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L'estate degli sbarchi continua (nel silenzio generale)

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Cronaca di un arrivo tra i tanti dimenticati di queste settimane. A Leuca, in Puglia, sono approdati in 112 dopo giorni di odissea in mare. È toccato ai volontari Caritas organizzare l'accoglienza

Leda è un’infermiera afghana che è dovuta fuggire in Iran ma gli ultimi episodi di intolleranza hanno spinto lei e altri afghani a lasciare anche questo Paese. 

«Così sono scappata dall’Iran e in un mese ho raggiunto la Turchia, dove ho pagato 7.500 euro per raggiungere l’Italia partendo da Bodrum». Hamid e Rezha sono due fratelli di 21 e 23 anni, ingegneri di Kabul, arrivati con i genitori e la sorella. «Chiedono di poter raggiungere la Svizzera dove hanno dei parenti. I due fratelli e tutta la famiglia erano vestiti in maniera impeccabile, sembrava che si fossero cambiati prima di scendere, con una camicia bianca e una maglia a righe. Eleganti anche nel loro inglese».

Sono alcune delle storie dell’ultimo sbarco di tre giorni fa a Leuca, che ci racconta Massimo Buccarello, mediatore della Caritas diocesana di Ugento-Santa Maria di Leuca. Una barca a vela di 12 metri con 112 persone a bordo, 81 afghani, 30 iraniani, un pakistano, 6 nuclei familiari con 16 minori di 10 anni, tutti afghani.

«Ci hanno raccontato di una cacciata degli afghani dall’Iran»E questo spiega, almeno in parte, la loro forte presenza a bordo. Il viaggio in mare è stato lungo ed è durato 4 notti e 5 giorni. «Gli ultimi due terribili perché faceva caldissimo, ed erano messi molto male. Molti erano disidratati e con le caviglie gonfie, ci sono state 9 ospedalizzazioni: una famiglia coi bambini e la mamma disidratata, due giovani donne con i piedi gonfissimi e due uomini con problemi di salute pregressi, uno alla gamba e l’altro ad un occhio». 

C’è stato un trasbordo in mare sulla motovedetta della Guardia costiera perché la barca era a rischio affondamento. «Abbiamo capito che intervengono solo in casi disperati, altrimenti li fanno arrivare fino in Calabria». Dove infatti ne sono arrivate due il 21 e il 22 luglio, a Roccella Ionica e Crotone con 93 e 73 persone.

«Qui da noi l’ultimo sbarco era stato ad aprile. Ma è stato subito chiaro che la situazione era più tesa delle altre volte: una donna incinta era in ambulanza e due dei suoi tre bambini dormivano pesantemente sicuramente disidratati. Uno resterà in braccio ad una operatrice della Croce Rossa e uno in braccio al padre per tutta la serata, il terzo bambino si riprenderà poco dopo». 

I volontari della Caritas hanno distribuito acqua e vestiti per bambini «che sono andati letteralmente a ruba e i piccoli erano molto contenti e li sceglievano con attenzione. Il bambino della famiglia seguita dai sanitari ha preso alcuni vestitini per i suoi fratellini e li ha tenuti stretti in mano finché non sono saliti tutti sull’ambulanza». Tante le «immagini» che Buccarello ha raccolto e che ci trasmette. «Abbiamo dato le indicazioni sulle ore seguenti, sul bus che li avrebbe portati al campo e chiesto loro alcune informazioni. Un uomo non riusciva a staccarsi dalla sorella che doveva essere ricoverata. Una coppia di giovani sposi iraniani, lei coi capelli biondissimi, lui coi piercing al naso, chiedevano di poter rimanere insieme nel campo. Un ragazzino 14enne traduceva dall’inglese al pharsi le indicazioni che davamo. Mariem, una ragazzina di 12 anni era stanchissima e i suoi chiedevano aiuto per la madre con la pressione bassa”. Davvero, riflette Buccarello, «un’umanità in cammino». Che andrebbe accolta nel modo migliore. Così la Caritas chiede alcuni semplici ma importanti interventi da realizzare sul molo: organizzare una maggiore comunicazione, sia tra i soccorritori che con gli immigrati, creare delle “sedute” semplici anche con parallelepipedi di pietra per gli immigrati ora costretti a stare per terra, maggiore facilità di fruizione dei bagni chimici.

27/07/2025

da L'Avvenire

Antonio Maria Mira

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