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Solo 17 a dollari a testa per la sanità: la voragine di salute dei Paesi fragili

Solo 17 a dollari a testa per la sanità: la voragine di salute dei Paesi fragili

Attualità 

22/11/2025

da Avvenire

Paolo M. Alfieri

Tra costi in aumento, crisi del debito e tagli degli aiuti, negli Stati in via di sviluppo restano sempre meno risorse a disposizione per ospedali, personale e terapie

Appena 17 dollari pro capite per la spesa sanitaria, rispetto al minimo necessario stimato in oltre il triplo, circa 60 dollari. È quanto possono permettersi oggi i Paesi in via di sviluppo per curare le proprie comunità, tra costi in aumento e una crisi del debito che sottrae risorse cruciali ai servizi di base. Imbarazzante il paragone con i Paesi Ocse: qui la media per la spesa sanitaria è di 5.967 dollari pro capite, con l’Italia a quota 5.164 dollari per abitante. Per le economie fragili anche le prospettive future non sono incoraggianti: i 17 dollari annui stimati da un nuovo studio di Banca mondiale sono infatti relativi al 2024 e sommano spesa governativa e aiuti dall’estero, ma non tengono ancora conto dei drastici tagli alla cooperazione attuati quest’anno da molti Paesi donatori, Stati Uniti in testa.

Tempi duri, durissimi, insomma, in un mondo in cui le disuguaglianze rischiano di allargarsi ancora di più. La nuova analisi offre una lente ampia su un passaggio storico. I Paesi a basso e medio-basso reddito si trovano sospesi in un momento di grande incertezza: devono continuare a investire in sanità mentre l’economia globale, appena uscita dalla sequenza di choc legati alla pandemia e all’invasione russa dell’Ucraina, si confronta ora con tensioni commerciali crescenti e mutamenti geopolitici che ridisegnano priorità e flussi finanziari. In questo clima instabile, il crollo degli aiuti allo sviluppo pesa come un macigno. Proprio mentre lo scenario macroeconomico sembrava avviarsi a una prudente normalizzazione, il 2024 ha visto una contrazione senza precedenti della cooperazione sanitaria, che in molti Paesi copriva una quota non marginale dei bilanci.

Il confronto con le soglie individuate da Banca mondiale restituisce la dimensione dell’emergenza. Nei Paesi più poveri, in gran parte Stati africani, servirebbero 60 dollari pro capite, ma la realtà ne concede meno di un terzo. Nei Paesi a reddito medio-basso, tra cui giganti demografici come India e Nigeria, i 47 dollari di spesa sanitaria annua per abitante si misurano contro un fabbisogno minimo di 90 dollari. È una distanza che non riguarda solo i numeri e che si traduce in esseri umani non assistiti, diagnosi mancate, famiglie costrette a vendere beni essenziali per pagare un intervento o, più spesso, a rinunciare del tutto alle cure. Guardando al 2030, la prospettiva diventa ancora più severa. Oltre l’80 per cento dei Paesi a basso reddito e il 40 per cento di quelli a reddito medio-basso rischiano di ritrovarsi con risorse complessive anche inferiori rispetto al 2024. È un sentiero che allontana gli obiettivi di copertura sanitaria universale e prosciuga il margine per costruire sistemi di cura resilienti. Una traiettoria che, se non invertita, rischia di consolidare un’asimmetria globale ormai insostenibile.

Il risultato è un mosaico di fragilità. La crescita economica di molti di questi Stati resta debole, i debiti pubblici assorbono fette sempre più ampie delle entrate e gli sforzi per rafforzare la raccolta fiscale procedono con lentezza. In molti governi la salute perde terreno nelle gerarchie di spesa e il combinarsi di stagnazione interna, pagamento del debito e aiuti in calo erode la capacità di finanziare servizi essenziali. Il paradosso è evidente: proprio quando servirebbe un’accelerazione, le risorse arretrano. Le conseguenze sono tangibili nelle cliniche prive di forniture, nei programmi vaccinali che faticano a raggiungere le aree rurali, nei reparti di maternità dove il personale ridotto tenta di compensare carenze strutturali diventate croniche.

Banca mondiale, tuttavia, indica che esiste ancora uno spazio di manovra. Le riforme suggerite puntano a usare meglio ciò che già c’è, concentrando gli investimenti sulla sanità di base e riducendo le inefficienze nell’esecuzione dei bilanci. In un Paese su tre, inoltre, ci sarebbe margine per aumentare la quota di spesa pubblica destinata alla salute senza compromettere altri settori.

Il passo più ambizioso riguarda però le riforme macro-fiscali: liberare risorse oggi bloccate in sussidi inefficaci, rafforzare la capacità fiscale interna, accompagnare la crescita con scelte più lungimiranti. Il 6 dicembre a Tokyo il Forum sulla copertura sanitaria universale riunirà leader e istituzioni chiamati a una verifica collettiva delle promesse fatte. Sarà l’occasione per capire se il mondo intende davvero percorrere la strada più difficile ma necessaria: ricostruire un patto globale sulla salute che non lasci indietro i Paesi più esposti e restituisca credibilità all’impegno per un futuro più equo.

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