«Dopo tre anni passati a santificare Volodymyr Zelensky e a esaltarne gesti e parole, nascondendo accuratamente ogni possibile spunto critico –denuncia InsideOver-, i media sembrano non far caso al coraggio e all’abilità con cui il Presidente ucraino sta gestendo questa fase della sua esperienza politica, forse la più complicata da quando, nel 2019, il 72,3% dei voti lo proiettò alla presidenza». La severa analisi di Fulvio Scaglione
Le mire della Casa Bianca di Trump
Oggi Zelensky deve guardarsi dalle mire della Casa Bianca di Donald Trump, che palesemente non lo ama e lo vorrebbe fuori dai piedi. Dalle manovre politiche e dalle offensive militari di Vladimir Putin, che punta ad approfittare di quanto appena detto e della prolungata difficoltà delle truppe ucraine sul campo. E dalle incertezze dell’Europa, che promette e invia aiuti ma non trova la compattezza necessaria per fornire quelle «garanzie di sicurezza che Kiev considera indispensabili per avviare una qualunque trattativa.
Futuro dell’Ucraina e di Zelensky
È una battaglia, quella attuale, che Zelensky combatte per il futuro del suo Paese e anche per il suo futuro politico e personale. Tra i tanti fronti su cui la battaglia si svolge c’è, meno indagato ma non meno importante, quello interno. È chiaro che finché resterà in vigore la legge marziale (ai primi di maggio dovrà eventualmente essere rinnovata) l’attuale assetto di potere sarà intoccabile, a meno di eventi traumatici (per esempio, un colpo di Stato militare nel caso che il fronte dovesse tracollare) che al momento non sembrano alle viste. Il dato più significativo, in questo periodo, è il ritorno in pista degli oligarchi, da sempre una delle più significative forze motrici della politica ucraina.
Il ritorno di Poroshenko
Nell’autunno 2021 Zelensky aveva fatto approvare dal Parlamento le due leggi cosiddette ‘anti-oligarchi’ che, oltre a risollevare il suo ‘rating’ allora piuttosto depresso, sembravano aver risolto, o ridimensionato il problema. In sostanza, chi rispondeva a una serie di caratteristiche (fortuna personale oltre 80 milioni di dollari, posizione dominante nei media, ecc. ecc.) veniva definito ‘oligarca’ e penalizzato da una serie di provvedimenti: divieto di partecipazione alle privatizzazioni, divieto di assumere cariche pubbliche, fiscalità sfavorevole e così via. Il punto fondamentale della legge stava nel fatto che a decidere chi fosse o non fosse un ‘oligarca’ (e quindi dovesse essere o non essere penalizzato) era il Consiglio di sicurezza, i cui membri erano e sono di nomina presidenziale.
I superpoteri di Zelensky
Di fatto, quindi, era lo stesso Zelensky a distribuire o ritirare la patente di correttezza ai super-ricchi dell’Ucraina. Questi, ovviamente, si erano inchinati. Poi l’invasione russa e la legge marziale avevano fatto il resto, trasformandoli quasi tutti in impeccabili patrioti.Gli oligarchi ucraini, però, come dei bambù, si erano solo piegati sotto la bufera, aspettando il momento buono per raddrizzarsi. Momento che, a quanto pare, ora sentono in avvicinamento. Il caso più evidente è quello dell’ex presidente Petro Poroshenko, storico oppositore di Zelensky. Clamorosamente sconfitto nel 2019, Poroshenko era stato emarginato e più volte messo sotto processo, negli ultimi anni, con le solite accuse di “tradimento” o di collaborazione con il nemico secessionista del Donbass.
Esercito, religione e lingua
Poco importava che, di fronte all’aggressione russa, Zelensky avesse adottato la piattaforma politica (esercito, religione e lingua) che aveva portato Poroshenko a perdere la presidenza. Con la guerra che va male e la prospettiva di una pace ‘non giusta’ che sembra farsi sempre più concreta, però, il nazionalista intransigente Poroshenko è pian piano tornato al centro della scena. E qualche settimana fa gli emissari di Donald Trump l’hanno incontrato (insieme con Julija Tymoshenko, altra avversaria di Zelensky), badando bene a farlo sapere. Risultato: ‘Solidarietà europea’, il partito di Poroshenko, nei più recenti sondaggi sopravanza ‘Servo del popolo’. E lo stesso oligarca non è poi così distante dallo stesso Zelensky.
L’attivismo di Akhmetov
Carriera politica o no, Poroshenko era e resta un oligarca. Un collega, quindi, di Rinat Akhmetov, un altro oligarca molto attivo in questo periodo. Akhmetov, un tataro del Volga di fede musulmana sunnita, è originario di Donetsk. Secondo Forbes, nel 2024 era ancora tra i mille uomini più ricchi del mondo (785°, per la precisione) ed è titolare di Metinvest, uno dei primi 50 gruppi al mondo nel settore della metallurgia e dell’acciaio. Ha tantissimi interessi nelle regioni ora occupate dalla Russia, a partire da Azovstal, l’acciaieria di Mariupol in cui si erano asserragliati e avevano a lungo resistito gli uomini del famoso Battaglione Azov.
Gli interessi economici degli oligarchi
Non può quindi stupire se le voci da Kiev lo danno impegnato a cercare di ricucire i contatti con il mondo politico e imprenditoriale russo, sfruttando un canale privilegiato: Roman Abramovich, l’oligarca russo che è un suo vecchio sodale e che nel 2022-2023 sembrava poter giocare un certo ruolo nelle trattative, poi fallite, tra Russia e Ucraina. L’idea di Akhmetov era di proporsi al Cremlino come una specie di ‘garante’, in nome degli affari, dei buoni rapporti futuri tra i due Paesi. E per questo appoggia le ambizioni di Oleksy Arestovich, un tempo agguerrito consigliere di Zelensky diventato leader militare e da tempo, invece, trasformatosi in suo critico all’insegna del realismo.
La lobby del gas e del petrolio
Un’altra frangia dell’oligarchia ucraina interessante dal punto di vista politico è quella che si è raccolta intorno ad alcuni tycoon del gas e del petrolio, in particolare Dmytro Firtash, già molto influente durante la presidenza di Viktor Jushenko e Viktor Janukovich. Gli Usa lo accusano di legami con la criminalità organizzata e hanno emesso nei suoi confronti un mandato di cattura. Firtash combatte da Vienna la richiesta di estradizione ed è curioso che i suoi avvocati siano due associati di Rudolph Giuliani, già avvocato personale di Donald Trump.
Ucraina ‘la Svizzera dell’Eurasia’?
Comunque sia, Firtash ha raccolto dietro di sé ex esponenti del partito filorusso Piattaforma di opposizione – Per la vita come Jurij Bojko e Serhiy Ljovochkin sulla base di un manifesto intitolato «Perché l’Ucraina non può essere la Svizzera dell’eurasia?». Facile intuire quale sia la proposta: «Un’Ucraina neutrale, partner economica e commerciale di tutti, alleata militare di nessuno». Una vecchia proposta che, qualche anno fa, avrebbe forse potuto evitare la guerra ma che oggi presuppone uno scontro frontale con le posizioni di Zelensky e con quelle dell’Europa, che immagina una «Ucraina porcospino», armata e concentrata sul ruolo di primo baluardo di un espansionismo russo che viene dato per inevitabile.
Ma Zelensky non è finito
Pare proprio, insomma, che gli oligarchi si stiano preparando a raccogliere l’eredità di Zelensky per indirizzare, come sempre hanno fatto, le sorti del Paese. Devono stare attenti, però, a non fare i conti senza l’oste: Zelensky sta affrontando sfide difficili ma non è certo finito. In più, ha mostrato, sia da imprenditore dello spettacolo sia da presidente, di saper cavalcare i marosi generati dagli oligarchi: quando, appena insediato, nominò il tecnocratico Governo Honcharuk, che aveva la mission di combattere gli oligarchi; quando, dopo pochi mesi, lo sostituì con una compagine di volti noti guidata dall’attuale premier Shmyhal, ch’era stato un manager di Akhmetov; e quando, come ricordato, ha fatto approvare le leggi anti-oligarchi.
Super-ricchi e Zelensky partita finale
Anche individualmente i super-ricchi ucraini devono fare attenzione. Akhmetov, a fine 2021, fu lambito da accuse orchestrate dallo stesso Zelensky, che lo vedevano potenziale finanziatore di un tentativo di colpo di Stato. Firtash, accusato di essere in torta coi russi, ha avuto molte proprietà sequestrate. Zelensky è un osso duro. E, secondo quanto dicono alcuni, avrebbe per gli oligarchi un piano B: un accordo per mandare alla presidenza, quando si tenessero elezioni, una figura di compromesso individuata nell’ex generale Valerij Zaluzhny. Soldato capace, personaggio assai popolare in patria ma politico di ridotto spessore. Un re travicello che potrebbe ottimamente fare da schermo ai patti tra i veri poteri forti dell’Ucraina: Zelensky con le forze armate e i servizi di sicurezza, gli oligarchi con la forza del denaro e delle competenze economiche.
07/04/2025
da Remocontro