Trump attacks. Nella seconda metropoli Usa arrivano anche i marine. Quinto giorno di proteste contro i rastrellamenti che seminano il panico
Il quinto giorno di proteste è coinciso con la mobilitazione di altri 2.000 riservisti, una decisione grottescamente sproporzionata alla realtà sul campo, soprattutto vista l’attivazione contemporanea anche di 700 Marines della vicina base di Camp Pendleton.
Un totale quindi di 4.700 soldati in assetto di guerra come figuranti di un film sceneggiato quasi interamente nella testa di Donald Trump.
Dopo aver strumentalizzato l’economia mondiale, il sistema universitario e la cooperazione internazionale in una rappresentazione conflittuale a tutto campo, il presidente degli Stati uniti sta innescando nella seconda città d’America il prossimo atto della mutazione totalitaria del paese. Non cessa di sottolinearlo il governatore della California, Gavin Newsom, che via social ha informato che il grosso delle truppe resta per ora acquartierato in locali di fortuna in attesa di ordini. Il governatore, sostenuto da una petizione firmata dai governatori di ogni stato democratico, ha querelato il governo federale confutando il commissariamento dei riservisti dello stato.
UFFICIALMENTE le truppe sono state attivate per «riportare la pace» in quella che Trump definisce «città dilaniata dalla violenza» ma, come ha scritto Newsom, il presidente «non cerca pace ma piuttosto la guerra», definendo «squilibrata» la decisione del segretario della difesa Pete Hegseth. Trump dal canto suo non ha escluso l’idea ventilata dallo «zar della deportazione» Tom Homan di arrestare il governatore.
La sottomissione della seconda città del paese alla volontà univoca del governo rientra nella narrazione dell’invasione di stranieri che stanno «scardinando il tessuto stesso della società» e nella criminalizzazione di chi non la sottoscrive. Come ha sostenuto la ministra Kristi Noem: «Più che una città di immigrati abbiamo a che fare con una città di criminali».
L’ESCALATION continua delle provocazioni intanto non fa che alimentare la volontà di difendere la propria città dal sopruso. Le proteste continuano quotidianamente soprattutto nel distretto del centro, un perimetro di una decina di isolati fra la vecchia missione spagnola e il complesso giudiziario federale fra Temple, Alameda, Los Angeles streets e l’autostrada 101. È qui che sono dislocati i cordoni della guardia nazionale di fronte ai quali si congregano le folle, di solito qualche centinaia di persone, molti giovani, studenti, ispanici, ovviamente in questa città a maggioranza di latinos, ma decisamente multietniche e intergenerazionali, unite da un senso solidarietà che rimanda alle grandi manifestazione di Black Lives Matter di cinque anni fa. Le richieste sono sempre le stesse: ritiro degli agenti federali e stop ai rastrellamenti indiscriminati che mirano a seminare il panico.
LA SINDACA, Karen Bass, ha nuovamente chiesto all’amministrazione di fermare i rastrellamenti. «Spero che il governo federale ascolti il nostro appello: fermate i raid», ha detto Bass. «Le incursioni stanno creando paura e caos nella nostra città, e sono inutili. Spero che verremo ascoltati perché la nostra città sta cercando di andare avanti e credo che il governo federale dovrebbe sostenerci in questo percorso». La realtà espressa da Bass è che al di là delle proteste, che verso sera vengono invariabilmente disperse dalla polizia con strascico di tafferugli e qualche arresto, non si intravede il modo di disinnescare la tensione senza un passo indietro del governo dall’insistenza di arrestare e far sparire chiunque abbia commesso il reato di «non essere in regola». Imporre questa modalità in una città col 30% di 14 milioni nati all’estero e potenzialmente un milione e mezzo di persone senza documenti equivarrebbe ad un’insostenibile deflagrazione sociale.
DA WASHINGTON non si percepisce tuttavia alcun segno di compromesso. Le persone detenute, compresi minorenni, sono mantenute segregate senza accesso a legali e senza notizie sulla loro ubicazione. Sembra confermata la loro presenza anche in locali di fortuna nel Federal Building, il centro direzionale non certo preposto alla detenzione, a volte senza accesso a bagni e cibo. In altre occasioni le persone vengono spostate nottetempo verso Cpr senza notifica alle famiglie che chiedono informazioni sui propri cari. Al Metropolitan Detention Center è stato negato l’accesso anche ai parlamentari democratici Maxine Waters, Jimmy Gomez e Norma Torres che a rigor di legge ne avrebbero titolo.
Fra i pochi detenuti rilasciati ad oggi vi è David Huerta, il segretario del sindacato Seiu (Service Employees International Union ), aggredito e arrestato venerdì scorso quando tentava di informarsi sull’arresto di 40 operai in una fabbrica di abbigliamento. Rilasciato su cauzione, Huerta è stato denunciato per resistenza a pubblico ufficiale e rischia in teoria fino a 6 anni di carcere. La vicenda ha galvanizzato il movimento sindacale che rappresenta tra l’altro il movimento più organizzato di militanza politica ispanica, data la preponderante maggioranza di latinos nella forza lavoro e nel settore dei servizi.
UNA MANIFESTAZIONE di solidarietà con Huerta lunedì ha di fatto allargato la resistenza al movimento sindacale, un nesso storico rappresentato dalla novantacinquenne Dolores Huerta già leader del movimento dei braccianti agricoli guidato negli anni 60 da Cesar Chavez, un mito della resistenza ispanica. Come lei gli intervenuti hanno tenuto ad inquadrare l’attuale lotta alle «grande deportazione» nel più ampio contesto della lotta di classe per l’uguaglianza economica.
«Dobbiamo allargare la protesta a un’offensiva contro il capitalismo», ha detto Cliff Smith, del sindacato degli edili. «E muoverci se necessario verso uno sciopero generale».
Manifestazioni di solidarietà con Huerta si sono tenute in dozzine di città americane, sottolineando le implicazioni nazionali della partita che si gioca a Los Angeles. È chiaro infatti, di contro, il disegno di collegare il conflitto artefatto alla promulgazione del Big Beutiful Bill, la legge omnibus che oltre a finanziare il complesso industriale della deportazione, sancirebbe col mastodontico sconto fiscale ai ricchi il progetto securitario e illiberale di Trump. Come ha postato il suo consigliere Stephen Miller: «Sostenete Ice, passate il Bbb».
11/06/2025
da Il Manifesto