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Meloni imbraccia il riarmo. Incontro con i big del settore

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Riarmo italiano. Convocati a palazzo Chigi i vertici delle partecipate, con Crosetto, Tajani e Giorgetti

A malincuore e obtorto collo l’Italia, all’ultimo momento, ha deciso pochi giorni fa di accedere al programma europeo Safe: prestito a tassi agevolati per comprare armi e allinearsi al programma di von der Leyen, il ReArm Europe ora ribattezzo Readiness 2030 che all’orecchio sa meno di arsenali. Ora però quei 14 miliardi in 5 anni, su totale di 150 stanziato dall’Europa per tutti i Paesi che chiedono l’accesso, bisogna spenderli. Insomma, bisogna fare di necessità virtù e provare a tirare fuori dal riarmo il meglio. Al secolo, investimenti dual-use, utili cioè sia sul fronte della difesa che su quello dell’uso civile.

PER IMPOSTARE la tutt’altro che facile missione ieri mattina la premier ha convocato a palazzo Chigi un vertice con i manager delle partecipate coinvolte nel settore al gran completo. C’erano Cingolani per Leonardo, Folgiero per Fincantieri, Mattarella per Invitalia, Donnarumma per Fs con squadra governativa altrettanto rilevante: oltre alla premier, Tajani, Crosetto e Giorgetti. Ma soprattutto c’era l’ad di Cassa depositi e prestiti Scannapieco. Tra gli obiettivi del vertice, infatti, fare un passo avanti decisivo verso il coordinamento centrale di tutti gli investimenti, che sarà affidato appunto a Cdp.

Ai manager Meloni ha chiesto di muoversi «al fine di tradurre in termini di occupazione e crescita gli strumenti messi a disposizione dalla Commissione europea». In concreto di studiare i progetti in grado di rivelarsi double-face, funzionali sul piano militare ma anche su quello civile, e di verificare la compatibilità degli investimenti italiani con quelli degli altri 17 Paesi che hanno per ora chiesto i prestiti Safe, tra i quali è assente la Germania, il Paese che ha in cantiere il più colossale piano di riarmo nella Ue.

Sul tavolo anche un argomento più spinoso: la Escape Clause, clausola di fuga, il secondo strumento predisposto dalla Ue per il riarmo, cioè la clausola di salvaguardia che permette di sforare il Patto di stabilità senza incorrere nella procedura di infrazione. Quella clausola però è la croce senza alcuna delizia del governo italiano, come di tutti quelli che la procedura sul groppone già ce l’hanno. I Paesi già in procedura, infatti, accedendo alla clausola devono prima rientrare nei parametri e rischiano pertanto di non uscire mai dalla spirale malefica: per questo Giorgetti non manca mai di definire lo strumento predisposto da von der Leyen «insensato». Per ora il governo assicura, in via informale, che i prestiti del Safe, da restituirsi nell’arco di 45 anni, non incideranno sui vincoli del Patto ma come Giorgetti pensi di riuscirci senza ricorrere al capestro della Escape Clause non è chiaro. Come non è chiaro come il governo speri di tener fede all’accordo che impone la moltiplicazione delle spese per la Nato fino al 5% del Pil senza ricorrere a tagli o a tasse.

IN LINEA DI PRINCIPIO Meloni è davvero convinta che il riarmo sia necessario per rendere l’Europa indipendente dai condizionamenti esterni, a partire da quello che rende il vecchio continente vassallo degli Usa e che è il vero elemento che spiega l’arrendevolezza della Ue nei confronti del diktat di Trump sui dazi. Ma una cosa sono i princìpi, tutt’altra una tempistica imposta da Bruxelles e da Washington che rischia fortemente di impattare sui conti pubblici italiani in un momento delicatissimo. Al riarmo europeo e all’impennata della spesa Nato si affianca infatti l’incognita dei dazi. Il 15% entrerà in vigore domani, ma si tratta solo della cornice. I prodotti esentati dalle tariffe, sono tutti da definirsi e l’elemento decisivo sarà quello. Sono guai le cui dimensioni precise sono ancora ignote ma che saranno comunque incisivi e che partono quasi tutti dalle mosse dell’amico americano di Meloni. Uno di quegli “amici” grazie ai quali dei nemici non c’è alcun bisogno.

06/08/2025

da Il Manifesto

Andrea Colombo

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