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La guerra e il disprezzo delle regole

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Israele-Iran. Bombardare un ospedale è inaccettabile, chiunque lo faccia; protestare come fa Netanyahu è pura ipocrisia se ci si è macchiati dello stesso crimine o se ne è condonata la commissione

«Israele sta facendo il lavoro sporco per noi». Pronunciando queste parole il cancelliere tedesco Friedrich Merz è riuscito a mandare in frantumi ciò che restava della credibilità dei paesi che hanno vinto la guerra fredda. Sarà compito degli storici comprendere se lo ha fatto di proposito, vale a dire per mandare un messaggio su un nuovo modo di concepire le relazioni internazionali, oppure perché è un politico mediocre. Comunque sia, ciò che quelle parole portano alla luce è il volto di un ceto politico che ha rinunciato a difendere l’aspirazione a un ordine internazionale basato sulle regole che l’Europa e gli Stati Uniti avevano promosso dopo il 1989, per sostituirla con la legge del più forte.

Le conseguenze di questo atteggiamento le vediamo da qualche tempo, con la violazione sistematica del diritto internazionale e la delegittimazione delle corti che dovrebbero sanzionarne le violazioni, ma ciò cui stiamo assistendo non è che l’inizio di quella che potrebbe rivelarsi una discesa nell’abisso di una negazione di elementari principi morali.

L’idea moderna di un sistema giuridico, quella che dobbiamo all’illuminismo, non può sopravvivere se si sgancia dalla presupposizione che coloro cui le regole si applicano abbiano diritto, come ha scritto Herbert Hart, «a una reciproca astensione da certi tipi di condotta dannosa». Per Hart, che scriveva all’inizio degli anni Sessanta del secolo scorso, una «simile struttura di diritti e obbligazioni reciproche, che prescrivono almeno i casi più gravi di danno, costituisce la base, se non la totalità, della moralità di ogni gruppo sociale. Essa ha l’effetto di creare tra gli individui un’eguaglianza morale e, in un certo senso, artificiale, per compensare le diseguaglianze naturali. Infatti, quando il codice morale proibisce a un uomo di derubare o usare violenza a un altro uomo, anche quando la forza o l’astuzia superiore gli consentirebbero di farlo impunemente, il forte e l’astuto sono posti allo stesso livello del debole e dell’ingenuo». Colpire i civili in modo indiscriminato in guerra, oppure bombardare un ospedale, è inaccettabile sia che lo faccia Israele sia che lo faccia l’Iran. Protestare in modo veemente, come hanno fatto ieri Netanyahu e i suoi sostenitori, è pura ipocrisia se ci si è macchiati dello stesso crimine o se ne è condonata la commissione. Se le regole non si applicano a Israele, non si applicano a nessuno, e ciò va a danno di tutti. Pensare che la forza o l’astuzia mettano al riparo da questo ritorno allo stato di natura è illusorio (vale per l’Iran e Israele, ma lo stesso si può dire di situazioni simili, in Russia, in Ucraina, o altrove, perché il principio cui allude Hart è generale).

La cruda immagine impiegata da Friedrich Merz ci riporta indietro di molti anni, a un tempo in cui le potenze europee (oggi alcuni direbbero “occidentali”) facevano ciò che volevano in buona parte del mondo, invocando principi morali in modo selettivo e finalizzato esclusivamente alla sottomissione delle popolazioni locali. Che questo avvenga nel caso dell’Iran oggi sconcerta, perché buona parte dei problemi che quel paese ha è il risultato delle interferenze di alcune potenze europee intente a perseguire i propri interessi puntando di volta in volta sugli interlocutori locali che con maggiore efficacia potevano fare il “lavoro sporco per loro”.

Le dinamiche che conducono all’involuzione della fragile monarchia di Reza Pahlavi, e alla rivoluzione che apre la strada all’istaurazione della repubblica islamica nel 1979, hanno una causa prossima nel 1953, quando un colpo di stato ordito dai servizi britannici e statunitensi rovescia il governo di Mohammad Mosaddegh (un anziano giurista che aveva studiato in Francia e in Svizzera, e preso parte alla “rivoluzione costituzionale” dei primi anni del secolo). La colpa di Mossaddegh era di voler riprendere il controllo del petrolio iraniano sottraendolo al patto diseguale di sfruttamento sancito dai termini della Anglo-Iranian Oil Company. Allora il “lavoro sporco” lo fece un generale iraniano, Fazlollah Zahedi, oggi lo farebbe Netanyahu, ma la mentalità coloniale rivelata dalla frase di Merz è la stessa, e per chi la subisce brucia come una ferita ancora aperta.

20/06/2025

da Il Manifesto

Mario Ricciardi

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