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Il dito nella piaga

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C’è una scrittrice e attivista italiana che si chiama Djarah Kan. Ha scritto “Ladri di denti” per People, esprime spesso e pubblicamente il suo utile punto di vista in modo netto e chiaro. E questo è un bene, in tempi di intellettuali e giornalisti allineati e coperti. Ieri ho letto questa sua frase: “Beati quegli intellettuali che non hanno bisogno del lasciapassare morale di David Grossman per potersi schierare pubblicamente contro la cancellazione sistematica di un’intera popolazione”.

Mi ha incuriosito, ho letto tutto il testo in cui Djarah Kan parla del “mettere il dito nella piaga”, riferendosi all’episodio del Vangelo di Giovanni in cui San Tommaso, discepolo di Gesù, non crede al miracolo della resurrezione fin quando non tocca con mano, non mette il dito nella piaga del risorto.
Ecco, scrive la scrittrice: “Mettere le dita nella piaga di uno scrittore israeliano famoso in tutto il mondo al fine di essere sicuri di poter affermare che c’è un genocidio senza essere criticati o accusati di antisemitismo, è qualcosa di immensamente triste. La morte del pensiero critico e del coraggio. Coraggio che dovrebbe avere qualsiasi giornalista, filosofo o scrittore voglia fregiarsi di questo titolo. Quelli che oggi festeggiano ricondividendo la piaga di un intellettuale israeliano che deve arrendersi di fronte all’evidenza dei fatti, chiamando questo massacro con il suo legittimo nome, dovrebbero farsi venti giorni di vergogna, in un angolino dove fa sempre freddo e non batte mai il sole. Mentre la società civile vi implorava di mettere il dito nella piaga dei palestinesi, per conoscere e credere nella loro sofferenza oltre ogni irragionevole dubbio, voi sceglievate di non credere, di non informarvi, di non ascoltare i bollettini di guerra, le interviste dei giornalisti fatti saltare in aria. Tutto questo per la paura di perdere potere”.
“L’intellettuale che sceglie il caldo braccio del consenso culturale, non è un vero pensatore, ma un artigiano della propaganda pagato a cottimo, incapace sia di guardarsi dentro, che di guardare gli altri. Non c’era alcun bisogno di sentirsi moralmente protetti da un intellettuale israeliano per poter stare dalla parte di una popolazione disarmata di cui si sta progettando la totale cancellazione. Dicono che l’Occidente sia il luogo in cui sono depositate le più grandi riserve di libertà di pensiero del globo terrestre. Eppure avete dovuto aspettare che i proprietari ufficiali della parola genocidio vi slacciasse la museruola e allentassero il collare che fa di voi servi liberi di dire, ma contenti di servire”.

  • Parole dure? Beh, che altro dire nella patetica situazione italiana in cui i fascistelli eredi delle leggi razziali e della collaborazione attiva e criminale con le SS tedesche, antisemiti per costituzione, oggi possono accusare liberamente di antisemitismo chiunque non sia allineato e coperto con il governo genocida di Netanyahu? E che dire sui silenzi e le omissioni di personalità della cultura e del giornalismo che da anni fingono che sia tutto normale e titolano sui loro giornali “Guerra tra Israele e Hamas”, come se sparare in testa e ai testicoli di bambini affamati, inermi, in fila per un po’ di acqua e di farina non sia un crimine, ma guerra.

Beh, occorre far rumore. Con tutti i mezzi a disposizione, svegliare le coscienze, renderci conto che se non si pone un argine avanzerà l’efferatezza dei suprematisti, dei razzisti, dei padroni del mondo che fanno affari costruendo sempre più perfette macchine di morte da sperimentare, come fosse un videogioco osceno, sui corpi martoriati e indifesi dei palestinesi.

E prendere parte. Non genericamente, come certi profeti sgonfi di etica, per la pace per tutti. Ma per le vittime, per gli indifesi, per i bambini, per gli affamati, per chi è chiuso in un campo di concentramento. E contro il generone cultural-mediatico nazionale sempre pronto e mellifluo a scegliersi le battaglie comode, quelle sì urlate e super propagandate; quelle in cui, gira che ti rigira, non vengono intaccati gli interessi dei padroni del mondo… dei padroni in genere.

  • Djarah Kan parla di museruola, molto spesso autoimposta, ed è giusto così quando si parla di servi liberi di dire, ma felici di servire.

03/08/2025

da Remocontro

Antonio Cipriani

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