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Isolamento, violenze e accesso limitato all’informazione: i CPR, luoghi di detenzione senza controllo e senza legge

Isolamento, violenze e accesso limitato all’informazione: i CPR, luoghi di detenzione senza controllo e senza legge

Un anno fa, la morte di Ousmane Sylla, 22 anni, originario della Guinea, suicidatosi nel CPR di Ponte Galeria a Roma, ha riportato l'attenzione pubblica sulle drammatiche condizioni di vita in questi centri.

Quest'anno, nel mese di luglio, a riaccendere il dibattito è anche una sentenza della Corte Costituzionale, che solleva interrogativi sulla legittimità e sulle ambiguità normative che regolano il trattenimento amministrativo.

I CPR, Centri di permanenza per i rimpatri, sono luoghi di trattenimento del cittadino straniero in attesa di esecuzione di provvedimenti di espulsione. Le tempistiche di questi rimpatri sono regolate dal Testo unico sull´immigrazione, ma l'attuale limite, fino a 18 mesi, è stato ampliato nel 2023 dal governo Meloni con il decreto legge n. 124 del 2023. Il provvedimento ha aumentato le tempistiche di trattenimento da 3 mesi a 18 e consente proroghe successive in caso di difficoltà nel rimpatrio, fino a ulteriori 18 mesi. 

La norma ha suscitato preoccupazioni da parte di organizzazioni non governative come Amnesty International, avvocati, organismi nazionali e internazionali per i diritti umani che giá negli anni avevano più volte manifestato preoccupazione per il mancato rispetto, da parte del sistema di detenzione amministrativa, del diritto e degli standard internazionali.

I nodi centrali del dibattito pubblico sui Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) , introdotti per la prima volta nel 1998 e divenuti nel tempo sempre più restrittivi, riguardano la scarsa conformità delle loro modalità operative agli standard del diritto internazionale, nonché la tutela della dignità e della sicurezza delle persone trattenute.

Secondo numerose organizzazioni per i diritti umani, queste tutele sarebbero sistematicamente carenti, anche a causa di un vuoto normativo che lascia ampio margine all’arbitrarietà gestionale. A complicare il quadro, l'opacità che circonda il funzionamento dei CPR: l’assenza di trasparenza e di informazioni accessibili rende difficile ogni forma di monitoraggio. 

Luoghi inaccessibili e informazione negata

Comprendere le condizioni di trattenimento all'interno di questi centri è molto complicato. I CPR sono territori quasi impenetrabili. Nei dieci centri attivi in Italia, l’accesso per i giornalisti è quasi sempre negato, rendendo difficile documentare cosa accade al loro interno. Questi luoghi restano in gran parte sottratti allo sguardo pubblico e al controllo dell’informazione.

Chi riesce a entrare in un CPR lo fa grazie a ispezioni parlamentari o in delegazione con associazioni attive sul territorio. Anche in questi casi, l’accesso è limitato e fortemente condizionato. L’ultima visita documentata è quella del 27 maggio 2025, al CPR di Ponte Galeria, da parte della deputata del Partito Democratico Rachele Scarpa e dell’avvocata Martina Ciardullo (Progetto InLimine - ASGI). L’ispezione ha messo in luce una lunga serie di criticità; dalla scarsa igiene ai pasti di bassa qualità, dalla totale assenza di attività ricreative alle difficoltà di accesso alle cure mediche e psicologiche. 

Il report redatto dalla visita a Ponte Galeria da ASGI denuncia gravi lacune nell’assistenza a persone con vulnerabilità psichiatriche, l’assenza di protocolli per la prevenzione del suicidio e la quasi totale impossibilità per i trattenuti di comunicare con l’esterno o accedere a informazioni legali relative al proprio caso.

Un quadro che non rappresenta un'eccezione. I CPR, pur gestiti da enti diversi — nel caso di Roma, dal 17 febbraio 2025 la gestione è affidata a Ekene Onlus — presentano disfunzioni strutturali, evidenti in tutto il sistema e invariate nel tempo.

Il report Buchi Neri, curato da Federica Borlizzi e Gennaro Santoro per CILD (Coalizione Italiana Libertà e Diritti Civili) nel 2021, aveva analizzato i dieci CPR presenti in Italia e aveva denunciato violazioni sistematiche di tre diritti fondamentali: il diritto alla salute, il diritto all’informazione e alla difesa e il diritto alle relazioni affettive e alla libertà di comunicazione.

Le violenze documentate e le nuove limitazioni imposte dal Governo

Quando video e testimonianze riescono a oltrepassare i muri dell’isolamento raccontano spesso episodi di violenza. È il caso del CPR di Gradisca d’Isonzo (Friuli Venezia Giulia): il 6 giugno 2025 la rete "Mai più Lager – No ai CPR" ha diffuso sui social un video che mostra un presunto pestaggio da parte delle forze dell’ordine. Questi video documentavano la successione dei fatti avvenuti all’interno del CPR di Gradisca d’Isonzo la notte precedente, durante la quale uno dei trattenuti avrebbe subito un pestaggio da parte delle forze dell’ordine presenti.

I video del presunto pestaggio sono stati ripresi dal TG3 in un servizio il 19 giugno, nel quale si riporta anche la ricostruzione della Questura che, in una nota pubblicata da RaiNews, nega che ci sia stato un pestaggio e parla di caduta accidentale. Secondo il Siulp (Il Sindacato Italiano Unitario Lavoratori Polizia), il video sarebbe un montaggio di due episodi distinti: in uno, gli agenti intervengono per prevenire un atto di autolesionismo; nell’altro, un uomo si sarebbe spogliato volontariamente prima di essere accompagnato nel proprio modulo. Nessuna violenza, dunque, secondo la ricostruzione delle autorità. 

Nonostante neghi le violenze, il sindacato SIULP riconosce le criticità strutturali dei CPR, posizione condivisa anche da altri corpi di polizia che lamentano un malessere strutturale,  confermando la necessità di un ripensamento del sistema. Ne è un esempio il comunicato stampa diffuso dal SIAF (Sindacato Italiano Autonomo Finanzieri) il 9 luglio 2025, dal titolo: “Ancora aggressioni e violenze. Al CPR di Torino i finanzieri sono tutori dell’ordine o vittime?”. Il comunicato denuncia un episodio avvenuto nei giorni precedenti nel CPR di Torino, in cui un lavoratore è finito in ospedale con lesioni alla nuca.

Il comunicato, molto generico, non descrive le dinamiche dell’aggressione. Pur affermando che “non solo è necessaria una riforma strutturale dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio, che tenga conto delle reali esigenze di sicurezza del personale e della collettività, ma è indispensabile che essa avvenga in tempi rapidi”, non vi è alcun accenno alla natura del conflitto, alle condizioni precarie degli ospiti, né alle reali esigenze di sicurezza menzionate. 

Le ricostruzioni fornite dai sindacati dei lavoratori impiegati nei CPR offrono una visione parziale della realtà interna. Come nel caso di Gradisca d’Isonzo, dove la versione fornita dalle autorità e quella delle associazioni divergono drasticamente, il netto contrasto di narrazioni è emblematico dell´opacitá che caratterizza questi luoghi.

E mentre si accumulano denunce e segnalazioni, una nuova circolare del Ministero dell’Interno (18 aprile 2025) complica ulteriormente le cose. Il Viminale ha infatti ristretto l'accesso ispettivo ai CPR, limitando i poteri di parlamentari, eurodeputati e garanti. Viene vietato l'ingresso a collaboratori esterni, riducendo il controllo a una "visita simbolica". Anche la durata delle visite e i colloqui con i trattenuti vengono subordinati ai regolamenti interni dei Centri e alla discrezionalità del personale.Una condizione che non trova riscontro in nessuna norma di legge e che finisce per svuotare il significato stesso delle ispezioni, uniche fonti e modalitá di esplorazione, anche se limitata, di questi luoghi. 

Il risultato è una riduzione ulteriore della trasparenza nei confronti di luoghi che già operano nell’ombra. Una mossa che, come scrive l'avv. Arturo Raffaele Covella su Melting Pot, punta a "depotenziare uno degli strumenti di trasparenza più efficaci". È, afferma, l'ennesimo tentativo di riportare i CPR dentro quel "buco nero" che per anni ha nascosto violenze, abusi e diritti negati. 

La Consulta richiama il Parlamento: “Serve una legge sui CPR”

Il mese di luglio ha segnato un punto di svolta con alcune evoluzioni significative che però non hanno ancora portato a una reale risoluzione. Con la sentenza n. 96 del 3 luglio 2025, la Corte Costituzionale è intervenuta per la prima volta in modo diretto sul tema dei CPR. Pur dichiarando inammissibili i ricorsi presentati da alcuni giudici di pace, la Corte ha lanciato un segnale inequivocabile al legislatore: serve una legge chiara e completa per regolamentare il trattenimento amministrativo nei CPR.

Il caso era stato sollevato dal Giudice di pace di Roma, che aveva messo in discussione la legittimità dell’articolo 14 del Testo unico sull’immigrazione, sottolineando l’assenza di una cornice normativa adeguata. 

Nei CPR si finisce quando si è destinatari di un provvedimento di espulsione, e la detenzione amministrativa diventa possibile solo se vengono rispettate determinate condizioni. Delimitare la libertà personale per irregolaritá amministrative, come la mancanza di documenti, è possibile per un periodo limitato e deve avvenire nel rispetto della dignità della persona, secondo l’articolo 14 del Testo Unico sull’Immigrazione. La norma parla chiaramente di standard igienico-sanitari adeguati, diritto all’informazione sul proprio status giuridico e libertà di comunicare con l’esterno, anche telefonicamente.

Ma nella pratica, questi principi restano in larga parte sulla carta. A regolarli non è una legge primaria – come richiesto dall’articolo 13 della Costituzione per ogni forma di privazione della libertà – ma un regolamento secondario, il D.P.R. 394 del 1999. Una scelta che, secondo diversi esperti, mina la solidità giuridica del sistema e apre la porta a interpretazioni arbitrarie. In sostanza, le norme attualmente in vigore non rispondono ai criteri di precisione necessari.

A questo si aggiunge un altro nodo cruciale: manca un’autorità giudiziaria chiaramente designata a vigilare sulle condizioni effettive del trattenimento. Un vuoto che rende difficile garantire i diritti fondamentali delle persone trattenute, dal diritto alla salute a quello alla difesa legale. Come sottolinea l’avvocato Gennaro Santoro (CILD), «risulta poi totalmente omessa l’individuazione dell’autorità giudiziaria competente al controllo di legalità dei “modi” di privazione della libertà personale, parimenti oggetto di riserva assoluta di legge, con ripercussioni sul principio di eguaglianza, sul diritto di difesa, sulla tutela del diritto alla salute dei soggetti in stato di detenzione amministrativa». 

Sulla carta, gli ospiti dei CPR possono inviare reclami, anche in forma riservata, ai garanti dei diritti delle persone private della libertà. Ma anche questa possibilità è prevista da norme di secondo livello, senza un fondamento pienamente vincolante.

La Corte ha riconosciuto la fondatezza delle criticità sollevate, ma ha ribadito che spetta al Parlamento – non alla magistratura – colmare il vuoto normativo. Ha inoltre ricordato che esistono strumenti giuridici per tutelare i diritti dei trattenuti (come le misure d’urgenza o il risarcimento del danno), ma ha evidenziato che la gestione dei CPR richiede una disciplina di rango primario, cioè una legge dello Stato.

Non si è fatta attendere la reazione della rete “Mai più lager – No ai CPR”, che ha definito la sentenza un punto di svolta. Dopo la liberazione di un migrante trattenuto nel CPR di Macomer, la rete ha dichiarato: «È solo l’inizio. Da 27 anni lo Stato sequestra persone con una norma incostituzionale». In un comunicato riportato da Melting Pot, il network ha esortato avvocati e trattenuti a fare leva sulla pronuncia della Corte per richiedere la libertà in altri casi analoghi: «Ci auguriamo che vi si attinga a piene mani». 

Dal governo, invece, nessun commento ufficiale. Tuttavia, secondo quanto riportato da Il Manifesto, il Ministero dell’Interno starebbe lavorando a un intervento legislativo urgente per definire i contorni giuridici del trattenimento nei CPR. Una manovra pensata per colmare il vuoto normativo segnalato dalla Corte, prima che la pronuncia stessa possa rimettere in discussione l’intero impianto dei centri.

Al contrario, secondo alcuni, come Andrea Oleandri, chief operating officer della Coalizione Italiana Libertà e Diritti Civili (CILD), rimettere tutto in discussione sarebbe la condizione più adeguata, sia per chi vive nei centri sia per la comunità intera. “Serve un ripensamento profondo: non nuove leggi per rafforzare un sistema inefficace, ma politiche alternative alle irregolarità, incentrate su diritti, inclusione e sicurezza reale”.

28/07/2025

da Valigia blu

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