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La riforma Nordio passa in Aula. Meloni già nel mood referendum

La riforma Nordio passa in Aula. Meloni già nel mood referendum

Magistratura dipendente. 106 sì, 61 no e 11 astenuti. La separazione delle carriere completa la prima lettura 

Il Senato ha approvato ieri la riforma costituzionale che introduce la separazione delle carriere dei magistrati, e lo ha fatto confermando il testo licenziato dalla Camera. I sì del centrodestra sono stati 106, i no di Pd, M5s e Avs sono stati 61 e le astensioni di Iv e Azione sono state 11. Si tratta di «un momento decisivo della legislatura» e non solo per questa riforma, come ha detto Maurizio Gasparri, ma perché questo secondo sì avvicina il referendum confermativo che inevitabilmente sarà un pronunciamento su tutto l’operato del governo Meloni. La premier si giocherà dunque l’osso del collo su una riforma non certo sua, e questo contribuisce a spiegare la sensazione di stranezza che si è respirata ieri a Palazzo Madama.

IL PRIMO ASPETTO di stranezza è arrivato dalla stessa seduta, in cui i toni non sono stati così alti come lo scontro politico e anche pubblico su tale riforma faceva presumere. Finalmente si è visto in Aula il ministro Carlo Nordio, per la prima volta da quando questo ddl è arrivato a Palazzo Madama. Gli altri scranni del governo erano vuoti, con il solo ministro Luca Ciriani e il viceministro di Fi Francesco Paolo Sisto accanto al guardasigilli a rappresentare il governo per una riforma uscita dal Consiglio dei ministri e nemmeno sfiorata in una virgola dal Parlamento. Dopo l’approvazione Giorgia Meloni si è limitata ad un post sui social (seguito da un video), con parole di circostanza: L’approvazione «segna un passo importante verso un impegno che avevamo preso con gli italiani e che stiamo portando avanti con decisione. Il percorso non è ancora concluso, ma oggi confermiamo la nostra determinazione nel dare all’Italia un sistema giudiziario sempre più efficiente, equo e trasparente». Ma per avere «un sistema giudiziario più efficiente» bastavano leggi ordinarie sui nodi noti della giustizia, senza aprire una guerra civile che porta, come ha detto Dario Franceschini, «in terreni ignoti». Il ddl, infatti, prevede due Csm, uno per i magistrati giudicanti ed uno per quelli requirenti; ma questi ultimi, autogestiti, staccati dalla cultura giurisdizionale, «rischiano di diventare dei superpoliziotti». Rischio paventato anche da Alfredo Bazoli del Pd.

TRA LE OPPOSIZIONI Avs, con Peppe De Cristofaro, M5s, con Roberto Scarpinato e anche il Pd con Francesco Boccia temono un altro scenario: quello di una subordinazione al governo dei pm dell’intera magistratura, con la fine della separazione dei poteri. Questo attraverso le leggi attuative che potrebbero attenuare l’obbligatorietà dell’azione penale e attraverso l’Alta Corte disciplinare. Infatti il potere disciplinare verrà sottratto ai due Csm e verrà attribuito a una apposita Alta Corte. Nel ridisegnare il sistema disciplinare – è il timore delle opposizioni – il centrodestra potrebbe introdurre meccanismi ricattatori verso le toghe.

Non a caso al momento del voto sono scattate le proteste: i senatori del Pd hanno esposto il frontespizio della Costituzione capovolta, mentre M5s ha mostrato le foto di Falcone e Borsellino con la scritta «non nel loro nome».

NEL CENTRODESTRA a esultare sono gli esponenti di Fi. Nella dichiarazione di voto Pier Antonio Zanettin ha parlato dal seggio che era stato di Berlusconi, mentre prima del voto sono giunti in Aula Antonio Tajani e altri due ministri di Fi. Il ministro degli Esteri, come anche Gasparri e tutti gli esponenti di Fi hanno dedicato la riforma a Berlusconi. «Ci guarderà dal cielo e sorriderà ai suoi allievi», ha detto Zanettin.

DELLE TRE RIFORME che formavano il patto di potere del centrodestra, la separazione delle carriere era la più arretrata dal punto di vista dell’iter parlamentare, rispetto al premierato e all’Autonomia differenziata, tanto è vero che un anno fa i forzisti protestavano per questo. Poi la Corte costituzionale ha cancellato la legge Calderoli e Meloni ha messo in frigorifero «la madre di tutte le riforme», il premierato.

Ora tra settembre e dicembre Camera e Senato procederanno alla seconda lettura conforme della separazione delle carriere, dopo di che arriverà il referendum nella primavera 2026. «Ora andiamo spediti verso il referendum nel 2026», ha detto il ministro Ciriani, ed anche il Guardasigilli Nordio si è detto favorevole a che i «cittadini si pronuncino su una materia importante e delicata».

Però Franceschini ha ricordato qualcosa che anche la maggioranza sa: «Il referendum nell’ultimo anno di legislatura sarà una consultazione inevitabilmente politica, contro il governo», come fu quello del 2016 sulla riforma Boschi-Renzi. Meloni, dunque, si giocherà tutto su una riforma di Berlusconi. Uno scenario da preparare.

Fdi fa buon viso a cattivo gioco: ha difeso la bontà della riforma con Alberto Balboni e con il capogruppo Lucio Malan. L’ex berlusconiana Maria Stella Gelmini, oggi con Noi Moderati, ha colto il rischio che un eccesso di assertività del centrodestra può implicare: «L’opposizione proverà a trasformare quel referendum in un sì o in un no a una riforma del Governo Meloni. Ma il rischio è che quel referendum si trasformi, proprio per la narrazione che è stata costruita contro la riforma, in una proposta contro la magistratura».

23/07/2025

da Il Manifesto

Kaspar Hauser

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