Eric Salerno consapevolmente feroce. “Il mondo apre finalmente gli occhi sulla fame a Gaza”. E l’impunità che è stata concessa ad Israele fino ad oggi. Una ong britannica racconta «il modello di impunità» seguito dall’esercito: investiga pochi crimini e non punisce i responsabili. Archiviate l’88% delle indagini su Gaza. Mentre nella Striscia di ruderi, oltre ai quotidiani morti ammazzati, si muore sempre più spesso di consunzione.
Giornata ordinaria di inizio agosto lontano dal fronte
Si potrebbe intitolare: Cronache di una giornata ordinaria, tra il triste e il ridicolo. Comincia con la lettura dei giornali. Le solite cronache di morte a Gaza, di assurde dichiarazioni di vari leader del mondo, il presidente americano Trump in primo piano. Non si erano mossi per difendere i sessanta mila assassinati dalle bombe israeliane sulla striscia e ora sembrano commossi per le notizie della popolazione palestinese affamata per le operazioni militari di Tel Aviv. Sul quotidiano Repubblica, lo scrittore israeliano David Grossman scopre la realtà di quello che sta facendo il suo Paese. “Per anni ho rifiutato di utilizzare questa parola: genocidio. Ma adesso non posso trattenermi dall’usarla, dopo quello che ho letto sui giornali, dopo le immagini che ho visto e dopo aver parlato con persone che sono state lì”.
Tra morire di guerra e morire di fame
- Sto partendo per un periodo di riposo e incontro la portiera. “Mi dica lei: come è possibile? Non riesco più a guardare le notizie e le immagini che arrivano da Gaza. Bambini che muoiono di fame nel nostro mondo di oggi? Non è guerra, è qualcosa di più. Anche in Ucraina c’è la guerra, ci sono i morti e i feriti, le case distrutte ma la gente non muore di fame”.
‘Parole, parole, parole’
Da più o meno una settimana le notizie che arrivano dalle organizzazioni internazionali sulle condizioni della popolazione palestinese della Striscia non raccontano solo devastazione e morte. E molti dei leader del nostro mondo, dalla Francia all’Italia, persino il capo della Casa Bianca sembrano veramente interessati a porre fine al massacro. “Parole, parole, parole”, cantava Mina anni fa. Parole, parole, parole escono dalle bocche dei capi ipocriti del nostro mondo. “Riconosceremo a settembre lo Stato palestinese”. Quale? Dove? E intanto l’Israele di Netanyahu, della destra messianica che lo controlla, va avanti bombardando non solo a Gaza.
Lo Stato palestinese dove?
I fatti di Gaza sono terrificanti. Le immagini satellitari dei danni compiuti in due anni sono di fronte a tutti. Gaza stato palestinese del futuro? E la Cisgiordania, la parte più ampia del territorio strappato ai palestinesi? Le operazioni militari di Tel Aviv vanno avanti anche là, tra Gerusalemme e il confine con la Giordania; villaggi interi vengono demoliti; i profughi delle guerre del passato diventano di nuovo profughi. E aumentano gli insediamenti dei coloni più agguerriti. “Vogliamo ridisegnare la mappa del Medio Oriente”, gridano nelle aule del parlamento israeliano e il mondo sta a guardare.
Il Grande Israele
Nemmeno una parola dai leader del mondo, compresi molti dei Paesi arabi, per le forze israeliane che hanno praticamente abbattuto le linee di demarcazione sulle alture del Golan territorio siriano annesso da Tel Aviv. Nuove basi sul Golan “siriano” quasi a ridosso di Damasco fanno pensare che Israele potrebbe avere mire territoriali anche su quel lembo di terra. “Era per noi strategicamente importante il controllo del Golan”, mi confessò anni fa un ufficiale israeliano “ma con le nuove tecnologie di guerra non è indispensabile”.
Trenta anni fa sul Golan
Una trentina di anni fa feci uno dei miei tanti viaggi su quelle alture da dove si dominava Israele. I colleghi dello straordinario mensile “Gambero Rosso” mi avevano chiesto di raccontare la storia delle cantine sorte sul territorio conquistato e occupato da Israele. I vini di Yardin erano e forse sono ancora tra i loro vini più buoni e famosi. Ci chiedevamo, allora, che fine avrebbero fatto se Siria e Israele arrivavano a un accordo di pace.
- La pace è sempre più distante, per tanti motivi, e mi ha sorpreso e un po’ fatto arrabbiare, vedere una fila di bottiglie del loro rosso entrando, all’ora di pranzo, in un nuovo locale – bar e vineria – da poco aperto nel centro di San Casciano dei bagni. E non soltanto perché la Toscana (e l’Italia in generale) ha poco bisogno di vini d’importazione.
04/08/2025
da Remocontro