ATTUARE LA COSTITUZIONE PER CAMBIARE L'ITALIA

ATTUARE LA COSTITUZIONE PER CAMBIARE L'ITALIA

ATTUARE LA COSTITUZIONE PER CAMBIARE L'ITALIA

Trump bullizza il mondo ma ora rischia in casa

Trump bullizza il mondo ma ora rischia in casa

‘L’estate dello scontento?’ titola l’ISPI. «Donald Trump sotto pressione: tra crisi internazionali, malumori nel GOP e caso Epstein, l’estate mette a nudo le prime crepe del secondo mandato». A sei mesi dall’inizio della sua seconda presidenza, Trump sta ottenendo ciò che vuole su molti fronti. ‘Ma…?

‘Ma Trump…’ . Relazioni Transatlantiche e altro

Trump, sintetizza l’Istituto di studi internazionali, «Sta scardinando il sistema globale di libero scambio, stringendo accordi commerciali che validano la sua tecnica di bullizzare gli interlocutori e ha strappato promesse di un enorme aumento della spesa militare ai membri della NATO». Mezzo mondo lo odia o almeno lo disprezza, e anche chi lo dichiara amico, lo teme. Bullo e inaffidabile sempre. «Dentro gli Stati Uniti, il presidente ha costretto il Congresso e le grandi università a sottomettersi. Costretto studi legali privati a svolgere attività pro bono (gratis) in suo favore e usando il sistema giudiziario come arma contro i suoi nemici. Di fatto ha sigillato il confine meridionale e dichiarato guerra agli immigrati irregolari sui due lati della frontiera», la attenta sintesi di Alessia De Luca.

  • Che pone una domanda chiave. «Eppure, sembra lecito chiedersi: quelle che il presidente americano esibisce come ‘vittorie’ lo sono per il popolo americano o per se stesso?». Già la domanda contiene parte della risposta.

Egocentrismo maniacale inciampi occultati

Alcuni inciampi chiave. La guerra a Gaza che ‘doveva risolvere con due telefonate’ e quella ucraina ‘risolta in 24 ore’ si sono trasformate in una crisi umanitaria spaventosa a Gaza, mentre per l’Ucraina ogni nuovo ultimatum a Putin sembra più dettato dalla disperazione di non sapere più cosa inventare, che da una strategia diplomatica. Sul fronte interno, poi, si fa strada un malcontento per l’aumento dei prezzi. E il ‘carisma del leader’ non basta più. «Le crepe iniziano ad allargarsi e il caso Epstein – l’imprenditore amico Trump condannato per abusi sessuali e accusato di traffico di minorenni, morto in carcere sei anni fa – rischia di diventare la falla di troppo», avverte sempre l’analista ISPI

Il pantano ucraino e l’orrore Gaza

La crisi nella Striscia di Gaza è la più spinosa. Il piano per una tregua, avanzato da Washington osannato dai seguaci come l’ultimo possibile spiraglio per salvare vite si è rivelato l’aria di sempre di fronte a Netanyahu che ha evidentemente argomenti da imporgli. «Le immagini che provengono dalla Striscia mostrano corpi di bambini morti di malnutrizione, madri disperate e una terra devastata», denuncia la portavoce. Mentre l’ondata di indignazione crescente nell’opinione pubblica internazionale ha costretto i governi europei a misure mai considerate finora (Italia a parte): sanzioni a Israele, sospensione degli accordi di partenariato e riconoscimento dello Stato di Palestina del giorno in diversi paesi del Vecchio Continente.

Se il partito repubblicano dice ‘genocidio’

Per Trump significa non solo ritrovarsi al fianco di Israele quando questo è di fatto isolato sulla scena internazionale, ma anche dover gestire la prima vera fronda interna ai repubblicani. Andiamo a vedere. In un post su X la deputata Marjorie Taylor Greene – trumpiana della prima ora ed esponente di punta dei Maga. Nulla di Dem – è diventata la prima repubblicana al Congresso a definire “genocidio” le azioni di Israele nella Striscia di Gaza, sostenendo che la guerra è politicamente dannosa per il presidente e una macchia morale sulla reputazione del paese. Nel frattempo, sul terreno, il conflitto ha provocato oltre 60 mila morti senza che gli Stati Uniti sembrino più riuscire a orientarne gli sviluppi.

Il (pen)ultimatum a Putin?

L’altro scenario spinoso è in Ucraina, dove Trump aveva promesso di portare pace subito e invece la Russia attacca ancora più di prima, visto che sta vincendo. Ripetute giravolte sul conflitto, e ultimatum che sono sempre i penultimi, sia a Putin che a Zelensky o ai ‘volenterosi’ europei di poco conto.  Ultima la minaccia di una «risposta americana definitiva». Come sempre ambigua: nuove sanzioni? Invio di armi più pesanti a Kiev? Un intervento diretto? Confusione e basta. I più fedeli a Trump plaudono alla postura muscolare, ma cresce il sospetto che dietro la minaccia non ci sia altro. Mentre i diplomatici temono che Mosca colga la debolezza, non la forza, di un ultimatum senza prospettive. Mentre a Kiev i dubbi minacciano la stessa presidenza Zelensky

La guerra dei dazi non convince più

Anche sul fronte economico la situazione non è serena. Ursula Von der Leyen ha offerto a Trump una vittoria da esibire, ma la ‘guerra dei dazi’ può trasformarsi in un boomerang elettorale. Gli effetti dei dazi rischiano di riversarsi sull’economia statunitense, aumentando i costi per aziende e consumatori. Questo riduce le risorse da investire in assunzioni, espansione e innovazione, e rallenta la spesa dei consumatori, il vero motore dell’economia. E mentre le grandi corporation si adeguano (spostando la produzione o tagliando costi), i lavoratori cominciano a rumoreggiare. Negli Stati agricoli – parte integrante del bacino elettorale trumpiano – i segnali di malumore si moltiplicano.

America agricola impaurita

E già alcuni senatori repubblicani hanno cominciato a smarcarsi, chiedendo ‘compensazioni fiscali per le categorie colpite’. Trump ha promesso un nuovo pacchetto di aiuti, ma i conti non tornano: con il debito pubblico tornato sopra il 120% del PIL e la Fed in ‘modalità restrittiva’ (salvo decapitazioni), difficile intensi margini ed inventare favole. Sempre secondo ISPI «Gli economisti nutrono anche dubbi sul fatto che questi accordi commerciali riusciranno a raggiungere uno degli obiettivi più propagandati da Trump: ridurre il deficit commerciale del Paese, che il presidente brandisce come ‘prova’ del fatto che gli Stati Uniti vengono truffati».

Maga sotto pressione?

Sul fronte interno, il partito repubblicano mostra le prime crepe tra i fedelissimi del trumpismo puro, che iniziano a manifestare primi segni di irrequietezza. Repubblicani alla Camera furibondi perché non ha ancora desecretato i file sullo scandalo Epstein. E il dissenso aumenta di giorno in giorno. Il presidente cerca di rilanciare la sua ‘narrazione di forza’, ma inciampa sui fatti: una guerra che non finisce, un nemico (Putin) che non lo teme più, e un’America che inizia a dubitare dei suoi slogan. Il risultato è un calo, lento ma costante, nei sondaggi.

Sei mesi di presidenza a perdere

  • «A sei mesi dall’insediamento, il tasso di approvazione di Donald Trump è sceso al 37%, solo di poco superiore al minimo storico del 34%, registrato alla fine del primo mandato», sottolinea Gianluca Pastori, ISPI Senior Associate Research Fellow, che rilancia le note critiche precedenti.
  • «Non stupisce, quindi, il malcontento che sembra attraversare da qualche tempo il movimento MAGA, un malcontento, peraltro, prevedibile, date le molte anime di questo e l’impossibilità, per il Presidente, di soddisfare le loro richieste spesso contraddittorie».

01/08/2025

da Remocontro

Ennio Remondino

share