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Onu: “Aiuti massicci a Gaza o 14mila bimbi moriranno”. E 22 Paesi chiedono a Israele lo stop agli attacchi nella Striscia

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Dopo le pressioni degli Usa entrano i primi mezzi carichi di aiuti. Ma, dicono le Nazioni Unite, sono "una goccia nell’oceano". Parigi spinge per il riconoscimento della Palestina

Continuano a cadere bombe su Gaza: anche nella notte i raid dell’esercito israeliano si sono abbattuti sulla Striscia, causando la morte di oltre 60 persone. La situazione umanitaria resta al collasso: il 19 maggio Gran Bretagna, Francia e Canada hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui chiedono a Israele di cessare immediatamente le operazioni militari a Gaza e di revocare le restrizioni all’ingresso degli aiuti umanitari. I ministri degli Esteri di 22 Paesi hanno quindi esortato il governo di Gerusalemme a “consentire immediatamente la piena ripresa degli aiuti a Gaza“. Un appello che ha provocato la reazione stizzita di Netanyahu: “Chiedendo a Israele di porre fine a una guerra difensiva per la nostra sopravvivenza prima che i terroristi di Hamas vengano distrutti e chiedendo uno Stato palestinese, i leader di Londra, Ottawa e Parigi offrono un enorme premio per l’attacco genocida contro Israele del 7 ottobre, invitando ad altre atrocità. Israele – ha continuato – accetta la visione del presidente Trump, esorta tutti i leader europei a fare lo stesso. La guerra può finire domani se gli ostaggi vengono rilasciati, Hamas depone le armi, i suoi leader assassini vengono esiliati e Gaza viene smilitarizzata”, ha aggiunto. Ma per quanto il premier israeliano si dica concorde con Washington, è è proprio dalla Casa Bianca che arrivano Intanto, però, le pressioni degli Stati Uniti hanno portato per la prima volta da due mesi e mezzo, all’ingresso di cinque camion carichi di aiuti umanitari e cibo per bambini arrivati a Gaza attraverso il valico di Kerem Shalom. Ma non basta: l’Onu serve con urgenza “un flusso” massiccio di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza, altrimenti altri “14mila bebè” palestinesi potranno morire già nelle prossime 48 ore, ha detto il diplomatico britannico Tom Fletcher, vicesegretario generale delle Nazioni Unite e coordinatore delle missioni di soccorso di emergenza nel mondo, dopo aver definito ieri il via libera dato da Israele all’ingresso di meno di 10 camion d’aiuti – al culmine di 11 settimane di nuovo blocco totale – “una goccia nell’oceano”. “Io voglio che questi 14mila bebè siano salvati per quanto possibile, abbiamo 48 ore”, ha dichiarato Fletcher. Nel frattempo, il ministro degli Esteri francese, Jean-Noel Barrot, ha ribadito che Parigi è determinata a riconoscere uno Stato di Palestina. “Non si può lasciare ai bambini di Gaza, come eredità, la violenza e l’odio – ha detto Barrot ai microfoni di France Inter – quindi bisogna che tutto finisca ed è per questo che siamo determinati a riconoscere lo Stato di Palestina. E io ci sto lavorando attivamente perché vogliamo contribuire ad una soluzione politica nell’interesse dei palestinesi ma anche della sicurezza di Israele”. Il riconoscimento di uno Stato palestinese da parte di Parigi dovrebbe avvenire nella conferenza internazionale copresieduta dalla Francia e dall’Arabia Saudita per rilanciare una soluzione pacifica al conflitto israelo-palestinese cosiddetta “a due Stati”, che si svolgerà dal 17 al 20 giugno.

Le pressioni dagli Stati Uniti – L’ingresso dei (pochi) mezzi carichi di aiuti è l’effetto dell’annuncio di Benyamin Netanyahu domenica sera dopo una turbolenta riunione di governo. Ma soprattutto dopo la forte pressione degli Usa: un vero e proprio ultimatum, come ha ricostruito il Washington Post, secondo il quale l’amministrazione Trump ha trasmesso a Israele un messaggio inequivocabile: “Se non ponete fine alla guerra, vi abbandoneremo”. Una fonte ha fatto sapere al quotidiano della capitale statunitense che negli ultimi giorni il pressing degli Stati Uniti su Israele è aumentato: non a caso domenica per la prima volta il premier israeliano ha dichiarato che a Doha i colloqui riguardano anche “la fine dei combattimenti”. La portavoce della Casa Bianca, Caroline Leavitt, ha dichiarato che “il presidente vuole che la guerra a Gaza finisca. E Trump ha chiarito ad Hamas che vuole che tutti gli ostaggi vengano rilasciati”, ha affermato. La decisione di Netanyahu di aprire i valichi è arrivata dopo ore di colloqui telefonici con l’inviato della Casa Bianca, Steve Witkoff. Scatenando un’ondata di rabbia e critiche nei partiti della destra israeliana a cui è stato negato il voto. Netanyahu ha pubblicato un video in cui ha difeso e spiegato la mossa: “Non dobbiamo arrivare a una situazione di carestia a Gaza. La pressione si stava avvicinando a una linea rossa. I più grandi amici di Israele hanno detto che non possono accettare immagini di fame, fame di massa. Se sarà così semplicemente non ci sosterrebbero più”, ha detto nel video postato da lui stesso sui social.

La richiesta di 22 Paesi, inclusa l’Italia: “Aiuti immediati” – Ventidue Paesi – fra cui ci sono anche Italia, Gran Bretagna, Francia, Spagna, Canada, Giappone e l’alta Rappresentanza per gli Affari esteri dell’Ue – esigono che il governo israeliano “autorizzi immediatamente la piena ripresa della consegna di aiuti a Gaza e che consenta alle Nazioni Unite e alle organizzazioni umanitarie di lavorare in modo indipendente e imparziale per salvare vite umane”. Nel comunicato stampa pubblicato dal ministero degli Esteri tedesco si afferma che “il gabinetto di sicurezza israeliano ha approvato un nuovo piano per la consegna degli aiuti a Gaza che le Nazioni Unite e le organizzazioni umanitarie non possono condividere”. Secondo le Nazioni Unite l’approccio proposto non consentirà di fornire gli aiuti in modo efficace, inoltre “il territorio palestinese non dovrebbe essere modificato o sottoposto a cambiamenti demografici”. Ecco perché nell’appello s’inviano “due chiari messaggi al governo israeliano: consentire la piena ripresa delle consegne di aiuti a Gaza senza ritardi e permettere alle Nazioni Unite e alle organizzazioni umanitarie di lavorare in modo indipendente e imparziale per salvare vite”. Nel comunicato si ribadisce inoltre che “Hamas deve rilasciare immediatamente tutti gli ostaggi rimanenti e consentire la distribuzione senza ostacoli degli aiuti umanitari”. Infine viene citata anche la soluzione di due Stati come “l’unico modo per raggiungere la pace e la sicurezza per israeliani e palestinesi”. Il comunicato è sottoscritto dai ministri degli Esteri di Australia, Canada, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Islanda, Italia, Giappone, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Nuova Zelanda, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Slovenia, Spagna, Svezia e Regno Unito. Hanno firmato anche l’Alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza e vicepresidente della Commissione europea, il Commissario Ue per la parità di genere, la preparazione e la gestione delle crisi e il Commissario Ue per il Mediterraneo.

Gli attacchi di Israele – Nel frattempo è entrata nel vivo l’offensiva Carri di Gedeone nella Striscia, con l’esercito israeliano che ha dichiarato zona di guerra Khan Younis, Bani Suheila e Abasan, nel sud dell’enclave, avvisando i residenti ad evacuare urgentemente verso al-Mawasi per fuggire a quella che è stata definita “un’offensiva senza precedenti per distruggere le organizzazioni terroristiche”. Il piano dei generali prevede non solo operazioni militari, ma anche lo spostamento della popolazione: lo sfollamento del 19 maggio è solo l’inizio. L’obiettivo è quello di isolare i residenti da Hamas, rendendo impossibile all’organizzazione terroristica di esercitare il suo potere. I filmati postati da Khan Younis mostrano i profughi in marcia verso ovest subito dopo il messaggio del portavoce di Tsahal. Poche ore dopo, centinaia di persone hanno manifestato nella città del sud di Gaza contro la guerra e contro Hamas, chiedendo all’organizzazione di lasciare la Striscia. La protesta è arrivata dopo settimane di silenzio seguite ad altre marce che hanno provocato la violenta reazione di Hamas: almeno due manifestanti sono stati uccisi. In un video pubblicato lunedì da al Arabiya i dimostranti, camminando tra le tende e le macerie, gridano: “Vogliamo vivere, non riusciamo a trovare un sostentamento. Dove andrà la gente di Gaza? Fermate la guerra e gli sfollamenti”.

20/05/2025

da Il Fatto Quotidiano

Redazione

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