Dopo due anni di guerra il Sudan rischia di spaccarsi a metà. Una spartizione del Paese e delle risorse naturali: da una parte le milizie Rsf (Rapid Support Forces), legate a Libia e Centrafrica, dall’altra i militari governativi appoggiati da Arabia, Egitto e Iran. Per le agenzie umanitarie che definiscono «la più grande crisi umanitaria del pianeta» ignorata dai media, dalle cancellerie internazionali e dalla comunità internazionale occidentale.
La guerra ignorata del tutto
La guerra in Sudan non è una guerra dimenticata, come molti si affrettano a dire, bensì ignorata del tutto. Ignorata dai media, dalle cancellerie internazionali e ignorata dalla comunità internazionale occidentale. Il conflitto scoppiato in Sudan nell’aprile 2023 ha provocato secondo le Nazioni Unite la più grave emergenza umanitaria oggi presente nel mondo
Khartum anno zero
La capitale del Sudan riconquistata dall’esercito il 27 marzo dopo due anni di occupazione delle ‘Forze di supporto rapido’, Rsf, è tornata indietro di 100 anni ai tempi della rivolta del Mahdi. «La città dei due Nili e le gemelle Beri e Omdurman sono semidistrutte. Spogliate dalla soldataglia pagata con il medievale diritto di saccheggio e private dal furto dei cavi di rame di energia elettrica, devastate persino negli infissi delle case e prive di acqua potabile sono l’immagine che raffigura 24 mesi di guerra civile», racconta Paolo Lambruschi.
I precedenti del massacro
Scoppiata il 15 aprile 2023 perché i paramilitari delle Rsf e le milizie di origine araba alleate guidate dal generale Dagalo rifiutarono di sottomettersi alle forze armate del generale al-Burhan, ha provocato quella che le agenzie umanitarie definiscono «la più grande crisi umanitaria del pianeta». Crisi che colpisce soprattutto i bambini e le donne, con accuse di genocidio nel Darfur, alle Rsf (già colpevoli del genocidio del 2003) contro le tribù nilo-sahariane dei Masalit. Mentre proprio ad al-Fasher, in nord Darfur, si temono cento morti in un attacco delle Rsf. Un nuovo orrore in un Sudan già saturo.
Oro e uranio il prezzo del genocidio
Il conflitto è alimentato dagli Emirati Arabi, che sostengono i paramilitari vendendo armi in cambio dell’oro delle miniere illegali del Darfur – ripulito ad Abu Dhabi per finire sui mercati occidentali – dell’uranio e della carne. Si delinea una spartizione del Paese, con le Rsf che stanno conquistando l’ovest legate alla Libia di Haftar – la Cirenaica – al Ciad e alla Repubblica Centrafricana, tutte sotto la nuova sfera di influenza di Mosca –l’accusa di parte occidentale-, che qui prenderebbe l’oro per pagarsi la guerra in Ucraina. Il resto nelle mani dell’esercito di Burhan legato ad Arabia, Egitto e Iran.
Nuova capitale e Port Sudan
La capitale è stata spostata a Port Sudan sul Mar Rosso, al riparo dagli attacchi dei droni delle Rsf che bersagliano il nord e la diga di Merowe, la più grande in Africa, togliendo energia elettrica al Paese. Nonostante tutto, i primi sfollati stanno rientrando nella capitale nelle proprie case perché i tagli di Trump a Usaid hanno reso la vita nei campi per profughi e sfollati impossibile. «Due anni di guerra in Sudan vedono una combinazione devastante di sfollati record e aiuti in calo -sostiene il portavoce italiano dell’Unhcr Filippo Ungaro-, e riporta Avvenire.
Fughe della disperazione
Quasi 13 milioni di persone sono fuggite dalle loro case, quasi 4 milioni che hanno attraversato i confini di Egitto, Sud Sudan, Ciad, Libia, Etiopia, Repubblica Centrafricana fino in Uganda. A livello globale tra tutti gli sfollati al mondo una persona su sei è sudanese e tra tutti i rifugiati del mondo uno su tredici è sudanese. Chi scappa riferisce di aver subito violenze sessuali sistematiche e abusi oltre ad aver assistito a uccisioni di massa. La metà sono bambini, tra cui migliaia senza famiglia e malnutriti. Ma è una crisi sottofinanziata e che riceve poca attenzione dalla comunità internazionale e dall’opinione pubblica.
«Il piano regionale di risposta del Sudan al momento ha ricevuto soltanto il 9% dei fondi necessari e questo sta avendo un impatto fortissimo».
Abbandono internazionale
Altra conseguenza, dei tagli e della carenza di fondi, la chiusura di scuole nei campi per profughi e sfollati. Per molte ragazze aumenterà il rischio di matrimoni precoci, per i ragazzi, significa finire a lavorare nelle miniere d’oro illegali in Ciad o tentare migrazioni in Libia. Medici senza Frontiere ha resistito e opera nonostante attacchi in 10 Stati. «Ho visto e continuo a vedere due situazioni diverse -racconta Vittorio Oppizzi, responsabile Msf in Sudan-. Quella della linea del fronte in movimento che rende difficile operare. Entrambe le parti hanno usato la manipolazione degli aiuti e blocchi come tattica di guerra.
Ritorno alle macerie
Poi il dramma degli sfollati che ora provano a rientrare in città distrutte. Stiamo ricominciando a girare con cliniche mobili in alcune zone di Khartum dove la situazione resta molto critica. Se gli ospedali sono in piedi, mancano forniture mediche e i dottori sudanesi sono senza stipendio. Da due anni non si fanno vaccinazioni in particolare contro il morbillo e scoppiano epidemie di colera per mancanza di acqua potabile». Una lotta contro l’oblio e la guerra per salvare la generazione perduta del Sudan.
Geopolitica dell’orrore
- Le Rapid Support Forces (RSF) sono forze paramilitari sudanesi precedentemente gestite dal governo del Sudan ed è principalmente composto dalle milizie ‘Janjawid’ che hanno lottato per conto del governo sudanese durante la guerra in Darfur e sono state responsabili di numerose attacchi contro la popolazione. Le azioni di RSF in Darfur si qualificano -secondo Human Rights Watch-, come crimini contro l’umanità.
- Le RSF sono amministrate dal National Intelligence and Security Service, anche se durante le operazioni militari sono comandate dalle forze armate sudanesi. Durante la crisi politica sudanese del 2019, la giunta militare che ha preso il controllo del paese ha impiegato le RSF per reprimere violentemente i manifestanti pro-democrazia.
- Insieme ad altre forze di sicurezza, le RSF hanno compiuto il massacro di Khartum il 3 giugno 2019. Il comandante della RSF è il generale Mohamed Hamdan Dagalo, meglio conosciuto con il nome di battaglia Hemetti. Il 15 aprile 2023 sono scoppiati i combattimenti tra le RSF e le forze armate sudanesi dopo che le RSF hanno mobilitato le loro forze in diverse città del Sudan e del Darfur.
15/04/2025
da Remocontro