23/10/2025
da Left
La manovra, che dovrebbe essere la prova di maturità di un esecutivo, diventa un compitino di mantenimento. Meloni alza i toni per riempire un vuoto che cresce
C’è un nervosismo che trapela dalle parole di Giorgia Meloni, e non basta l’alzata di voce in Parlamento per mascherarlo. Massimo Franco sul Corriere della Sera parla di «toni virulenti per coprire le ambiguità sulla politica estera». È la fotografia di una premier che agita lo scontro con l’opposizione per evitare che si guardi dietro il sipario.
E dietro il sipario c’è una manovra finanziaria senza fiato: un manuale di sopravvivenza burocratica, nessun orizzonte sociale, tanta prudenza per non scalfire equilibri interni e un solo capitolo che cresce davvero, quello delle armi. L’Italia che doveva risorgere «potenza rispettata nel mondo» è rimasta una comparsa nei desiderata instabili di Donald Trump e nei compitini assegnati da Bruxelles. Meloni prova a mostrarsi ferma sull’Ucraina, ma deve continuamente rispondere ai maldipancia della Lega che in Aula contesta gli aiuti militari accusandoli di togliere risorse alla sanità. Se deve smentire Claudio Borghi in diretta è perché lo strappo rischia di diventare voragine.
Intanto, gli impegni simbolo evaporano: tagli alle tasse promessi a ogni telecamera, cantieri sbandierati e poi rinviati, salari reali fermi mentre l’inflazione rosicchia. La politica estera si riduce a faccette accanto ai potenti, tra una sigaretta e la posa successiva. L’idea di un’Italia guida si è rivelata una coreografia di immagini. La manovra, che dovrebbe essere la prova di maturità di un esecutivo, diventa un compitino di mantenimento. Meloni alza i toni per riempire un vuoto che cresce. E il vuoto, in politica, è l’unica cosa che non si può urlare via.

