tra i rappresentanti di oltre 50 paesi, non ci sarà , quantomeno direttamente, il Segretario alla difesa yankee. Basti dire che a ovest c'è una spaccatura lungo la falda della “linea ucraina”: gli USA dicono di volere la pace e intenderebbero costringervi, oltre Kiev, anche la Russia e la bellicista Europa, rappresentata da UE e NATO che però, per parte loro, la pace non la vogliono e pretendono anzi che l'Ucraina sia usata come leva di pressione sulla Russia, per esaurirla sul campo di battaglia. Aspetto ancor più importante, gli USA stessi hanno ancora bisogno dell'Ucraina come strumento a doppio taglio: manganello sia contro la Russia che contro l'Europa.
Sembra che gli Stati Uniti, dice Skachkò, al momento non dispongano di sufficiente forza per concludere vantaggiosamente la questione. È per questo che il «collaudato, addomesticato, pressoché schiacciato sotto i neonazisti, scaduto, quasi-führer Vladimir Zelenskij viene usato di nuovo a seconda delle necessità. Se a Washington lo vorranno», metteranno qualcun altro al suo posto, lasciando il nazigolpista-capo ai vari Macron, Starmer, von der Leyen e Kallas. Se vogliono il contrario, riprenderanno ad armare generosamente Kiev per lanciarla in guerra contro la Russia. Non vinceranno, dice Skachkò, ma al fronte «renderanno la vita difficile alle forze russe; l'Occidente collettivo ha ancora abbastanza forza per farlo».
In ogni caso, significa qualcosa la somma di un trilione di dollari destinati da Washington al solo esercito yankee. Le spese militari servono alla guerra; e sia pure l'Ucraina a farla, seminando la propria terra di tombe in cui gettare la chair à canon del proprio stesso popolo. E sia pure ancora l'Ucraina a colpire il territorio russo, come ha fatto, per esempio, nella notte tra 8 e 9 aprile, quando le difese aeree di Mosca hanno intercettato e distrutto 158 droni ucraini diretti su varie regioni russe. Se “Ramstein” aprirà ancora la borsa a Kiev, gli attacchi ucraini diventeranno ancora più sanguinosi, costringendo Mosca a rispondere: invece della “pace”, si avrà una “escalation”.
La qual cosa potrebbe risultare vantaggiosa per gli USA: consentendo alla Russia di procedere ancora nell'offensiva contro le forze ucraine, si potrebbe rendere Kiev più remissiva al compromesso, come ipotizza su “UkrLife” il politologo ucraino Andrej Ermolaev. Potrebbe essere dunque questa la ragione che sta dietro l'altalena diplomatica sulla posizione dell'Ucraina, sul cosiddetto fondo di ricostruzione, su cosa sarà, se gli Stati Uniti prenderanno il pieno controllo degli asset strategici dell'Ucraina, su quanto sarà accomodante la leadership ucraina nelle relazioni bilaterali. E, a tal scopo, l'amministrazione USA potrebbe giocare la carta della pausa. Un simile scenario, afferma Ermolaev, è foriero di rischi per Kiev, sia militari che politici. Mosca potrebbe contare proprio su questo e allora «il discorso su una sorta di cessazione delle ostilità verrebbe condotto da una posizione completamente diversa», per costringere Kiev a concessioni, negoziati e reset da posizioni più favorevoli a Washington.
Intanto, emozionati per l'incontro con “l'autorità” golpista Andrej Ermak, i pennivendoli del Corriere stralunano per le parole del tagliagole assurto a consigliori di Vladimir Zelenskij sulla travolgente velocità con cui gli «europei stanno armandosi»; una rapidità «che solo poco fa era impensabile». D'altronde, cos'altro possono fare i nazisti, massacratori del proprio stesso popolo e a cos'altro possono plaudire i fogliacci di guerra europeisti? «L’Europa è la nostra casa e dobbiamo difenderla assieme», tronfia il “cavaliere prescelto” Ermak, “primus”, all'interno di quello che il politologo ucraino Igor Reiterovic, sulla svizzera Neue Zürcher Zeitung, definisce il nuovo “feudalesimo” di un potere concentrato nelle mani dell’ufficio presidenziale. A cos'altro può inneggiare il nazigolpista Andrej Ermak, se non rinnovare le odi in auge a Kiev una decina di anni fa sul “vallo europeo” contro la barbara “orda asiatica” che viene da est.
Siete in buona compagnia, guerrafondai da sempre del Corriere.
11/04/2025
da L'Antidiplomatico