Gaza. Soldati e droni aprono il fuoco sui palestinesi ammassati per il cibo vicino a Rafah e Khan Younis: almeno 60 morti e centinaia di feriti
C’è una parola magica che l’esercito israeliano utilizza per provare a lavare via il sangue dei palestinesi dalle mani dei propri soldati: «sospetti». Tutti i morti erano «sospetti» per Tel Aviv e tanto basta a spiegarne la spietata esecuzione. Sono sospetti anche le donne, i bambini, le persone anziane e gli animali che tirano i carri. Sospetti tutti coloro che cercano il cibo a Gaza, ossia l’intera popolazione, 2 milioni e 300mila persone che secondo l’Onu vivono in una situazione di carenza alimentare. È per questo che vengono uccisi da quelli che i militari chiamano «colpi di avvertimento». Perché si muovono insieme e in maniera, appunto, «sospetta» verso alla ricerca di cibo in mezzo al blocco totale ordinato da Tel Aviv.
IL FATTO È che i soldati gestiscono con le armi il meccanismo malvagio che il loro stesso governo, in combutta con Washington, ha inventato. Quando vedono dinanzi ai loro occhi la disperazione che essi stessi hanno causato, non sanno far altro che aprire il fuoco. È successo anche ieri. La peggiore strage della fame da quando la fondazione israelo-americana Ghf ha cominciato le sue operazioni di distribuzione, estromettendo Nazioni unite e organizzazioni umanitarie internazionali. Più di 60 morti in due punti a sud della Striscia. Altre fonti parlano di 70 vittime.
IL BILANCIO potrà aggravarsi, a causa della serietà delle ferite dei sopravvissuti e di un sistema sanitario ridotto allo stremo dagli attacchi israeliani, dal blocco di medicinali. La maggior parte delle vittime è stata trasportata al Nasser di Khan Younis, sottoposto già da settimane all’assedio dell’esercito che ha messo sotto ordine di evacuazione l’intera zona. I filmati mostrano la struttura sanitaria sopraffatta dal numero di pazienti, i feriti spostati a mano, sulle biciclette o sui carri e adagiati sui pavimenti, all’ingresso, ovunque ci fosse un posto. Anche i bambini. Il portavoce della protezione civile di Gaza, Mahmud Bassal, ha dichiarato che l’esercito ha sparato sulla folla riunitasi nella speranza di trovare un po’ di farina.
I massacri sono avvenuti nell’area di al-Alam a Rafah e in quella di al-Tahlia a Khan Yunis, il peggiore. «Ci siamo diretti al punto di distribuzione dopo aver sentito che avrebbero consegnato il grano – ha raccontato Abdalla Elyyan a Middle East Eye – Alle 7 del mattino ci hanno teso un’imboscata nell’area di Tahlia». Improvvisamente i militari hanno colpito la folla con le mitragliatrici, i droni e i cannoni dei carri armati. In molti hanno raccontato che i colpi arrivavano da tutti i lati e dall’alto come una pioggia, su migliaia di persone accalcate. I feriti sono stati centinaia. Alcuni con i corpi a brandelli sono rimasti per le strade mentre tutti provavano a fuggire. L’esercito, come sempre, ha dichiarato che avrebbe valutato le segnalazioni e che i militari hanno colpito persone «sospette». I vertici hanno poi detto che una folla si è radunata intorno a un camion di aiuti che si muoveva lungo una strada di Khan Younis, in una zona in cui l’esercito «sta operando». Tel Aviv stabilisce il percorso dei tir del cibo e non si capisce cosa ci facesse un mezzo umanitario in un’area definita «di combattimento».
LA GAZA humanitarian foundation, secondo il solito copione, ha dichiarato di non avere nulla a che fare con queste stragi. Ha prima accusato Hamas di mentire e poi ha affermato che se è stato l’esercito a sparare, dovrà essere l’esercito a indagare. Ma è chiaro a tutto il mondo ormai che l’esistenza della Ghf è il motivo stesso per cui le persone si riuniscono in gran numero nelle aree in cui vengono quotidianamente ammazzate. Eppure il reverendo Johnnie Moore, a capo della fondazione, non è assalito da alcun dubbio di carattere morale. Anzi, mentre a Gaza ancora contavano i morti causati dal meccanismo di distribuzione che sovraintende, Moore condivideva su X post di Netanyahu e Trump. Immagini del primo ministro israeliano che partecipa a riunioni di sicurezza e messaggi in cui il presidente Usa minaccia l’Iran e rilancia il suo slogan «America First». Ma non solo. Il reverendo pubblicizza sui suoi social la raccolta fondi lanciata da una organizzazione che presta assistenza agli israeliani «sotto attacco» iraniano e fornisce pasti ai soldati dello stato ebraico. Gli stessi che sparano sui palestinesi che cercano cibo a Gaza.
«IL POPOLO scelto da dio è in pericolo», si legge sul sito dell’International fellowship of christians and jews (Comunità internazionale dei cristiani e degli ebrei). Fondata nel 1983 dal rabbino Yechiel Eckstein, l’organizzazione si onora di aver «aiutato centinaia di migliaia di ebrei a tornare nella loro patria biblica». Ossia di aver finanziato il progetto sionista di occupazione della Palestina. Eckstein è stato premiato dal governo di Tel Aviv per il contributo speciale al benessere del popolo di Israele e il premier Netanyahu ha preso parte ad alcune cerimonie in suo onore. Nell’anno 2023 la Fellowship ha ottenuto più di nove milioni di dollari in contributi dal ministero del welfare israeliano. Da quando la Ghf ha cominciato le sue operazioni, il 26 maggio, a Gaza sono stati uccisi più 300 palestinesi mentre tentavano di recuperare cibo.
IERI, TRA LE STRAGI della fame e i bombardamenti dell’esercito, almeno 89 palestinesi sono stati uccisi nella Striscia.
18/06/2025
da Il Manifesto