Il commercio interno dell’America Latina beneficia di una lingua comune, di una cultura in gran parte condivisa e di legami storici. In particolare, nel continente sono intensi gli scambi commerciali tra Messico, Brasile, Cile e Argentina.
La regione è però caratterizzata da una debolezza politica intrinseca. Infatti, nonostante abbia legami culturali e storici molto più stretti di quelli condivisi dai BRICS tra loro, nella politica internazionale l’America Latina non forma un blocco unito.
Nel passato decennio “progressista”, la cosiddetta “decada ganada”, la regione aveva cercato di avere una sola voce e si era data un’architettura istituzionale in cui, per la prima volta, non c’era la presenza ingombrante degli Stati Uniti e del Canada. Attraverso le organizzazioni UNASUR, CELAC, ALBA i Paesi del continente hanno cercato una propria strada, autonoma dal gigante del nord. Da subito è iniziata una “offensiva conservatrice”, guidata dalla Casabianca, per soffocare i vagiti di una integrazione regionale autonoma e riconquistare i governi del “cortile di casa”. Un obiettivo parzialmente raggiunto, con le vittorie delle destre in Argentina, Ecuador, El Salvador, Panama, Paraguay, Perù.
Più in generale, la regione deve affrontare tre insidie dello sviluppo: una bassa capacità di crescita; un’elevata disuguaglianza con una scarsa mobilità sociale e una debole coesione sociale; una capacità istituzionale e di governo poco efficaci.
I Paesi della regione possono migliorare le proprie politiche di attrazione degli investimenti e coordinarle con le politiche di sviluppo produttivo, in modo da aumentare anche il loro impatto sulle economie destinatarie. Secondo la CEPAL, “sebbene il panorama tra i Paesi sia eterogeneo, a livello regionale gli afflussi di capitali sono al secondo valore più basso dal 2010, gli annunci di progetti sono aumentati grazie al forte impulso di maggiori investimenti negli idrocarburi e le energie rinnovabili e i settori ad alta intensità tecnologica hanno perso quote di mercato” [ii].
I BRICS in America Latina
Quale posizione ha l’America Latina nei confronti dei BRICS? In che misura i singoli Paesi si sentono identificati con i loro obiettivi ?
Nella regione, l’unico Paese membro pieno dei BRICS (e socio fondatore) è il Brasile, mentre i nuovi Paesi associati sono Bolivia e Cuba. Oggi sono almeno cinque i Paesi latino-americani che aspirano a diventare membri a pieno titolo: Bolivia, Colombia, Cuba, Nicaragua e Venezuela. Ma sia i Paesi che si sono appena uniti ai BRICS come associati (Cuba e Bolivia), sia quelli che lo hanno chiesto come il Venezuela, hanno difficoltà economiche, visto il bloqueo (Cuba e Venezuela) e la destabilizzazione costante a cui sono sottoposti.
L’Argentina, che con il precedente governo di Alberto Fernández aveva dichiarato la volontà di farne parte, ha fatto marcia indietro con il nuovo governo Milei, dato il suo allineamento a Stati Uniti e Israele.
Viceversa, è ancora aperta la ferita della mancata entrata del Venezuela nel blocco, a causa dell’opposizione del Brasile. Una posizione che continua a far discutere e che approfondisce la distanza nei rapporti bilaterali. Come si sa, il blocco BRICS ha al suo interno importanti produttori di idrocarburi. E, sul versante dell’agenda energetica globale, la Repubblica bolivariana detiene le più importanti riserve petrolifere provate del pianeta, ed è al quarto posto per quanto riguarda le riserve di gas: risorse chiave per soddisfare le necessità energetiche e rafforzare la propria posizione internazionale.
Al vertice di Rio sono stati invitati come osservatori anche Cile, Colombia, Messico e Uruguay.
Il Presidente colombiano Gustavo Petro ha manifestato il proprio interesse a entrare nei BRICS, con il sostegno del presidente Lula che ha espresso il suo appoggio durante una visita di Stato in Colombia nel 2024.
Per quanto riguarda il Messico, sembra difficile la sua adesione, visti gli stretti legami economici e commerciali con gli Stati Uniti. Uno tra i più importanti legami è codificato plasticamente nel Trattato di Libero Commercio (TLC) tra Messico, Stati Uniti e Canada, nato come NAFTA e oggi ribattezzato come T-MEC.
Più in generale, non trattandosi di un blocco su basi ideologiche, è comprensibile che per entrare nei BRICS vi siano motivazioni diverse tra i nuovi membri, quelli associati e gli aspiranti.
Per alcuni, il blocco rappresenta un modo per accrescere la propria influenza regionale. Per altri sono attraenti le transazioni in valute locali, vista la carenza di divisa nei forzieri delle banche centrali e le condizionalità dei prestiti e dei programmi del FMI e della Banca Mondiale. Per altri ancora, la diversificazione dei rapporti commerciali e diplomatici è una condizione per non dipendere in maniera preponderante dal gigante statunitense.
Per aderire, i BRICS offrono flessibilità per il Sud globale, anche se alcuni Paesi sono alleati militari dei Paesi occidentali. Concentrarsi su un’agenda per lo sviluppo sostenibile, piuttosto che su differenze, è ancora un metodo utile per lavorare insieme in un gruppo ampliato.
La banca dei BRICS
La “banca dei BRICS”, la Nuova Banca di Sviluppo (NDB) rappresenta una alternativa concreta al FMI: eroga finanziamenti non condizionati da riforme strutturali imposte, bensì orientati allo sviluppo reale, alla resilienza sociale e alla transizione ecologica. Il suo uso prioritario di valute locali ed il sostegno a progetti di “infrastruttura verde” segna un cambio paradigmatico nella logica della cooperazione internazionale. Secondo i dati forniti dalla stessa NDB, sono oltre 30 i progetti finanziati per un totale di 33 miliardi di dollari, con un impatto significativo su trasporti, energia pulita e sviluppo urbano.
In America Latina, la Colombia è da poco entrata a far parte della banca come membro prestatore, l’Honduras ed il Nicaragua hanno chiesto di entrare. Il caso dell’Uruguay è più complesso. L’attuale governo di sinistra del Frente Amplio (insediatosi lo scorso marzo) non era a conoscenza della richiesta di adesione già presentata dal precedente governo di destra. Una richiesta che, nel frattempo, è stata accettata dal Consiglio di amministrazione della banca. “Con nostra sorpresa, il precedente governo aveva completato tutte le procedure per entrare nella banca”, ha spiegato il ministro degli Esteri, Mario Lubetkin, in una dichiarazione all’agenzia EFE. Dopo aver appreso la notizia, ad oggi il governo del Frente Amplio sta valutando la situazione.
I legami commerciali con i BRICS
Mentre il continente rimane aperto al commercio internazionale, da diversi anni alcuni Paesi hanno ampliato la propria cooperazione commerciale ed economica bilaterale anche con i Paesi BRICS, in particolare con Cina e Russia.
I Paesi latinoamericani esportano in Russia una serie di prodotti, tra cui caffè, cacao e latticini. Viceversa, nel caso della Russia e del Brasile, c’è un incremento degli scambi dalla Russia verso il Brasile, in particolare del diesel, combustibile fondamentale per il funzionamento della meccanizzazione e l’industria agricola brasiliana. E in queste ore, il Brasile (insieme all’India) ha ribadito la decisione di continuare a importare petrolio russo, nonostante le minacce del presidente statunitense Trump di ulteriori aumenti dei dazi se non smetteranno di promuovere valute alternative al dollaro e di importare energia dalla Russia.
La crescente presenza nel continente di Cina e Russia (e Iran) è vista come il fumo negli occhi da Washington che, direttamente o attraverso le missioni dei responsabili militari del Comando Sud, minaccia continuamente chiunque voglia sganciarsi dall’impero statunitense.
Il modello estrattivista
Cinquantatré anni dopo la pubblicazione del rapporto su I limiti dello sviluppo del Club di Roma, l’estrazione massiccia e accelerata delle risorse della Terra lascia aperta la contraddizione tra “sviluppo” e ambiente, con un modello “estrattivista” poco sostenibile che distrugge la natura, l’habitat umano e ipoteca interi territori [iii].
Non è quindi una sorpresa l’opposizione dei popoli originari che abitano nelle zone interessate e dei movimenti ambientalisti, preoccupati per l’impatto del processo e per il consolidamento di vere e proprie “zone di sacrificio”. D’altra parte, molti governi del continente non vogliono continuare ad essere alla guida di Paesi “mendicanti seduti su una miniera d’oro” ed hanno puntato sullo sfruttamento intensivo delle proprie risorse naturali.
Le aspettative del Brasile
Il Brasile, come membro a pieno titolo dei BRICS, svolge un ruolo chiave sulla scena globale. Il suo impegno per un approccio multilaterale in politica estera riflette la sua posizione tradizionale di potenza regionale con ambizioni globali ed interlocutore privilegiato dell’America Latina.
Fino ad oggi, il “gigante verde e oro” ha svolto un ruolo sostanzialmente moderato nel gruppo, ed ha mantenuto stretti legami sia con Stati Uniti che Europa. Questo implica una delicata posizione diplomatica, che deve navigare tra le esigenze di cooperazione con i paesi BRICS e il mantenimento di relazioni positive con l’Occidente.
Le novità di queste settimane sono state le minacce di Trump di aumento tariffario a chiunque commerciasse con i BRICS, nonché la sfacciata ingerenza nella politica interna del Brasile con la richiesta di liberare il golpista Bolsonaro ed annullare il processo a cui è sottoposto. Ma oltre al “ricatto giudiziario” specifico, la vera questione per Trump è il ruolo del Brasile nei BRICS ed il processo di sostituzione del dollaro nel commercio internazionale. Una volontà ribadita all’incontro dei BRICS a Rio negli interventi di Lula e di Dilma Rousseff, che non sono piaciuti a Trump.
Sul versante interno, Lula ha colto l’occasione per cavalcare l’ondata nazionalista e l’approccio del governo per affrontare la “crisi” è stato ineccepibile: ha ordinato al Ministero degli esteri Itamaraty di aprire negoziati commerciali e ha mobilitato gli imprenditori più colpiti dagli aumenti. Tra questi vi sono i settori economici più vicini al bolsonarismo, come l’agroalimentare che è stato il grande finanziatore del tentativo di colpo di Stato nel 2022/2023.
Il clima politico è cambiato e il governo ha ripreso l’offensiva. I sondaggi hanno mostrato una crescita dell’appoggio pubblico al governo Lula. In uno scenario politico interno impegnativo, nonostante le difficoltà e le importanti sfide socio-economiche e la presenza di una significativa ed aggressiva opposizione, i risultati internazionali del governo saranno cruciali.
Sul versante internazionale, il 6 agosto sono entrati ufficialmente in vigore i nuovi dazi statunitensi del 50% (prima al 10%) su una vasta gamma di prodotti brasiliani. La misura coinvolge circa il 36% delle esportazioni del Brasile verso gli Stati Uniti, secondo quanto riferito dal vicepresidente brasiliano Geraldo Alckmin. In caso di mancato accordo bilaterale, Brasilia ha annunciato l’intenzione di chiedere l’istituzione di un comitato arbitrale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) per valutare la legittimità delle tariffe imposte da Washington.
Di certo, le ultime decisioni di Trump hanno radicalizzato la posizione di Lula, che ha fatto appello ai BRICS per stabilire una risposta comune alle nuove tariffe. È una possibilità concreta, grazie ai nuovi equilibri, che configurano il blocco come uno spazio per relazioni bilaterali, come quelle tra Brasile e India o tra Brasile e Messico, che pianificano un rafforzamento commerciale.
Per quanto riguarda la Cina, dal lontano 2009 è il primo partner commerciale e la principale destinazione delle esportazioni brasiliane, in particolare di prodotti agricoli e minerali (soia, carne, minerale di ferro, petrolio). Il Brasile, dal canto suo, importa principalmente manufatti, tra cui automobili, semi-conduttori, pesticidi e fertilizzanti [iv]. Inoltre, il dragone asiatico ha effettuato investimenti significativi in Brasile, in particolare nei settori delle infrastrutture, dell’energia e della tecnologia.
Il Presidente Lula, durante i suoi tre mandati, ha promosso una politica di riavvicinamento all’Asia e all’Africa, migliorando fortemente sia la presenza brasiliana, che le attività commerciali anche in Medio Oriente. L’attuale presidenza dei BRICS (a rotazione), insieme alla riconferma di Dilma Rousseff come Presidente della New Development Bank dei BRICS, possono rafforzare il ruolo del Brasile all’interno del gruppo.
La sua attuale politica estera è quindi spostata verso iniziative globali, utilizzando il potenziale del gruppo per amplificare la sua influenza sulla scena mondiale.
La Bolivia al bivio ?
Dalla prima vittoria del Movimento al Socialismo nel 2006, lo Stato Plurinazionale della Bolivia ha posto l’accento sulla ridistribuzione sociale delle entrate statali, che derivano principalmente dalle risorse minerarie del paese. Com’è noto, la Bolivia possiede significative riserve di gas naturale e le più grandi riserve di litio al mondo, stimate in oltre 23 milioni di tonnellate. Sebbene l’esportazione di gas (soprattutto verso Brasile e Argentina) continui a essere una fonte tradizionale di entrate, la nazionalizzazione del litio nel 2008 ha segnato l’inizio degli sforzi per sviluppare questa industria, rendendola una priorità economica.
Tuttavia, a causa delle difficoltà nell’attrarre investimenti, della mancanza di capacità tecnologica nazionale e della resistenza delle popolazioni originarie e delle organizzazioni ambientaliste locali, lo sfruttamento del litio ha iniziato a concretizzarsi solo nel 2021, con la concessione di contratti a due aziende cinesi e a una russa, la Uranium One Group [v], filiale della compagnia statale Rosatom. In qualità di Paese associato ai BRICS, La Paz spera di rafforzare la propria posizione come fornitore di litio nel mercato globale. E data l’entità delle riserve, il governo boliviano è interessato ad attrarre un numero maggiore di investitori internazionali.
Già oggi i paesi BRICS occupano posizioni di rilievo nelle relazioni economiche della Bolivia. Il primo socio commerciale è la Cina, seguita dal Brasile e dall’India, che importano grandi quantità di oro boliviano. Oltre al commercio, la Cina sta investendo in infrastrutture e progetti tecnologici in Bolivia.
Per quanto riguarda la Russia, l’accordo sul litio fa parte di una più ampia strategia tra i due governi per incoraggiare gli investimenti in settori chiave. A margine del vertice BRICS di Kazan (2024), i presidenti Luis Arce e Vladimir Putin hanno discusso di tecnologie nucleari congiunte per l’uso pacifico dell’energia, nonché di cooperazione nell’istruzione e di altri programmi.
I BRICS potrebbero quindi rappresentare una nuova opportunità. Inoltre, La Paz e Mosca condividono principi comuni a sostegno del rafforzamento di un mondo multipolare.
Attualmente, la Bolivia affronta serie difficoltà nel reperire dollari e cerca di svincolarsi il più possibile dall’egemonia statunitense. Purtroppo, non aiuta la difficile situazione politica interna e l’incertezza sul risultato delle elezioni presidenziali e politiche del prossimo 17 agosto. La profonda divisione del campo popolare (che non appare reversibile) offre su un piatto d’argento la vittoria alle destre. Una possibile vittoria che rischia di smantellare completamente il progetto politico sviluppato nel Paese dal 2006. Se così sarà, è probabile che la Bolivia segua la strada dell’Argentina di Milei, con il ritiro dal blocco BRICS, approfondendo incertezza e pessimismo nella società boliviana per quanto riguarda le prospettive.
Le aspettative di Cuba
Per Cuba l’associazione ai BRICS potrebbe permettere di accedere a nuove tecnologie e a possibili crediti, per cercare di superare la crisi economica ed energetica, rafforzare e diversificare i legami commerciali con Paesi più grandi.
Le priorità principali dell’isola sono la lotta contro il bloqueo degli Stati Uniti e la ricerca di fonti di finanziamento alternative. L’entrata come associata ai BRICS non significa per Cuba un abbandono degli sforzi per stabilire una relazione positiva e di rispetto reciproco con Washington, un punto centrale per l’isola. Ma il sostegno dei BRICS rappresenta un’opportunità per superare la lunga e sfaccettata crisi che l’isola non è finora riuscita a risolvere da sola.
Già oggi, Cuba intrattiene relazioni commerciali con tutti i Paesi BRICS, anche se la sua quota del commercio totale rimane relativamente piccola. La Cina è al primo posto e nel 2018 Cuba ha aderito alla “Via della Seta”, anche se finora ciò non ha prodotto un impatto significativo.
Oltre alla Cina, i principali partner commerciali dell’Avana sono Venezuela, Spagna e Brasile. Più della metà del commercio estero cubano si concentra in America Latina, con la firma di accordi commerciali con Bolivia, Panama, Venezuela, Colombia ed altri.
Anche con la Russia c’è stata un’espansione dei legami commerciali ed economici. A fine luglio, la Russia ha annunciato l’interesse a realizzare un “polo tecnologico” nell’isola, per potenziare l’espansione internazionale del proprio settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. La proposta di Mosca consiste nella creazione di un “cluster” di aziende dei paesi BRICS e dell’Unione Economica Eurasiatica, orientato principalmente a fornire prodotti e servizi ai clienti in America Latina e nei Caraibi. In base all’annuncio, la “Silicon Valley” cubana si chiamerà Cayo Digital e sarà situata sull’Isla de la Juventud [vi].
L’Avana ha manifestato la sua volontà di approfondire la cooperazione con i BRICS sia in campo medico (in cui ha una consolidata esperienza internazionale), che nel settore delle biotecnologie.
Tuttavia, vista la nuova amministrazione alla Casa Bianca, le prospettive per L’Avana sono quelle di ulteriore “massima pressione” con le consuete politiche di destabilizzazione degli Stati Uniti.
E il Venezuela ?
Uno dei Paesi che condivide le aspirazioni di Cuba è il Venezuela, sottoposta da tempo a dure “misure coercitive unilaterali” (mal chiamate sanzioni) occidentali. Nonostante ciò, in base ai recenti annunci ufficiali, nel primo semestre del 2025 il Prodotto Interno Lordo (PIL) del Paese è cresciuto del 7,71%. Una crescita che supera le previsioni degli organismi internazionali, impulsata principalmente dall’attività petrolifera e mineraria [vii].
Nell’agosto 2023, il presidente venezuelano Nicolás Maduro aveva annunciato la richiesta formale di adesione del Venezuela come membro a pieno titolo del gruppo. Il Paese caraibico mantiene buone relazioni con i protagonisti del nuovo ordine mondiale emergente, e punta su un modello di cooperazione basato sul rispetto reciproco, sulla complementarità economica e sulla costruzione di alleanze che contribuiscano a uno sviluppo condiviso.
Da tempo, Caracas ha rafforzato i legami bilaterali con Russia, Cina e Iran, mentre le relazioni con altri membri dei BRICS sono più complesse.
L’India, ad esempio, è un mercato importante per il Venezuela e il governo bolivariano ha interesse a rafforzare le relazioni con il Paese asiatico. Il Venezuela ha mantenuto un saldo commerciale positivo con l’India, e i legami tra i due Paesi si basano principalmente sulla richiesta dell’India di petrolio. Infatti, nonostante la pressione statunitense, l’India continua ad acquistare “oro nero” da Caracas, insieme a derivati petroliferi ed alluminio. In base all’interesse ad aumentare le relazioni in altri settori, sono state esplorate nuove opportunità commerciali e di investimento in prodotti non tradizionali, oltre al settore petrolifero e farmaceutico, quest’ultimo in costante crescita.
La visita in India della vicepresidente venezuelana Delcy Rodríguez nel 2024 ha anche rafforzato il sostegno al Venezuela in un crescente contesto multipolare.
Gli stretti legami del Venezuela con la Russia e la Cina, nonché le sue forti relazioni con alcune nazioni asiatiche e africane potrebbero suggerire un’entrata futura nel blocco. Nel frattempo, il Venezuela mantiene solidi legami bilaterali con diversi membri dei BRICS, tra cui l’Iran e la Cina. Con quest’ultima, il governo bolivariano ha firmato nel 2023 un accordo di “Associazione strategica a prova di ogni tempo” (accordi simili esistono solo tra Pechino, Bielorussia e Pakistan).
Lo sgambetto del Brasile al Venezuela
Il veto del Brasile sull’inclusione del Venezuela nel gruppo BRICS ha esposto profonde contraddizioni nello spettro politico dell’America Latina. Lo sgambetto ha generato una forte reazione da parte di Caracas per cui l’adesione ai BRICS rappresenta un obiettivo chiave della politica estera.
I due Paesi hanno una storia recente di relazioni diplomatiche tese. Come si ricorderà c’era stata una rottura nel 2019, quando l’allora presidente brasiliano Jair Bolsonaro aveva riconosciuto uno sconosciuto personaggio dell’opposizione venezuelana, Juan Guaidò, come presidente auto-proclamato del Venezuela. I rapporti sono ripresi solo nel 2023 con il ritorno di Lula alla presidenza del Brasile. Tuttavia, le relazioni si sono di nuovo deteriorate dopo le elezioni presidenziali del Venezuela del luglio 2024, con la vittoria di Nicolás Maduro: i risultati elettorali, e quindi la legittimità del governo venezuelano, non sono stati riconosciuti dal Brasile.
Il divario tra le due nazioni è peggiorato con il veto del Brasile all’inclusione del Venezuela nei BRICS, suscitando un raffreddamento diplomatico. Ancora una volta, sebbene il Brasile potrebbe agire come uno dei motori chiave per l’integrazione regionale, purtroppo la sua politica estera dà le spalle al continente.
I BRICS e le sinistre
A differenza di quanto accade in Europa, le sinistre latino-americane seguono con molta attenzione le dinamiche dei BRICS. Non solo perché provengono da Paesi che non appartengono alla parte ricca del mondo inclusa nel G7. Ma anche perché non si ritengono intrinsecamente superiori, né soffrono di euro-centrismo, una malattia purtroppo molto contagiosa anche a sinistra.
Viceversa, forse abbagliata dai pochi titoli di giornale e dagli scarsi programmi televisivi che ne hanno parlato, la ex-socialdemocrazia ed alcuni settori della sinistra europea (in parte anche di quella “radicale”) ripetono la narrativa dominante che parla di un blocco debole, poco influente e non in grado di avanzare viste le profonde contraddizioni interne.
Da sinistra, le critiche si concentrano su una visione che sarebbe “campista”, mettono l’accento sulla diversità dei governi e dei regimi politici, sulla distanza ideologica con alcuni degli attori principali, etc. Una sottovalutazione che appare dettata da una certa cecità politica o da un’analisi degna di una sinistra “subalterna a sua maestà”, in sintonia con la narrativa dominante.
Come se le ricadute delle dinamiche internazionali sulle economie e società non avessero un impatto immediato nella vita quotidiana, a partire dalla borsa della spesa. O, peggio, come se la comprensione del quadro internazionale fosse in contrasto con la lotta di classe nazionale e non parte fondamentale della “cassetta degli attrezzi” per dare forza a quest’ultima. Così come lo è stato nella storia della migliore tradizione delle forze del movimento operaio, capace di coniugare le lotte nazionali a quelle globali.
Conclusioni
La guerra delle tariffe dichiarata dall’amministrazione Trump al resto del mondo, al di là di migliorare le entrate doganali a breve, può rappresentare un boomerang per l’economia degli Stati Uniti. Sottoposti a ostacoli e a dazi spropositati, molti dei Paesi del Sud globale (e non solo) stanno costruendo o rafforzando rapporti economici e commerciali alternativi.
In un mondo in accelerata transizione geo-politica, i Paesi dell’America Latina sono alla ricerca di meccanismi efficaci per far avanzare le loro posizioni. Le forme di cooperazione internazionale offerte dal blocco dei BRICS stanno emergendo come strumenti essenziali in questo sforzo.
I tentativi di stabilire politiche indipendenti, intraprese negli ultimi decenni da molti governi progressisti e di sinistra, non sono ancora una realtà consolidata. In una certa misura, è chiaro che la politica dell’amministrazione Trump verso la regione avrà un ruolo significativo nel definire la politica estera dei Paesi latinoamericani e la loro possibile partecipazione ai BRICS. In questo contesto, l’adesione al blocco potrebbe essere una leva per ridurre la dipendenza dagli Stati Uniti e creare percorsi alternativi.
Di fronte alle politiche di “disaccoppiamento” o di de-risking (rispettivamente degli Stati Uniti e dell’UE), l’ascesa diplomatica ed economica delle potenze emergenti è sempre più incisiva. Dalla prima rivoluzione industriale, è la prima volta che diversi Paesi non occidentali sono impegnati in investimenti all’estero e servizi finanziari su scala globale. Cina, India e Brasile sono attivi nel mercato mondiale, piuttosto che agire in loco.
L’ascesa collettiva delle economie emergenti ha cambiato le prospettive del Sud globale che, dal punto di vista dei BRICS, sta diventando un’importante forza trainante nell’evoluzione dell’ordine mondiale e ha migliorato le dinamiche della cooperazione Sud-Sud.
Per chi ancora non se ne fosse accorto, è finito il tempo delle colonie.
11/08/2025