Quasi ‘a orologeria’, nella crisi iraniana è ricomparsa la Russia, che accelera in Ucraina, mentre Trump proponeva il suo tradizionale voltafaccia e frenava su Teheran. E allora, sospetti e dubbi sull’ennesimo imbroglio mediorientale si rafforzano.
Trump e l’azzardo vietato
Per gli Stati Uniti attaccare l’Iran sarebbe una vera e propria ‘asineria’, priva di qualsiasi senso strategico. La Persia degli ayatollah, per molti motivi, potrebbe rivelarsi un altro Vietnam e assorbire truppe, mezzi e risorse che mancherebbero su altri fronti (Europa Centrale e, soprattutto, Indo-Pacifico). Quindi, con un occhio al Golfo Persico e l’altro a Washington, seguendo la cronaca, ma soprattutto i bisbigli e i sussurri diplomatici, qualche analista già supponeva che Trump dovesse per forza darsi una calmata: stava spaccando l’America e mezzo Partito repubblicano, oltre alla sua stessa Amministrazione.
La guerra che l’America non vuole
I sondaggi parlano chiaro. Quello del Washington Post dà 20 punti di differenza a favore del ‘non intervento’ contro l’Iran. Ma, in generale, gli elettori dei due schieramenti si sentono ‘traditi’ da Trump, che nel programma per le Presidenziali aveva promesso ‘mai più guerre’. Il partito repubblicano, tornato alla Casa Bianca, è già in subbuglio, e i ‘neoisolazionisti’ accusano il gruppo dei ‘Neocons’ di essere dei guerrafondai, legati al complesso militare-industriale. Tutti contro tutti, insomma. Un duello rusticano, del quale in Europa giungono solo echi fin troppo ovattati. Ma che fa capire come, nella storiaccia del confronto israelo-iraniano, l’uranio arricchito dagli ayatollah, non sia proprio il più urgente dei problemi. Perché, Trump ‘sa’ come stanno veramente le cose. Glielo hanno ‘cantato’ in coro i suoi 18 Servizi segreti, coordinati nel Direttorato dell’Intelligence da una sua ‘pupilla’: Tulsi Gabbard.
Riffa strategica, allibratori o statisti?
Allora, il quadro si complica e si fa fatica a capire. Cosa maschera questa gigantesca riffa strategica, che sembra giocata non da statisti, ma da allibratori? Una scommessa. Fatta seguendo interessi diversi, tutti però comodamente sigillati sotto il coperchio del nobile impegno alla «non proliferazione nucleare». La crisi non è certo di tipo ‘regionale’, ma ha potenziali ricadute assolutamente planetarie. Influenza, in sostanza, il riassetto degli equilibri geopolitici che vanno dall’Africa al blocco Euro-asiatico. E qui vogliamo introdurre il ruolo di un «convitato di pietra», che ha da sempre la capacità di inserirsi negli scenari internazionali di crisi, per trarne il massimo profitto col minimo sforzo: la Russia di Putin.
Washington-Tel Aviv-Tehran
Ecco, ragionare sulla parte che Putin sta giocando nel triangolo Washington-Tel Aviv -Teheran, aiuterà ad allargare il grandangolo, per comprendere il groviglio di interessi che alimenta questo conflitto. L’impressione è che fra Trump e Putin ci sia uno scaltro (e probabilmente voluto) gioco delle parti. Ci spieghiamo. La Russia ha appena siglato una ‘partnership strategica’ (alcuni mesi fa), nel settore della difesa, con gli ayatollah. Ma l’accordo, almeno ufficialmente, non prevede assistenza militare diretta, né vincola Mosca in qualche modo. D’altro canto, l’industria degli armamenti iraniana già da anni sostiene lo sforzo bellico russo in Ucraina, specialmente con la fornitura di droni e missili. Ma dove i rapporti sono eccellenti (e servono a entrambi per scavalcare le sanzioni) è in campo economico. Tutto sembrerebbe, dunque, indicare se non un’entrata in campo, almeno una ovvia (e congrua) «neutralità qualificata». Cioè, un aiuto, indiretto ma tangibile da parte russa.
Il Cremlino ha cambiato narrativa
Per alcuni analisti che vedono la crisi come la quintessenza della ‘realpolitik’, in fondo le cose stavano andando benone per Vladimir Vladimirovic. Scrive la rivista Usa, Time: «In effetti, le turbolenze in Iran potrebbero persino rivelarsi utili per la Russia, almeno nel breve termine. I prezzi del petrolio russo sono aumentati del 15% dopo lo scoppio del conflitto. Ancora più grave, distoglie l’attenzione dalla guerra in Ucraina, già messa da parte dopo che Trump ha annullato l’incontro del 17 giugno con il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky per concentrarsi sul Medio Oriente». «L’Ucraina, dunque, subirà il danno militare e politico più grande in questa situazione, a parte l’Iran stesso», ha affermato Ruslan Pukhov, direttore del think tank moscovita Center for Analysis of Strategies and Technologies, e riportato dal Guardian. «Una nuova guerra in Medio Oriente – aggiunge Pukhov – non solo distoglierà l’attenzione del mondo dalla guerra in Ucraina, ma a quanto pare contribuirà anche al riorientamento finale degli Stati Uniti sulla fornitura di assistenza militare a Israele»
Ma Netanyahu esagera
Da una guerra nel Golfo Persico ‘a bassa intensità’ Putin ha tutto da guadagnare. Diventa però inaccettabile il tentato cambio di regime e la minaccia di uccidere Alì Khamenei. Cosa che, come avverte Dimitri Peskov, portavoce del Cremlino, aprirebbe il «Vaso di Pandora». E con quale sorpresa, è facilmente immaginabile. Certo, non era questo l’eventuale (o tacito, fate voi) patto con Trump. ‘Io mi vendo un po’di Ucraina, tu ti vendi un po’ di Iran e ci incontriamo a metà strada. E tutti e due facciamo fuori quegli antipatici e supponenti di europei che, con Macron in testa, parlano sei mesi, non sono d’accordo manco sulle virgole e infine pigliano una decisione lineare, come un quadro di Picasso. Quello del Periodo Blu’.
Divagazioni oniriche?
- Fatto sta che Trump si è preso ‘due settimane di pausa’ e che non permetterà mai, alla Triade (Starmer, Merz e Macron), di chiudere alcun accordo con gli ayatollah. Nel frattempo, Putin continuerà ad avanzare a piccoli passi nel Donbass, mentre la situazione degli ucraini si fa ogni giorno che passa sempre più disperata. Netanyahu, da parte sua, ha bisogno di tenere il Paese in piena emergenza, per scansare i giudici e salvare la pellaccia (politica). Intanto accumula medaglie sul campo di battaglia, da appuntarsi sul petto ed entrare nel Pantheon dei Padri della patria. Forse gli iraniani non potranno più avere centrali nucleari, ma lui di sicuro, nel frattempo, avrà desertificato sia Gaza che la Cisgiordania. E gli Stati del G7, si sentiranno più sicuri e a posto con le proprie coscienze.
Nel frattempo, si è saputo che i bambini palestinesi della Striscia non soffrono più solo per la fame. No, dice l’Unicef, adesso laggiù muoiono come le mosche anche perché manca l’acqua. Una siccità – scrive la Reuters – provocata dall’uomo”.
22/06/2025
da Remocontro