11/12/2025
da Il Manifesto
Diritti al muro Palazzo Chigi esulta per il sostegno crescente, ma l’organizzazione internazionale fa scudo alla Convenzione europea e alla Corte
L’attacco al cuore dello stato di diritto è arrivato al Consiglio d’Europa. Ieri nell’ambito dell’organismo internazionale – da non confondere con istituzioni comunitarie come il Consiglio Ue o quello europeo – si è tenuta una riunione informale convocata dal segretario generale Alain Berset dopo la lettera promossa lo scorso maggio da Italia e Danimarca. Sette le firme raccolte in quel momento, poi cresciute nei mesi. Obiettivo: fissare dei paletti alla Corte europea dei diritti dell’uomo e aprire una discussione per la modifica della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Entrambe hanno come sigla «Cedu», altro elemento che crea confusione su un tema serissimo.
FONDAMENTALMENTE gli Stati nazionali vogliono cambiare alcune norme che tutelano in senso universalistico i diritti fondamentali, in particolare alzando l’asticella di quanto va considerato tortura o trattamento inumano e degradante e riducendo le garanzie al diritto all’unità familiare (articoli 3 e 8 della Carta). Secondo l’Italia governata dalla destra di Giorgia Meloni e la Danimarca della premier socialdemocratica Mett Frederiksen, cui è arrivato il sostegno senza condizioni del laburista Uk Keir Starmer, queste misure limitano la possibilità di realizzare i rimpatri. In particolare dei cittadini stranieri che hanno commesso reati gravi.
Sporchi, brutti e cattivi… si parte sempre da qua per andare a colpire i diritti faticosamente conquistati e codificati dalle norme sovraordinate dopo il dramma del nazifascismo e della Seconda guerra mondiale proprio per sottrarre agli Stati nazionali il potere, spesso l’arbitrio, sulla vita delle persone. Gli esiti di un’offensiva che accomuna estrema destra e centro-sinistra, comunque, restano tutti da vedere.
IERI PALAZZO CHIGI, in scia al ministro della giustizia Carlo Nordio, ha salutato con favore gli esiti della riunione che si è tenuta a Strasburgo. Raccogliamo «il sostegno della maggioranza degli Stati membri per portare il Consiglio d’Europa ad affrontare efficacemente le sfide relative alla migrazione e alla sicurezza», recita un comunicato della presidenza del Consiglio. In 27 paesi su 46 – maggioranza sì, ma risicata – hanno siglato una dichiarazione congiunta in cui, dopo le premesse di rito sull’importanza dei diritti umani, chiedono di anteporre il concetto di «sicurezza democratica» all’universalità delle garanzie. Prima il controllo delle frontiere, poi la vita delle persone.
Espulsioni semplificate degli stranieri condannati per reati gravi, chiarezza su cosa significhi trattamenti inumani e degradanti nei Paesi terzi dove effettuare le deportazioni e soluzioni innovative sulle politiche migratorie sono le richieste principali. Tra le firme mancano quelle eccellenti di Germania, Francia, Spagna e Portogallo. In compenso c’è quella dell’Ucraina.
DA PARTE SUA BERSET ha tenuto un discorso sul filo dell’equilibrismo, senza rinunciare a fissare dei punti chiari. Da un lato sostiene che la Convenzione europea dei diritti dell’uomo sia «uno strumento vivo», e dunque potenzialmente in grado di essere aggiornato ai tempi che corrono, dall’altro ribadisce che «in quanto strumento costituzionale dell’ordinamento giuridico europeo, costituisce la tutela definitiva dei diritti e delle libertà individuali». Ed è l’aggettivo «definitiva» quello più importante.
Importante anche il fatto che alla riunione informale non abbia partecipato la Corte Edu. La decisione, in accordo con il presidente del tribunale Mattias Guyomar (francese), è stata presa per «tutelare la separazione dei poteri». Segno che le bordate all’indipendenza dei giudici, guidate da Roma e Copenaghen, non sono andate a segno, almeno per ora. «Alcuni Stati ritengono che l’interpretazione in evoluzione della Corte abbia limitato la loro discrezionalità politica in determinate situazioni. Questa è una loro prerogativa. Allo stesso tempo, c’è qualcuno in questa sala che può onestamente affermare che la Convenzione e la giurisprudenza della Corte non hanno mai aiutato il loro Paese?», ha chiesto Berset.
ALLE FINE LE CONCLUSIONI ufficiali del meeting sono un rinvio. Quattro punti per chiedere al Comitato dei ministri degli esteri che si riunirà il prossimo maggio a Chisinau di: preparare una dichiarazione politica che bilanci i diritti garantiti dalla Convenzione alle sfide poste dall’immigrazione irregolare e dalla situazione degli stranieri condannati per reati gravi; ribadire il proprio sostegno a una nuova raccomandazione contro il traffico di migranti; valutare come il Consiglio d’Europa possa affrontare al meglio le urgenti questioni migratorie; incoraggiare il segretario generale a impegnarsi in discussioni a livello internazionale in materia di migrazione.
Incoraggiamenti, proposte di dichiarazione, raccomandazioni: l’offensiva anti-migranti di Meloni si sta facendo strada in un’Europa sempre più a destra, ma per le soluzioni concrete bisognerà attendere.

