La vertigine di Israele. Netanyahu «liberatore» non convince nessuno. Presto scatterà una vasta operazione terrestre che coinvolgerà divisioni corazzate e fanteria. Oggi si riunisce il Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Uccisi altri 36 palestinesi.
Il rientro nei ranghi dei dissidenti è stato immediato, a cominciare dal capo di stato maggiore Eyal Zamir. «L’esercito è determinato a portare a termine la missione nel miglior modo possibile, continuerà a operare con responsabilità nazionale» per ottenere la «sconfitta totale di Hamas» e il ritorno degli ostaggi. Dopo aver criticato il piano di occupazione totale della Striscia di Gaza – a partire dal suo capoluogo, Gaza city, ancora abitato da centinaia di migliaia di palestinesi –, voluto dal premier Netanyahu e approvato dal gabinetto di sicurezza nella notte tra giovedì e venerdì, Zamir è andato oltre il dovere di eseguire le decisioni del governo. Ha promesso che il piano sarà attuato «con preparazione massima».
Anche il ministro della Difesa Israel Katz, inizialmente poco convinto dell’occupazione completa della Striscia, ha respinto ieri le critiche internazionali e le minacce di sanzioni. «Non ci faremo fermare», ha proclamato. Ma la realtà che si delinea attorno a Tel Aviv è quella di un isolamento diplomatico senza precedenti, causato dalle motivazioni ideologiche che spingono Netanyahu e i suoi ministri ultranazionalisti e religiosi a proseguire, dopo quasi due anni, una sanguinosa offensiva militare che ha ucciso decine di migliaia di palestinesi e annientato Gaza, pur avendo già raggiunto i suoi «obiettivi di sicurezza» ufficiali.
Un disastro che porterà a molti disastri Yair Lapid
Gli obiettivi reali dell’offensiva «finale» voluta da Netanyahu, ormai chiari a tutti, sono l’occupazione a tempo indeterminato della Striscia – e non per pochi mesi – e la cosiddetta «emigrazione volontaria», cioè la pulizia etnica di oltre due milioni di palestinesi, se si troveranno paesi disposti ad accoglierli. Per questo Netanyahu è pronto a sfidare anche gli alleati occidentali più importanti.
La Germania, storicamente uno degli alleati più solidi di Israele in Europa, ha annunciato, per voce del cancelliere Merz, il blocco delle esportazioni di armi che potrebbero essere utilizzate nella Striscia. «La Germania non autorizzerà alcuna esportazione militare destinata ad operazioni a Gaza fino a nuovo avviso», ha dichiarato Merz. Netanyahu ha reagito con rabbia, accusando la Germania di «premiare il terrorismo di Hamas». Secondo la nota diffusa dall’ufficio del premier, l’obiettivo di Israele «non è la conquista di Gaza, ma la sua liberazione da Hamas». Una narrazione a cui, ormai, non crede più nessuno.
Il piano israeliano è in contrasto con la sentenza della Corte di giustizia internazionale, secondo cui Israele deve porre fine alla sua occupazione Volker Turk, Onu
Il presidente del Consiglio dell’Unione europea, Antonio Costa, ha dichiarato che «la decisione di occupare Gaza City avrà conseguenze sulle relazioni tra Israele e l’Ue». L’Arabia saudita, che fino a due anni fa Netanyahu cercava di avvicinare, ha definito la nuova offensiva israeliana una «pulizia etnica» contro i palestinesi, denunciando le condizioni di fame in cui versa la popolazione civile nella Striscia.
Oggi si terrà una riunione d’emergenza del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, mentre il segretario generale Guterres parla di una «pericolosa escalation in atto». A Netanyahu resta il sostegno fondamentale degli Stati Uniti. Tuttavia, da oltreoceano, il vicepresidente Vance ha riconosciuto l’esistenza di «divergenze» tra l’amministrazione Trump e il governo Netanyahu: «Ci sono molti obiettivi comuni, però anche un certo disaccordo su come raggiungerli». La comunità internazionale, pur divisa nei toni e perennemente ipocrita nei confronti dei diritti del popolo palestinese, sembra convergere su un punto: l’attacco a Gaza city rappresenta un’escalation che allontana la possibilità di una tregua e aggrava una crisi umanitaria già insostenibile.

Il Netanyahu «liberatore» non inganna nessuno. E desta irritazione la decisione del gabinetto di sicurezza di «prendere il controllo» di Gaza city evitando l’uso della parola «occupazione», nel tentativo di sottrarsi alla responsabilità dell’assistenza ai civili palestinesi. Ma l’escamotage linguistico serve a poco: Gaza city è un centro urbano vasto e, nonostante le distruzioni, ospita ancora centinaia di migliaia di persone. Considerando che Israele già controlla circa il 75% della Striscia, entrare completamente a Gaza city significa occupare gran parte del restante 25%, lasciando fuori solo Deir al-Balah e i campi profughi centrali.
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Nelle prossime settimane, quando Netanyahu deciderà che i palestinesi affamati avranno «immagazzinato» abbastanza cibo, scatterà una massiccia operazione terrestre coordinata su più fronti, con il coinvolgimento di divisioni corazzate, fanteria e unità speciali. Alla popolazione è già stato ordinato di dirigersi «immediatamente verso sud».
Il gabinetto di sicurezza ha elencato cinque obiettivi dell’offensiva: smantellamento totale delle capacità militari e governative di Hamas, attraverso la distruzione sistematica di tunnel, depositi d’armi, centri di comando e strutture logistiche; recupero di tutti gli ostaggi israeliani, vivi o deceduti (obiettivo che i comandi militari ritengono difficilmente raggiungibile); controllo militare diretto e duraturo dell’area per impedire la ricostituzione di cellule armate; gestione umanitaria separata e controllata, ma al di fuori delle zone di operazione militare, per costringere centinaia di migliaia di civili verso il sud della Striscia; creazione di un’amministrazione araba locale «non ostile».

Netanyahu ha aggiunto su X che «Gaza sarà smilitarizzata e verrà istituita un’amministrazione civile pacifica, senza l’Autorità nazionale palestinese, né Hamas, né alcuna altra organizzazione terroristica».
L’uso del termine «controllo» invece di «occupazione» è un tentativo palese di eludere la responsabilità legale per questo crimine Hamas
In ogni caso, non sarà una passeggiata per le forze di occupazione israeliane. Hamas e le altre organizzazioni della resistenza palestinese conservano ancora una significativa capacità operativa, nonostante quasi due anni di guerra. Hamas ha dimostrato di essere particolarmente efficace nel combattimento urbano, sfruttando tunnel sotterranei, edifici distrutti e macerie come copertura e come terreno ideale per imboscate e trappole esplosive in zone di passaggio obbligato per i veicoli israeliani.
Questo tipo di resistenza è molto costoso per le truppe israeliane, che rischiano – come ha ammesso anche Eyal Zamir – pesanti perdite se impegnate in modo prolungato nel centro di Gaza city. Nonostante le perdite subite, Hamas può ancora contare su combattenti esperti, addestrati ad agire anche in isolamento, senza ordini diretti dalla leadership. A questi potrebbero aggiungersi numerosi abitanti della città decisi a non arrendersi. A Gaza city, molti ieri ripetevano: «Morirò qui, ma non me ne andrò». In attesa della nuova offensiva, gli attacchi israeliani nelle ultime ore hanno ucciso almeno 36 palestinesi, tra cui 21 mentre cercavano di ottenere aiuti umanitari.
09/08/2025
da Il Manifesto