Referendum. «Vado a votare ma non ritiro la scheda. È una delle opzioni» La presidente del Consiglio teme l’astensione sulle amministrative. Fratoianni: «È una pantomima vergognosa di chi ha tempo da perdere per prendere in giro gli italiani»
Sotto la pressione dell’opinione pubblica – e con lo spettro della debacle nella prossima tornata amministrativa -, la maschera cade. Mostra un po’ di agitazione, infatti, Giorgia Meloni quando prova a tenere insieme il rispetto per l’istituto referendario che ci si aspetterebbe dalla presidente del Consiglio e il furore della parte politica di cui è leader. E, con un pensiero alle elezioni o ai ballottaggi che si terranno in alcune città d’Italia in contemporanea con i referendum dell’8 e 9 giugno, risponde alle domande dei cronisti buttando lì una frase come fosse il croupier al gioco delle tre carte: «Vado a votare, non ritiro la scheda. È una delle opzioni». Lo ha detto ieri, 2 giugno, a margine della parata militare e proprio nel giorno del 79° anniversario del referendum che portò alla nascita della Repubblica, come ha tenuto a ricordare il presidente Mattarella.
PIÙ DIRETTO il ministro degli Esteri Antonio Tajani che, non calcolando il ritorno possibile del boomerang elettorale, e come avevano già fatto il presidente del Senato Ignazio La Russa e l’altro vice premier Matteo Salvini, ha optato per la versione più franca affermando che proprio non si recherà al seggio: «È previsto dalla Costituzione. Quando c’è un quorum, il non far scattare il quorum è un altro modo di votare. Lo hanno detto Napolitano – si è quasi giustificato il segretario di FI -, e anche Marco Pannella». Nessuno di loro è però entrato nel merito dei quesiti referendari (quattro sui diritti dei lavoratori e uno sulla cittadinanza) spiegando i motivi della loro opposizione.
Lo fa notare Elly Schlein: «Meloni prende in giro gli italiani», afferma, «ha paura della partecipazione e di dire la verità che è sotto gli occhi di tutti», ossia che «è contraria a contrastare la precarietà e migliorare la legge sulla cittadinanza. Invece di invitare all’astensione, e di farlo nel giorno della festa della Repubblica, avesse almeno il coraggio di andare a votare no. Noi invece – conclude la segretaria del Pd – voteremo convintamente 5 Sì, e saremo tanti!».
TRA I PRIMI a reagire inorridito è il leader di +Europa, Riccardo Magi, cresciuto proprio con i radicali di Pannella: «Quella di Giorgia Meloni è una dichiarazione furba ma falsa», attacca, spiegando che «i cittadini sono liberi di andare a votare e i leader politici di dare le proprie indicazioni, ma che la premier mandi messaggi confusi che invitano alla non partecipazione al voto è agghiacciante». Va ricordato che effettivamente, secondo una circolare del Viminale del maggio 2005, seguita a sentenze varie tra cui un pronunciamento della Cassazione del 1997, e come ribadito a pagina 72 del vademecum per gli scrutatori, è possibile recarsi alle urne e rifiutare le schede. Ma, come approfondisce Magi, «solo se l’elettore intende non ritirare alcune schede – alcune, non tutte – l’esercizio può considerarsi pratica non ostruzionistica delle operazioni di voto, visto che la procedura per annullare l’eventuale registrazione del votante che entra nel seggio, quando già avvenuta, o il timbro sulla tessera elettorale, quando già apposto, è una lunga perdita di tempo che non modifica in alcun modo la sostanza».
È contraria a contrastare la precarietà e migliorare la legge sulla cittadinanza. Ma non ha il coraggio di andare a votare no. In tanti invece voteremo 5 Sì
Elly Schlein
UNA POSIZIONE, quella della premier Meloni che «indigna ma non stupisce» Giuseppe Conte. «In fondo in quasi 30 anni di politica – scrive sui social il leader del M5S – non ha fatto nulla per tutelare chi lavora e si spacca la schiena ogni giorno, i ragazzi precari che non hanno la fortuna di aver fatto carriera in politica. È vergognoso che questo messaggio di astensione rispetto a una scelta importante arrivi da un Presidente del Consiglio il 2 giugno», giorno «della prima volta per le donne ammesse a un voto nazionale». Conte invita perciò «i nostri ragazzi a recuperare la storia di Teresa Mattei, che proprio in quel 2 giugno del 1946 fu la più giovane eletta all’assemblea Costituente e che si batté perché all’articolo 3 della Costituzione fosse inserita la libertà e l’uguaglianza “di fatto” per i cittadini, non a chiacchiere. Non sono liberi e uguali “di fatto” i lavoratori che non possono difendersi da licenziamenti, precariato, incidenti sul lavoro».
«MANCAVA SOLO la presidente del Consiglio, e la lista dei sabotatori del referendum è completa», fa il punto il verde Angelo Bonelli: «Non votano perché sanno di essere minoranza nel Paese, e usano l’astensionismo che a parole dicono di voler combattere a ogni elezione». È una «pantomima vergognosa» di chi «ha tempo da perdere per prendere in giro gli italiani», sintetizza il leader di Avs Nicola Fratoianni che però si dice certo che «gli italiani prenderanno quelle schede per dire chiaramente al Paese che ora basta: basta ricatti sul lavoro, basta bassi salari, basta precarietà, basta morti negli appalti, basta giovani senza diritti di cittadinanza. In questo Paese – conclude – nessuno è scemo e non si fa prendere in giro da chi vuole continuare a difendere privilegi, discriminazioni e sfruttamento. Spieghiamoglielo alla presidente del Consiglio Meloni con una valanga di 5 Sì».
03/06/2025
da Il Manifesto