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Frutta e verdura nei supermercati: il ricatto silenzioso della grande distribuzione

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Frutta e verdura dal calibro perfetto, senza difetti e sempre più cara? Dietro ad ogni prodotto ortofrutticolo che troviamo sugli scaffali del supermercato si cela un sistema opaco e, per molti versi, spietato. Lo racconta con lucidità Stefano Liberti nel suo articolo pubblicato pochi giorni fa su Internazionale, un’inchiesta che mette a nudo le dinamiche inique – e poco conosciute – che regolano il rapporto tra grande distribuzione organizzata (Gdo) e mondo agricolo.

Frutta e verdura e… ristorno

Al centro del racconto c’è la pratica del “ristorno”, ovvero una quota del fatturato che ogni produttore agricolo è costretto a restituire alle catene di supermercati alla fine dell’anno. “Sconto in fattura del 10 per cento. È nero su bianco”, afferma il responsabile operativo di un importante gruppo ortofrutticolo. In pratica, un tributo obbligatorio per avere spazio sugli scaffali. E non si tratta di un’eccezione ma di una regola generalizzata, una tassa d’ingresso imposta unilateralmente. “In media si tratta del 10 per cento, ma ci sono catene che chiedono anche il 12, il 13, fino al 14 per cento”, rivela ancora l’operatore. Ma la cifra non è simbolica: per molte aziende agricole, quella percentuale rappresenta la differenza tra la sopravvivenza e il fallimento.

Questa dinamica è una delle tante che alimentano una struttura profondamente sbilanciata. Gli agricoltori, spesso frammentati e isolati, sono costretti ad accettare condizioni imposte, in un contesto di contrattazione digitale al ribasso, consegne a orari impossibili, verifiche continue e “percentuali di scarto decise arbitrariamente”.

Il risultato? “Su cento euro spesi dai consumatori, solo 7 finiscono effettivamente nelle mani degli agricoltori come utile netto”, denuncia un recente rapporto dell’Ismea. Il valore della filiera viene drenato verso l’alto, mentre il comparto agricolo resta in affanno, stretto tra costi crescenti e prezzi imposti.

Commessa di un supermercato sistema/mette i prezzi a frutta e verdura nel reparto ortofrutta

Gli agricoltori sono costretti ad accettare condizioni imposte dalla Gdo per la vendita di frutta e verdura

La normativa

Nel 2019, l’Unione europea ha tentato di mettere ordine, vietando alcune pratiche sleali e formalizzandone altre. L’Italia ha recepito la direttiva nel 2021 con la legge 198, andando anche oltre: “ha vietato le aste elettroniche al doppio ribasso, la vendita sottocosto e ha affidato all’Icqrf* la vigilanza sul rispetto delle norme”.

Tuttavia, molte delle pratiche più dannose – come i ristorni o le promozioni forzate – sono finite nella lista “grigia”, ovvero legali se inserite per iscritto nei contratti. “È perfino peggio: stiamo autocertificando la riduzione del nostro utile”, commenta amaro un operatore del settore.

Le promozioni

Una delle distorsioni più gravi riguarda le promozioni, un tempo pensate per aiutare i produttori a smaltire i surplus. “L’idea alla base delle promozioni- spiega Liberti – si è rovesciata: da strumento di sostegno al produttore sono diventate una leva commerciale imposta dalla distribuzione”. Oggi, i supermercati decidono in autonomia offerte e prezzi di frutta e verdura, che il fornitore deve accettare anche se comportano perdite.

A questo si aggiungono le specifiche qualitative imposte in modo rigido: “ci sono catene che vogliono solo pesche da 65 a 72 millimetri” -racconta un altro operatore intervistato da Liberti – “E se ne hai da 64 o 73, non vanno bene. Anche se sono perfette”. I frutti imperfetti, ma ancora commestibili, finiscono fuori mercato, magari svenduti all’industria o buttati. Il tutto mentre il consumatore è ignaro dei sacrifici (e degli scarti inutili) che avvengono lungo la filiera.

Donna chiude un sacchetto di mele tra i banchi dell'ortofrutta del supermercato; concept: frutta, sacchetti

I supermercati decidono in autonomia offerte e prezzi di frutta e verdura

La “filiera agroalimentare” diventa così un’arena dominata da rapporti di forza completamente sbilanciati. Le aziende agricole non hanno più margini di manovra: i listini cambiano fino a tre volte alla settimana, le trattative sono “muscolari”, e anche i materiali di confezionamento sono imposti. “Anche se costano più della media, anche se paghiamo molto di più, è tutto imposto”. Quello che resta, spesso, è solo un bilancio in rosso. Il caso delle pesche è emblematico: su due euro pagati dal consumatore, “all’agricoltore restano trenta centesimi”.

Anonimato e paura

A rendere il quadro ancora più inquietante è il silenzio che avvolge l’intero sistema. Nell’inchiesta Liberti più volte spiega che “tutti chiedono l’anonimato… per una questione di sopravvivenza”. Perché chi denuncia, spesso, viene messo da parte: “È finito fuori dal giro. Cancellato. Il nostro settore ha la memoria lunga e la pelle sottile”.

Gli agricoltori restano soli, mentre le catene distributive – secondo un’analisi dell’Area Studi Mediobanca – continuano a registrare utili miliardari. L’Eurospin, in testa, con 1,56 miliardi.

persone che raccolgono nei campi frutta e verdura

Solo 7 euro su 100 spesi in frutta e verdura arrivano effettivamente agli agricoltori

Il dibattito

L’inchiesta di Liberti ha scoperchiato il vaso di pandora, dando il via a un acceso dibattito anche sulle pagine della principale rivista di settore, Fresh Plaza. Qui, prende parola Giancarlo Amitrano responsabile ufficio acquisti ortofrutta catena Cedigros, che in una nota particolarmente ampollosa e ricca di metafore marinaresche sostiene che non esista alcuna forma di sopruso, e che i rapporti con la Gdo sono chiari.

Gli risponde con una serie di domande circostanziate, “basate su fatti e dati ricorrenti”, l’avvocato Roveda. Le riproponiamo qui perché ci sembra denunci in maniera sintetica e puntuale la relazione tossica, sbilanciata e insostenibile tra Gdo e aziende agricole.

  1. È vero, chiede l’avvocato Roveda, che il governo Monti prima, l’Unione Europea poi e infine il legislatore italiano siano intervenuti per contenere gli effetti distorsivi del potere d’acquisto (buyer power) nella filiera agroalimentare?
  2. È vero – prosegue – che tali distorsioni abbiano comportato danni economici stimati in almeno 350 milioni di euro all’anno solo in Italia, inducendo così l’UE ad adottare una specifica direttiva contro le pratiche sleali?
  3. È corretto affermare che solo 7 euro su 100 spesi in alimenti arrivino effettivamente agli agricoltori, come riportato nei dati ufficiali dell’ISMEA?
  4. È vero che in Emilia-Romagna si siano perse il 70% delle superfici coltivate e il 69% della produzione, e che in Veneto i numeri siano addirittura peggiori (73% e 62%)?
  5. Deve ritenersi attendibile – chiede ancora – che, secondo Agri 2000 Net, siano a rischio chiusura fino a 30.000 aziende agricole nella sola Emilia-Romagna?
  6. 6È corretto sostenere che la causa principale di questi numeri drammatici risieda nell’impossibilità, per molte imprese agricole, di spuntare prezzi sostenibili, al punto da essere costrette all’espianto?
  7. Si può affermare, continua l’avvocato, che la pratica dei ristorni sia diffusamente imposta, e che i fornitori, se potessero, rinuncerebbero volentieri a contribuire a spese di volantini, pubblicità, logistica o nuove aperture, tutte richieste dalla GDO?
  8. È vero che le richieste di ristorno si aggirino attorno al 10%, ma possano arrivare anche al 12, 13 o 14% a seconda della forza contrattuale del fornitore?
  9. È vero che il sistema si regga su una somma di condizioni fortemente penalizzanti per i produttori, come sconti imposti, percentuali di scarto fissate unilateralmente, trattative digitali al ribasso, orari di consegna sfavorevoli e verifiche che possono rigettare intere partite per minimi difetti?
  10. È corretto dire che, secondo la testimonianza di molti fornitori, la formula “lo sconto non si discute” sia una prassi non scritta ma consolidata nelle relazioni con la grande distribuzione?
  11. È vero che gli sconti imposti dai buyer non si traducono in un risparmio per i consumatori, ma piuttosto in margini aggiuntivi per le catene distributive?
  12. È credibile che su una pesca venduta a 2 euro al chilo al supermercato, il produttore riceva solo 1 euro lordo, dal quale vanno sottratti i costi di confezionamento, trasporto, lavorazione, ristorni, con un guadagno netto che, nella migliore delle ipotesi, si ferma a 30 centesimi?
  13. È realistico affermare che, anche dopo un prezzo concordato, i fornitori ricevano telefonate dai buyer che li avvisano che in Spagna o in Grecia lo stesso prodotto costa meno, lasciando intendere che o si accetta il ribasso o si viene esclusi dalla fornitura?
  14. È vero, che le promozioni – nate per agevolare il mercato in caso di surplus – siano oggi imposte dalla distribuzione, che ne decide modalità e prezzo, scaricando sul fornitore il compito di “farci stare dentro” anche vendendo sottocosto?
  15. Infine, conclude l’avvocato, è plausibile che molti fornitori non possano scegliere liberamente nemmeno gli imballaggi, dovendo rivolgersi a fornitori indicati dalla GDO – spesso più costosi – e che parte di quei costi, secondo le opinioni raccolte, finisca direttamente o indirettamente nelle casse delle insegne della distribuzione?

* ICQRF – Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari

23/07/2025

da Il Fatto Alimentare

Valeria Nardi

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