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Ora i centri in Albania rischiano di chiudere definitivamente

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Politica italiana

07/11/2025  

da Il Manifesto

Giansandro Merli

Migranti. La Corte d’appello di Roma dubita che l’Italia potesse siglare il protocollo con Tirana. Decideranno i giudici di Lussemburgo, a cui è arrivato il terzo rinvio pregiudiziale sul protocollo

Questa volta i centri in Albania potrebbero saltare per sempre. E non solo quelli: pure gli altri che qualsiasi Stato membro pensi di costruire in maniera analoga al di fuori del territorio dell’Unione. Rischiano persino di essere limitati i poteri nazionali nelle materie a competenza concorrente tra Ue e paesi membri. L’asilo e molte altre.

MERCOLEDÌ, alla vigilia del secondo compleanno del protocollo Meloni-Rama, la Corte d’appello di Roma, chiamata a esprimersi sul trattenimento di un cittadino marocchino che aveva chiesto asilo nel cpr di Gjader, ha fatto partire un nuovo rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia Ue. Il primo verteva sulla definizione dei «paesi sicuri» e ha dato torto all’esecutivo italiano. Il secondo, sollevato a maggio scorso dalla Cassazione, riguarda i trasferimenti dei migranti “irregolari” dal territorio nazionale e richiederà un paio d’anni per essere sciolto.

Il terzo, anticipato ieri in un articolo di taglio basso del Corriere della Sera, va al nodo della questione: l’Italia poteva davvero firmare l’intesa con l’Albania dal momento che questa impatta su una materia fortemente regolata a livello comunitario come l’asilo? Richiamando i principi stabiliti da numerose sentenze della Corte europea, la giudice Antonella Marrone afferma che bisogna ritenere «preclusa agli Stati membri la facoltà di concludere accordi internazionali con paesi terzi» se questi possono incidere su materie che l’Ue ha in gran parte regolato. In un altro passaggio del provvedimento la magistrata ravvisa «non già solo il rischio che l’accordo internazionale incida sulle norme dell’Unione ma un effettivo conflitto tra il (suo) contenuto e il Ceas», ovvero il sistema comune europeo d’asilo.

IL RAGIONAMENTO giuridico sconfessa quanto sostenuto dalla Commissione di Ursula von der Leyen sulla fase dei centri di Shengjin e Gjader riservata ai richiedenti asilo originari di paesi «sicuri»: siccome quelle persone non sono mai entrate nel territorio comunitario non sono soggette alle norme Ue. Il diritto europeo, invece, conta eccome. Anche per loro. E dal momento che conta le strutture detentive d’oltre Adriatico, iniziativa senza precedenti di trattenimento extra-territoriale, creano numerosi problemi all’applicazione uniforme dell’asilo. Aprono veri e propri buchi nel sistema comune, producendo gravi discriminazioni sui diritti fondamentali delle persone.

In un vano tentativo di mettere una pezza al flop del progetto che avrebbe dovuto costituire il fiore all’occhiello delle politiche anti-migranti del governo, la premier Giorgia Meloni e il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi hanno sostenuto che con l’entrata in vigore del nuovo patto Ue su migrazione e asilo, a giugno 2026, tutte le obiezioni ai centri d’oltre Adriatico sollevate dalla magistratura sarebbero crollate. Secondo la Corte d’appello di Roma, invece, gravi violazioni del diritto comunitario resteranno comunque in piedi.

LA SCELTA DI APPLICARE le «procedure accelerate di frontiera» nell’esame delle domande di protezione al di fuori del territorio europeo, infatti, non è prevista da nessuna parte e inevitabilmente produce conflitti con diverse norme comunitarie. Tra queste: il trattenimento come extrema ratio; la necessità di alternative alla privazione della libertà personale dei richiedenti asilo; l’obbligo di liberare immediatamente i trattenuti quando non ricorrono più i presupposti della detenzione; la garanzia dei diritti di difesa, salute e visita da parte dei familiari.

Ai giudici di Lussemburgo la Corte di Roma pone due quesiti. Se il Trattato sul funzionamento dell’Unione impedisca la «stipula da parte di uno Stato membro di un accordo internazionale con un paese extra Ue per la gestione dei flussi migratori». E, in caso di risposta negativa, se le direttive comunitarie «ostino alla conduzione e alla permanenza del cittadino di paese terzo, anche richiedente asilo, in aree site all’esterno del territorio Ue».

NONOSTANTE SIA STATA richiesta la procedura d’urgenza, o in subordine quella accelerata, è probabile che la Corte europea tratterà la causa seguendo l’iter ordinario, che in genere richiede un paio d’anni. Durante i quali sul protocollo con Tirana penderà una spada di Damocle. Intanto per il cittadino marocchino il trattenimento non è stato convalidato. Tornerà in Italia come tutti quelli che chiedono asilo a Gjader, in un ping pong tra le due sponde dell’Adriatico utile solo a mascherare il fallimento del progetto meloniano.

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