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Il genocidio di Srebrenica: cosa non abbiamo imparato

Il genocidio di Srebrenica: cosa non abbiamo imparato

Tra i campi silenziosi vicino a Srebrenica, c'è un magazzino abbandonato e un cane legato a una catena. Non c’è nessuna targa o monumento che racconti di quale luogo si tratta. Per una persona non del posto, l’ex capannone agricolo di Kravica è uno spazio come un altro.

Ma per i cittadini che vivono intorno, questo capannone è il luogo di un massacro avvenuto il 14 luglio nel 1995, quando oltre mille uomini e ragazzi bosniaci musulmani, sotto l’ordine di Ratko Mladić, l’ex generale dell’Esercito della Republika Srpska, furono fucilati in poche ore. Il più giovane aveva solo tredici anni.

A pochi chilometri da Kravica, spicca un altro monumento, una croce serba di marmo bianco che commemora le vittime serbe della Seconda guerra mondiale e delle guerre degli anni ’90, promosso dalle autorità della Republika Srpska.

Il genocidio di Srebrenica che ha sconvolto tutto il mondo è avvenuto in una zona considerata sicura e protetta. Nel 1992 Srebrenica fu assediata dalle forze serbe sotto il comando di Ratko Mladić, all'epoca Capo di Stato Maggiore dell'esercito serbo. Le condizioni umanitarie all'interno della città erano estremamente difficili, mancavano i beni primari, il cibo, l’acqua, le medicine. Nel 1993 le Nazioni Unite designarono Srebrenica come "area protetta", sotto la tutela di un contingente olandese delle Forze di protezione delle Nazioni Unite (United Nations Protection Force -UNPROFOR), ma nel luglio 1995, le forze serbe, altamente equipaggiate, riuscirono a sfondare le difese di Srebrenica e, nonostante la presenza di truppe dell'ONU, la città fu rapidamente conquistata. In poche ore, i soldati serbi separarono gli adulti di sesso maschile, principalmente uomini e ragazzi, dalle donne, dagli anziani e dai bambini. Queste azioni contribuirono ulteriormente a disumanizzare le vittime, rendendole oggetto di crudeltà senza pietà. A partire dal 11 luglio, i soldati serbi iniziarono a massacrare in maniera indiscriminata gli uomini bosgnacchi. Nel giro di pochi giorni uccisero 8372 persone. 

Quello stesso giorno, davanti a una folla di giornalisti riuniti, il generale Ratko Mladić ha dichiarato: 'Alla vigilia di un'altra grande festa serba, facciamo dono di questa città al popolo serbo. È giunto il momento di vendicarsi dei Turchi”. Quella stessa notte, circa 15.000 uomini bosniaci musulmani si radunarono nella zona di Šušnjar e Jaglići, si incamminarono nei boschi nel tentativo di raggiungere territori liberi. Più di due terzi degli uomini che intrapresero quel percorso, che sarebbe stato ricordato come “La Marcia della morte”, fu catturato e ucciso dall’Esercito della Repubblica Serba. Nel frattempo, la base ONU a Potočari era sovraffollata di civili. Nel momento in cui i soldati dell’esercito serbo presero il controllo del campo, senza alcuna resistenza da parte delle forze ONU, fino a 6.000 rifugiati si trovavano all’interno della base olandese, mentre oltre 20.000 persone avevano trovato riparo negli edifici industriali circostanti. Oltre alla mancanza di cibo e acqua, i civili musulmani a Potočari furono sottoposti a indicibili abusi da parte dei soldati del VRS. I sopravvissuti hanno testimoniato torture, pestaggi, stupri e uccisioni.

Come è potuto accadere tutto questo, e in così poco tempo? A questa domanda, ancora oggi, non c’è una risposta precisa, se non dire che i genocidi sono sempre pianificati. I regimi di odio addestrano coloro che poi portano avanti la distruzione di un popolo. 

La portata del massacro sconvolse il mondo e spinse la comunità internazionale ad avviare procedimenti penali, rendendo questo caso uno dei rari casi di genocidio perseguito dopo l'Olocausto. Il Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia (ICTY) incriminò e arrestò 161 persone. Circa 90 furono condannate, tra cui Mladic e Radovan Karadzic. I procedimenti giudiziari hanno svolto un ruolo importante nel punire e emarginare questi leader, individualizzando la colpa invece di attribuire una responsabilità collettiva, riaffermando lo Stato di diritto e rendendo omaggio alle vittime. Ma Srebrenica mostra anche i limiti della legge, soprattutto quando le società non riescono a riconoscere adeguatamente tali atrocità e a eliminare l'odio che le ha provocate.

Srebrenica oggi, trent’anni dopo, è ancora un campo di battaglia. Da una parte, ci sono coloro che negano i fatti accaduti in una settimana del luglio del 1995, dall'altra, ci sono quelli che da oltre tre decenni cercano di difendere la verità. La lotta per la memoria di Srebrenica è oggi più globale che mai. In un mondo sempre più complicato, con due grandi conflitti in corso, le ferite della guerra in Bosnia del 1992 - 1995, sembrano riaprirsi di nuovo. Lo scorso marzo, Il Memoriale di Srebrenica ha dovuto chiudere temporaneamente per motivi di sicurezza e ha potuto riaprire solo dopo pressioni internazionali e rinforzi militari, ma sotto protezione armata.

Nel maggio 2024 le Nazioni Unite hanno adottato una risoluzione che dichiara l’11 luglio Giornata internazionale della memoria del genocidio di Srebrenica. Con 84 voti favorevoli, 19 contrari e 68 astensioni, il documento che è stato promosso da Germania e Rwanda, condanna il negazionismo e la glorificazione dei criminali di guerra. Serbia, Russia e Ungheria si sono schierate apertamente contro e il presidente serbo Aleksandar Vučić ha avvertito che la risoluzione potrebbe aprire un vaso di Pandora, alimentando il separatismo della Republika Srpska. In seguito a queste affermazioni, l’Associazione delle Vittime e dei Testimoni del Genocidio ha lanciato, nell’ottobre 2024, un nuovo sito web per monitorare e documentare tutte le forme di negazione del genocidio e dei crimini di guerra in Bosnia ed Erzegovina.

Come spiega a Valigia Blu Murat Tahirović, presidente dell’Associazione, ogni atto di negazione o di glorificazione viene ora accuratamente documentato, analizzato e inoltrato alle istituzioni competenti, compreso l’Ufficio del Procuratore della Bosnia ed Erzegovina, per ulteriori azioni. Tahirović sottolinea l’insufficienza del lavoro svolto dalle istituzioni giudiziarie nel perseguire la negazione del genocidio sulla base della legge del 2021.

Secondo un’analisi del Centro memoriale di Srebrenica, i mezzi di informazione della Repubblica Srpska e della Serbia svolgono un ruolo cruciale nel plasmare l’atteggiamento dell’opinione pubblica nei confronti del genocidio, con Milorad Dodik, leader dei nazionalisti serbo-bosniaci e presidente della Repubblica Srpska, che emerge come il più noto negazionista del genocidio.

Tahirović, che fu membro dell’Esercito della Bosnia ed Erzegovina, fu gravemente ferito al torace e all’addome e trascorse 59 giorni in un campo di detenzione, dal quale uscì con gravi conseguenze. Nel 2005 è stato eletto presidente dell’Associazione dei Detenuti nei Campi della Bosnia ed Erzegovina. 

Mentre Tahirović combatte contro il negazionismo e la glorificazione dei criminali di guerra, nel centro di Belgrado in Serbia in questi giorni è apparsa la scritta “L’unico genocidio che è stato commesso nei Balcani, è stato quello contro i serbi”. La negazione del genocidio è parte integrante della politica ufficiale in Serbia e del suo leader autoritario Aleksandar Vučić e le autorità di Repubblica Srpska, il cui presidente Milorad Dodik è stato condannato a un anno di reclusione e a sei anni di interdizione dai pubblici uffici per aver promulgato leggi separatiste. Dodik forse sarebbe stato arrestato il 23 aprile 2025, quando la polizia federale bosniaca ha tentato di fermarlo, se le forze della Republika Srpska non avessero impedito l’operazione. 

Il genocidio di Srebrenica è un campo di battaglia anche sui libri scolastici: anche nelle scuole si riflette la profonda divisione della Bosnia dove tre storie diverse vengono insegnate ai ragazzi, a seconda della loro nazionalità, serba, bosniaca o croata.  

Nel libro di storia per il nono anno scolastico scritto dal professore di storia presso la Facoltà di filosofia dell’Università di Banja Luka, Dragiša Vasić, in uso ufficiale nel programma scolastico della Republika Srpska da settembre 2024, figure come Ratko Mladić e Radovan Karadžić vengono presentate come personalità che hanno ricoperto ruoli militari e politici chiave durante la guerra. Karadžić è descritto come poeta, psichiatra e politico che ha contribuito in modo significativo alla creazione della Republika Srpska. Il testo omette qualsiasi riferimento alla sua condanna all’ergastolo per genocidio, crimini contro l’umanità e violazioni delle leggi di guerra da parte dell'ICTY, limitandosi a riportare che è stato consegnato al tribunale.

Ratko Mladić, ex comandante dell’Esercito della Repubblica Srpska, è presentato come un generale chiave nella difesa dei serbi in Croazia e come la figura più responsabile della creazione dell’entità serba in Bosnia ed Erzegovina. Sebbene si menzioni la sua estradizione all’Aja nel 2011, non vengono spiegate le motivazioni del trasferimento.

La fine della guerra nel 1995 viene descritta attraverso la conquista serba di Srebrenica e Žepa, la caduta della Repubblica Serba di Krajina, l’espulsione di 450.000 serbi dalla Croazia e la firma del cessate il fuoco di Dayton. Non vi è alcun accenno al genocidio di Srebrenica né alle sofferenze degli altri gruppi etnici.

D’altra parte, anche i libri di storia utilizzati nelle scuole della Federazione di Bosnia ed Erzegovina presentano imprecisioni e narrazioni parziali. Un manuale integrativo per il nono anno, scritto da Almir Bećirović e Nazim Ibrahimović, docenti di storia presso la Facoltà di filosofia dell’Università di Sarajevo, e introdotto nel curriculum del Cantone di Tuzla nel 2022, dedica 64 pagine alla dissoluzione della Jugoslavia, alla guerra in Bosnia, ai crimini di guerra e alla distruzione del patrimonio culturale e religioso. Il libro racconta il conflitto esclusivamente dal punto di vista delle vittime bosniache musulmane, escludendo le sofferenze degli altri gruppi etnici e i crimini commessi dall’Esercito della Bosnia ed Erzegovina, che sono stati documentati e perseguiti dal Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia (ICTY) e dal Tribunale di Bosnia ed Erzegovina.

Nel gennaio 2024, la Corte Costituzionale della Bosnia ed Erzegovina ha annullato una parte del curriculum scolastico della Republika Srpska relativa al “Capitolo 11: Republika Srpska e la Guerra Difensiva-Patriottica”, in seguito a un ricorso per la presunta glorificazione di criminali di guerra. Tuttavia, secondo Džana Brkanić, vicedirettrice del Balkan Investigative Reporting Network (BIRN), il libro è ancora in uso. 

“Le nostre analisi hanno mostrato che i libri di storia delle scuole primarie in Bosnia ed Erzegovina presentano tre versioni diverse della storia, spesso contenenti inesattezze,” afferma a Valigia Blu Brkanić. “Non possiamo dire che la storia venga insegnata meglio in alcune zone rispetto ad altre, ma possiamo certamente affermare che l’insegnamento è politicamente condizionato, modellato dalle visioni della popolazione maggioritaria, sia nella Federazione che nella Republika Srpska”.

In conclusione, oggi possiamo chiederci come è potuto accadere un evento del genere nel cuore dell’Europa. Possiamo anche chiederci perché del genocidio di Srebrenica, considerato uno dei più grandi massacri di massa dopo la Seconda Guerra Mondiale, non è rimasta una lezione per il mondo di oggi. Sono domande alle quali non è facile rispondere, se non dire che i genocidi sono sempre organizzati e pianificati e che la memoria è corta.

"Oltre alla ricerca della giustizia, le nazioni e le organizzazioni internazionali devono esercitare pressioni sui leader statali e politici affinché riconoscano i crimini dei loro governi. Devono promuovere una verità sistematica attraverso l'istruzione e la commemorazione, anche mediante scuse pubbliche, la riforma dei programmi scolastici, la rimozione dei monumenti per i criminali di guerra e il sostegno a una memoria pubblica che si faccia patrimonio collettivo", scrivono sul New York Times Dunja Mijatovic, ex commissaria per i diritti umani del Consiglio d'Europa, e Kenneth Roth, ex direttore esecutivo di Human Rights Watch. "Questi passi politici sono necessari per impedire ai responsabili di riscrivere la storia, affinché la giustizia possa mettere radici e aprire la strada a società rispettose dei diritti".

D'altra parte forse c’è la speranza di un futuro per le nuove generazioni. A pochi passi dal Centro memoriale di Srebrenica a Potočari si sente la musica. Sono i bambini che cantano e frequentano la scuola di musica “The House of Good Tones”. Sono di diverse etnie, bambini e ragazzi da 8 a 18 anni, provenienti da Srebrenica, Bratunac, Potočari e dai paesi vicini che frequentano questa scuola come forma di istruzione alternativa rispetto alla scuola tradizionale. Quando si arriva per la prima volta a Srebrenica, nell’aria si percepisce il genocidio, che non deve mai essere dimenticato. Ma c’è anche un aspetto importante: non bisogna restare solo ancorati al passato, ma prendersi cura delle persone vive, su cui bisogna investire e ricordargli che l’unica via verso la riconciliazione passa attraverso la consapevolezza e il rispetto per le vittime dell’altro.

11/07/2025

da Valigia blu

Tatjana Đorđević

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