Palestina. Dopo un mese e mezzo senza aiuti umanitari, la popolazione è arrivata sull’orlo della carestia. Il movimento islamico chiede il ritiro di Tel Aviv e il cessate il fuoco permanente, Netanyahu ha altri obiettivi. La catastrofe umanitaria sta ponendo due milioni di gazawi sull’orlo della morte per fame e malattie». Libreria araba a Gerusalemme Est: «La resistenza a colpi di libro». La deposizione del corpo.
I civili di Gaza a loro volta ostaggi
«I civili a Gaza sono stati trasformati in ostaggi. In Israele alcuni si battono ancora per gli ostaggi. A Gaza, sono soli». Si conclude così l’editoriale di Jack Khoury su Haaretz, narrazione a parole delle «orribili fotografie del disastro umanitario»: «L’uso della parola ‘guerra’ è fuorviante e distorto. Non è una guerra. È l’assalto senza freni di Israele a persone non coinvolte in alcuna azione contro di esso – continua Khoury – La lista di target israeliana è stata evasa da tempo…Israele sta attaccando siti civili densamente popolati…
Giornalisti palestinesi
Dall’atro lato della linea di demarcazione tra Gaza e Stato di Israele, è lo stesso racconto che fanno ogni giorno i giornalisti palestinesi, anche loro affamati e senza rifugio, testimonia Chiara Cruciati sul manifesto. «Nelle ultime ore tanta gente si è avvicinata chiedendo dove può trovare cibo, se ci sono punti di distribuzione – scrive da Gaza City Hani Mahmoud di al-Jazeera – La gente ha fame, lo si legge nei loro visi. Mezz’ora fa qui c’era un camion dell’acqua. Appena è comparso, gli sfollati dalle tende vicine sono arrivati a centinaia, bambini, donne, anziani, con in braccio brocche da riempire».
Campo di prigionia Gaza
I valichi sono chiusi da un mese e mezzo, gli aiuti marciscono al di là. Tel Aviv ha rivendicato, nelle dichiarazioni di diversi ministri, che la fame e la sete – insieme alla rinnovata pressione militare, ovvero raid indiscriminati – sono il miglior strumento di pressione per costringere Hamas ad accogliere le richieste israeliane.
Il movimento islamico
Giovedì sera il movimento islamico ha rigettato l’ultima proposta del governo Netanyahu, perché parlava di disarmo del gruppo ma non di cessate il fuoco permanente, né di ritiro delle truppe israeliane da Gaza. Ha aggiunto di essere pronto a un negoziato all’interno di un quadro più ampio: il rilascio di tutti gli ostaggi israeliani in una sola volta e un orizzonte di lungo periodo, ovvero cessate il fuoco permanente e ritiro israeliano.
Inferno Gaza
Intanto Gaza resta un inferno: i bambini, raccontano i medici palestinesi, giungono negli ospedali denutriti, una condizione che sta provocando infezioni difficilmente curabili da un sistema sanitario ormai privo di tutto. Non entra il cibo ma nemmeno le medicine e le strumentazioni mediche. E non entra il gasolio necessario ai generatori (quelli che tengono operativi gli ospedali e i desalinizzatori, visto che Israele ha tagliato anche l’elettricità). Ieri la protezione civile ha avvertito del rischio di dover fermare le operazioni di soccorso nei prossimi giorni: non c’è benzina per le ambulanze.
Governo di criminali
Gli allarmi fanno il paio con i numeri forniti dall’Onu: dal 18 marzo 420mila palestinesi sono stati costretti a sfollare di nuovo a causa degli ordini di evacuazione dell’esercito israeliano sul 69% dell’intera Striscia; 50 uccisi ieri, tra cui sette membri della famiglia Nassar a Zeitoun, sei a Khan Younis, dieci in una casa a Bani Suheila.
Libreria araba a Gerusalemme Est
L’Educational bookshop è stato perquisito due volte, tre i proprietari arrestati «Non solo vendiamo libri, creiamo un incontro». Il piano terra trabocca di libri: quasi due migliaia di testi in inglese, altri in arabo, francese, tedesco. Perfino degli esemplari in italiano. Ciascuno racconta nella sua lingua – e dalla sua prospettiva – la Palestina
«La resistenza a colpi di libro»
«Niente è cambiato all’Educational Bookshop di Gerusalemme Est», racconta Lucia Capuzzi, inviata di Avvenire a Gerusalemme. Migliaia e migliaia di libri in molte lingue ed un solo argomento: la Palestina, letta anche come ‘Terra Santa’. «Ma non mancano volumi di archeologia, musica, guide di viaggio, romanzi degli scrittori più differenti, inclusi molti israeliani. Sopra, al termine della scala di legno, si respira la tradizionale quiete da biblioteca che attira studenti e lavoratori in smart working: intorno ai tavoli quadrati, i primi preparano gli esami e i secondi prendono una pausa dalla scrivania di casa».
Guai costanti con la polizia
Ahmed Muna saluta chiunque entri con il solito misto di gentilezza e ironia. Anche sui guai con la polizia scherza: «I sette agenti israeliani in borghese che hanno fatto la prima perquisizione conoscevano solo l’ebraico. Prima hanno provato a orientarsi con il traduttore automatico sul telefono. Così, però, impiegavano troppo tempo. Allora si sono basati sulle copertine ed eventuali foto all’interno… ». Dopo due ore e mezza di ricerche, il 9 febbraio scorso, sono usciti con trecento testi e due dei proprietari in stato di fermo. «Per cosa? Non l’abbiamo capito. Prima dicevano di cercare materiale terroristico che, ovviamente, non c’era. Poi, dopo l’interrogatorio, ci hanno accusato di ‘disturbo alla quiete pubblica’», aggiunge Ahmed, portato al commissariato insieme allo zio Mahmoud.
Regime repressivo
Il caso nei loro confronti è ancora aperto, come gli ha precisato il giudice prima di rilasciarli dopo averli tenuti in custodia un giorno e mezzo. Nel frattempo, l’11 marzo, c’è stato un secondo blitz con sequestro di altri 50 libri e l’arresto per alcune ore di Imad, padre di Ahmed.
Cultura come resistenza
L’Educational Bookshop, però, rifiuta di cedere al clima di guerra che ha fatto irruzione anche fra i suoi scaffali. «Abbiamo riaperto subito e lo siamo sempre rimasti. Poiché mio zio e io siamo stati interdetti dalla libreria per venti giorni, abbiamo contrattato dei sostituti. Non potevamo chiudere. Questo luogo è un’icona». In arabo, il suo nome, oltre a educazione, vuol dire ‘conoscenza’. E la conoscenza è la precondizione per l’inclusione».
La Porta di Damasco
Non a caso la libreria è un riferimento per la comunità della Porta di Damasco ma anche per il resto della città, ben oltre l’ex linea di spartizione tra le due metà. Nata 41 anni fa come rivendita di libri arabi e cartoleria, è cresciuta grazie all’idea della famiglia Muna di aprirsi al mercato estero, importando testi in inglese. Nel 2009 è arrivata la seconda sede specializzata in volumi internazionali e situata di fronte al negozio originario, ancora in funzione, sul lato opposto di Salah al-Din road.
Caffè letterario
All’interno anche un bar: il primo caffè letterario di Israele e Palestina. «Non ci limitiamo a vendere libri. Attraverso eventi e corsi di arabo promuoviamo l’incontro. L’Educational Bookshop è aperto a tutti, di qualunque nazione, fede, quartiere di Gerusalemme – conclude Ahmed –. È un luogo di scambio, di discussione e riflessione dove ognuno è benvenuto. Forse è questo a spaventare quanti, in questo momento come non mai, cercano di schiacciare le differenze ed esasperano le divisioni. La conoscenza unisce. Ciò che fa l’Educational Bookshop».
Gaza per i credenti, la deposizione del corpo
19/04/2025
da Remocontro