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“L’intelligence Usa sapeva che l’Iran non voleva costruire la bomba”. Il rischio di un “altro Iraq” 22 anni dopo

“L’intelligence Usa sapeva che l’Iran non voleva costruire la bomba”. Il rischio di un “altro Iraq” 22 anni dopo

La rivelazione della Cnn con fonti dei Servizi americani: "Ci sarebbero voluti almeno 3 anni". Se confermate, le informazioni invaliderebbero le dichiarazioni ripetute da Israele, Stati Uniti, G7 e alleati europei

I servizi segreti degli Stati Uniti, il principale alleato di Israele avvertito giorni prima dell’imminente attacco all’Iran, sapevano che Teheran non stava costruendo la bomba atomica, pretesto usato dal governo Netanyahu e da tutti i suoi alleati per giustificare il bombardamento di venerdì contro la Repubblica Islamica. La rivelazione della Cnn, che cita quattro fonti ben informate, non solo conferma quanto dichiarato pubblicamente dall’Agenzia per l’energia atomica (Aiea) responsabile del monitoraggio del processo di arricchimento dell’uranio degli ayatollah, ma fa crescere i sospetti sulla ricerca di Tel Aviv e del suo alleato Washington di un pretesto per legittimare un attacco contro l’Iran.

Secondo quanto riporta la tv americana, non solo il regime non stava lavorando attivamente per ottenere l’arma atomica in tempi brevi, ma stando alla situazione attuale gli ci sarebbero voluti almeno tre anni prima di essere in grado di produrla. Una lettura non condivisa dai servizi israeliani secondo i quali, aveva spiegato lo stesso Netanyahu, la produzione delle testate atomiche era da considerarsi imminente. Se confermate, le informazioni in mano all’intelligence Usa invaliderebbero le dichiarazioni ripetute da Israele, dagli Stati Uniti, dal G7 e dagli alleati europei sul diritto dello Stato ebraico all’autodifesa e sulla necessità di attaccare gli impianti di stoccaggio e arricchimento dell’uranio prima che fosse troppo tardi.

E riporterebbero la mente ad altri “falsi” diventati casus belli, come il più noto caso delle (inesistenti) armi di distruzione di massa che furono il principale capo d’accusa formulato nel 2003 nei confronti dell’Iraq di Saddam Hussein per giustificare l’attacco degli Usa (con tanto di boccetta contenente chissà cosa agitata dal segretario di Stato Colin Powell davanti all’assemblea dell’Onu). O ancora l’incidente del golfo del Tonchino, nell’agosto del 1964: il presidente degli Usa Lyndon Johnson tenne un discorso in cui raccontò che navi da guerra americane erano state attaccate da motosiluranti della Repubblica Democratica del Vietnam nel Golfo del Tonchino e che c’era stato un “conflitto armato” tra le due parti. Fu la svolta per l’escalation della guerra in Vietnam. Ma non era vero: secondo l’Agenzia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti è “molto probabile” che quel giorno non ci fossero navi vietnamite vicino a quelle americane.

Tornando all’attualità gli attacchi condotti da Israele hanno inflitto danni al principale impianto iraniano per l’arricchimento dell’uranio, quello di Natanz, ma il sito fortemente fortificato di Fordow, costruito all’interno di una montagna, a 110 metri di profondità e quindi ‘violabile’ solo con bombe di profondità in possesso degli statunitensi, è rimasto sostanzialmente intatto. Gli esperti di difesa hanno infatti spiegato che Israele non è in grado di danneggiare Fordow senza armi specifiche e senza il supporto aereo da parte degli Usa.

Per l’Iran, invece, la sfida non è solo produrre un’arma nucleare rudimentale, obiettivo che potrebbe potenzialmente raggiungere nel giro di qualche mese se decidesse di farlo. Ma anche quella di realizzare un sistema di lancio funzionante, il che potrebbe richiedere molto più tempo, ritengono gli esperti. A questo punto del conflitto, mentre i funzionari dell’intelligence statunitense e dell’Aiea lavorano per valutare i danni causati da Israele all’impianto nucleare iraniano, secondo la Cnn c’è una certa preoccupazione che l’attacco possa avere l’effetto non di dissuadere, bensì di velocizzare il piano di militarizzazione di Teheran.

18/06/2025

da Il Fatto Quotidiano

Redazione

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