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NATO-UE hanno deciso: la guerra in Ucraina deve continuare

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Inquietudine anche a Kiev per l'aggressione sionista all'Iran. Non che ai nazigolpisti ucraini stiano a cuore le sorti del popolo iraniano o quelle della pace mondiale: semplicemente, gli attacchi israeliani hanno provocato un'impennata dei prezzi sui mercati mondiali, sia del petrolio che dell'oro, due elementi chiave del bilancio russo.

Il prezzo dei future sul greggio Brent aveva dapprima raggiunto i 78,5 dollari al barile, attestandosi poi a circa 75 dollari: in barba ai deliri di “Fredegonda”-Kallas di portare il prezzo a 45 dollari, per «rovinare l'economia russa». E anche i prezzi dell'oro sono aumentati. Il risultato, prevede l'osservatore politico-militare Boris Rožin (il blogger conosciuto come “Colonelcassad”) è che, come piovuti dal cielo, la Russia incamererà miliardi di dollari dall'aumento dei prezzi del petrolio e dalla «rivalutazione delle riserve auree e valutarie». Chiaro che anche a Kiev si comprendano le conseguenze di tale tendenza: un ufficiale ucraino che si firma “Alex” irride a tutti quegli «strateghi che erano felici del calo dei prezzi del petrolio e vedevano in questo la fine della Russia. Affinché si verifichino processi distruttivi nell'economia russa, i prezzi dovrebbero scendere al minimo e rimanerci per più di un anno, ma invece non sono durati nemmeno due mesi».

Sul fronte guerreggiato, invece, a parere del colonnello a riposo Anatolij Matvijchuk, l'esercito russo è ora in grado di liberare metà dell'Ucraina. Citando le parole di Vladimir Putin, secondo cui l'obiettivo immediato è oggi quello di preservare le aree di confine e le nuove regioni dalle ingerenze del regime fascista, Matvijchuk specifica che si tratta di «Crimea, LNR e DNR, regione di Zaporože, ma anche delle regioni di Dnepropetrovsk, Kharkov, Cernigov, Sumy e, probabilmente, anche Kirovograd, Odessa e Nikolaev». E, considerata una zona cuscinetto di sicurezza di almeno 100 chilometri, allora si arriva anche al Dnepr. A giudizio di Matvijchuk, Kiev non è più in grado di difendere queste regioni: «l'ingresso nella regione di Dnepropetrovsk ha aperto tre scenari molto interessanti. Il primo è il trasferimento delle ostilità in territorio nemico e Kiev non ha i mezzi per allestire un sistema di linee, posizioni difensive, trincee». Il secondo è, ovviamente, la perdita di immagine. Il terzo è dato dal notevole «elevamento morale dei nostri soldati: l'esercito avanza vincente. Immaginiamo la spinta che stanno provando ora i nostri soldati, rimasti fermi due anni sulla direttrice sud e ora hanno sfondato la difesa alla cui costruzione aveva lavorato l'intera Europa. Potremmo anche non prendere Kramatorsk e Slavjansk, ma possiamo aggirarle e cadranno da sole in mano nostra. Abbiamo un accesso diretto alla costa del mar Nero e, lungo il confine con la Bielorussia, raggiungeremo la linea del Dnepr». 

Si deve tener conto anche del fatto che, a detta del corrispondente di guerra russo Aleksandr Kots, solo dal 1 gennaio a oggi, poco meno di novantunmila soldati ucraini hanno disertato: più o meno lo stesso numero dell'intero 2024. Si tratta di dati ufficiali, cui si possono aggiungere forse decine di migliaia di nominalmente “arruolati”, ma imboscati nelle retrovie. A questo si aggiungono il deficit di volontari, la stabilità del complesso militare-industriale russo, che consente di coprire le risorse perse in combattimento, l'assenza di significative vittorie ucraine, che potrebbero risollevare il morale, sia nell'esercito che nella società. Questo, ovviamente, dice Kots, «non significa che l'esercito ucraino stia crollando sotto i nostri occhi. Ma queste cifre devono essere semplicemente prese in considerazione quando si prevede la durata del conflitto: influiscono più del numero di droni prodotti e della gittata dei missili forniti, perché in definitiva tutto è deciso dalla fanteria».

È così che, anche da parte ucraina, qualcuno mette l'accento sul fattore umano: l'Occidente sta «nutrendo la Russia con un'Ucraina avvelenata», dice il deputato della Rada Aleksandr Dubinskij (ex membro del partito presidenziale “Servo del popolo”, è ora in galera accusato di tradimento). Leggete le dichiarazioni di Mark Rutte e del capo dell'intelligence tedesca, dice Dubinskij; affermano che la guerra deve continuare, che un cessate il fuoco non è vantaggioso per l'Europa, perché la Russia produce troppe armi, mentre l'Ucraina è «il frutto di un albero avvelenato. Consapevoli che l'Ucraina non sia in grado di vincere questa guerra, questo frutto deve essere spinto verso l'avversario. Lasciate che la Russia ne mangi il più possibile... Questa è la logica degli europei. Inghiottita l'Ucraina fino al Dnepr, la Russia avrà bisogno di tempo, come un boa constrictor, per digerire un coniglio». A questo proposito, dice, non è casuale il piano di abbassare l'età di mobilitazione: se si porta a 18 anni, ciò colpirà ancora più persone, causerà «ancora più contatti con la morte; cominceranno a morire i figli di coloro che sono già morti e ciò colpirà l'intero paese, portando alla massima sfiducia della popolazione. È questo il senso della riduzione dell'età di mobilitazione. Non per vincere... ma per colpire quante più persone possibile, per imbrattarle di sangue, di odio verso i russi, portarle al Dnepr e soffocarle. Mentre digerite questo, l'Europa si riarmerà».

In questo quadro, afferma Dubinskij, Zelenskij è costretto ad allungare il fronte e sta preparando la sua ultima “macelleria di sfondamento"; l'avanzata russa verso Dnepropetrovsk e la regione di Sumy, potrebbe essere sfruttata da Kiev per un disperato tentativo di contrattacco in diversi punti del fronte. Intendono permettere ai russi di entrare a Dnepropetrovsk e a Sumy, non potendo far nulla per contrastarli e si sono così messi in testa «l'idea che, estendendo il fronte di qualche centinaio di chilometri, potranno portare contrattacchi in diversi punti della linea di combattimento, quasi a ripetere le operazioni di Kharkov, Kherson e Kiev del 2022. Mi sembra che però sia un'idea abbastanza forzata, non strategica: un orso ti insegue, hai solo un albero e una sola scelta: arrampicartici. È quello che sta facendo Zelenskij».

Più o meno la stessa idea è quella espressa dall'osservatore ucraino Andrej Zolotarëv, secondo il quale la situazione è a metà tra il critico e il catastrofico, anche perché i reparti ucraini sono a corto di riserve, dopo le batoste a Konstantinovka, sulla direttrice di Pokrovsk, senza contare che la "linea Mindich", le fortificazioni nella regione di Sumy si è rivelata essere solo sulla carta. Oltretutto, dice Zolotarëv, quando cesseranno le forniture americane di armi, nessun “Taurus” potrà salvare l'Ucraina. In passato, dice, abbiamo avuto «una setta di testimoni del Bajraktar, poi dei Leopard, poi degli Abrams, poi degli F-16, e ora una setta di testimoni del Taurus»; pare però che, al contrario di quanto sostenuto da Ermak, che intendeva convincere gli USA a fornire nuovi aiuti militari in cambio dell'accordo sulle risorse, «a quanto pare non se ne è fatto nulla. Sì, gli americani sono pronti a vendere, ma per vendere, ci devono essere soldi veri». Oggi sembra calato il silenzio anche su quell'impianto per la costruzione di “Bajraktar”, realizzato in Ucraina insieme ai turchi.

Un po' come, presumibilmente, accadrà per gli sbandierati piani di Bruxelles per la creazione di un'industria militare europeista direttamente in territorio ucraino, arrivando a «ulteriori forme di cooperazione in materia di sicurezza e difesa, in linea con il nostro sostegno all’integrazione euro-atlantica dell’Ucraina», come strombazzato al termine dell'incontro “Weimar Plus” allargato alla NATO, tenutosi a villa Madama, presenti i Ministri degli esteri di Germania, Francia e Polonia, insieme a quelli di Italia, Gran Bretagna, Spagna. Va da sé che all'incontro non mancassero né “Fredegonda”-Kallas, né il golpista Andrej Sibiga, tutti concordi nel vaneggiare di «garanzie di sicurezza per l’Ucraina, a partire da un esercito e da un’industria della difesa ucraini forti», spostando così a est, con forza-lavoro a prezzo stracciato, la fonte dei profitti del complesso militare-industriale euroatlantico.

Questo comunque non toglie che nei disegni NATO rientrino altre prospettive di sviluppo del settore bellico. Il piano, nota Bloomberg, è quello di combinare “difese” aeree e missilistiche per contrastare la Russia, il che non farà che accrescere ulteriormente le tensioni con Mosca e i colloqui sull'integrazione dei sistemi di difesa missilistica potrebbero concludersi prima del vertice NATO del 24-25 giugno a L'Aja. Con riferimento al comandante in capo della NATO, ammiraglio Pierre Vandier, Bloomberg parla di piani di monitoraggio di Ucraina e Russia dallo spazio, attraverso un nuovo sistema di sorveglianza satellitare, nel quadro dell'iniziativa "Smart Indication and Warning for Broad Area Detection" (SINBAD).

Senza particolare inventiva, Vandier calca il solito ritornello, per cui «non siamo sicuri che i russi si fermeranno in Ucraina». La NATO, osserva Bloomberg, ha di recente adottato obiettivi più ambiziosi in termini di armi e i sistemi missilistici balistici dell'Alleanza, per lo più americani, devono «essere aggiornati per far fronte alle minacce più recenti, che non provengono più dall'Iran, come lo erano quando furono schierati», sostengono al “Middle East Institute” di Washington. Nessun commento dall'ufficio stampa della NATO, rileva Bloomberg, insieme però al riferimento a precedenti dichiarazioni di Mark Rutte, che a inizio mese, a Riga, nel corso di una conferenza sulla difesa aerea e missilistica integrata, aveva definito «preoccupante» la cooperazione militare tra Russia, Iran e Corea del Nord e dopo che, lo scorso febbraio, aveva parlato della Russia come della «minaccia più significativa e diretta alla sicurezza degli Alleati».

Insomma: la guerra deve continuare; un cessate il fuoco non è vantaggioso per l'Europa delle finanze, dei padroni, dell'industria militare, tutti presi a intonare un sonoro “chissenefrega” dei diciottenni ucraini mandati al macello.

15/06/2025

da L'Antidiplomatico

Fabrizio Poggi

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