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Francia, la politica serra i ranghi: teme la piazza

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Parigi brucia? Non ancora. Ma Fitch declassa il rating da AA- ad A+ e boccia i conti pubblici. Situazione di scollamento, tra cittadini e istituzioni politiche, sta generando fibrillazioni in tutta la Francia. E di fronte ai minacciosi segnali che arrivano dalle piazze, il Presidente Macron ha affidato in un giorno l’incarico di formare un nuovo esecutivo a Sebastien Lecornu, ministro della Difesa

Lecornu speriamo fortunato

Certo, Monsieur Le President non si smentisce, e continua ad allungare la sua lunga lista di primi ministri ‘usa e getta’, ossessionato dall’obiettivo di scaricare su altri colpe che, in buona sostanza, sono per la maggior parte sue. Ma se cambia il direttore d’orchestra, i musicanti sono sempre gli stessi e, soprattutto, gli spartiti da seguire sono ‘obbligatori’. Cioè, Lecornu non ha nessuna bacchetta magica e i problemi francesi di ieri restano quelli di domani: debito statale, bilancio, tasse e spesa pubblica. E, quindi, servizi sociali. Insomma, tutte cose per le quali bisogna trovare i soldi. Chi paga e come bisogna spenderli?

Il problema finanziario secondo l’Economist

Attualmente il debito pubblico francese è al 114% del Pil. Non è solo alto (l’Italia lo supera abbondantemente), il vero problema è che cresce troppo velocemente. Avrebbe bisogno dunque di generare un surplus fiscale per stabilizzare il rapporto debito/Pil. I calcoli dicono (Istituto Bruegel) che ci vorrebbe un avanzo primario annuo dell’1,2% del Pil, mentre invece la Francia nel 2024 è andata sotto, addirittura al -4%. «Per rientrare – scrive l’Economist – il governo dovrebbe attuare una combinazione di tagli alla spesa e aumenti delle tasse pari a circa il 5% del Pil. Farlo sarebbe politicamente così rischioso da minare le possibilità di qualsiasi Primo ministro di rimanere in carica. I tentativi di risanare le finanze pubbliche rischiano quindi di ritorcersi contro, aumentando le probabilità che politici meno responsabili prendano il potere, come sta scoprendo il governo di Bayrou. L’economia francese è già in stagnazione e probabilmente continuerà a esserlo – dice inoltre l’Economist –  secondo i sondaggi sul sentiment tra le aziende dei servizi e del settore manifatturiero. Aumentando i rendimenti dei titoli di Stato, il blocco degli sforzi di consolidamento fiscale fa aumentare anche i costi di indebitamento per le imprese e i cittadini francesi. Ciò rallenta la crescita, limitando investimenti e consumi».

Crisi politica o crisi di sistema?

La caduta del governo Bayrou, in un certo senso, era preannunciata: la residua resistenza dell’esecutivo di minoranza, messo assieme da Macron con lo scotch dopo elezioni sostanzialmente perse, è stata vanificata dalla cruda realtà dei conti pubblici, in profondo rosso. Come abbiamo già avuto modo di dire, quello francese non è solo un ‘incidente di percorso’, fisiologico in ogni democrazia parlamentare, ma una vera e propria «crisi di sistema». Un passaggio, nella complicata dialettica tra gli elettori e il Palazzo, nel quale la classe dirigente non riesce più a interpretare i reali bisogni di chi le ha affidato il potere. E se le necessità sociali, poi, sono quelle ‘primarie’, la logica vuole che al crollo della politica (e della sua credibilità) si accompagni la massiccia ascesa di piazze turbolente. È proprio ciò che è accaduto all’ombra della Torre Eiffel e poi, a macchia d’olio, in diverse altre aree del Paese. Reggimenti della Gendarmeria, in assetto antisommossa, hanno arrestato almeno 500 persone. Così, la rovinosa caduta di Bayrou e l’ennesima bocciatura per le politiche di Macron, sono coincise con la prima imponente manifestazione dei «blocco-tutto». Una protesta ‘a geometria variabile’, anche se in gran parte animata dalla sinistra ‘dura e pura’ di Jean-Luc Melenchon. Una protesta che ha dato un primo segnale di ciò che potrebbe succedere il prossimo 18 settembre, per quando è stata fissata una giornata di ‘paralisi nazionale’, che questa volta vedrà in prima linea a scioperare i battaglieri sindacati della CGT.

Macron resiste nella sua Bastiglia

L’Eliseo come la Bastiglia, politicamente parlando. Il Presidente Macron sta mettendo da parte tutte le fuffe patriottiche che impregnano i suoi discorsi, per dedicarsi all’ultima resistenza, grazie a più prosaici giochi di potere. Scacchi? No, zecchinetto, perché a giudicare dalle pedine che muove, sta facendo calcoli spregiudicati sulle spalle della Francia. Almeno a leggere le prime analisi di diversi commentatori, in relazione all’incarico offerto a Sebastien Lecornu. Il problema era semplice e tragico da risolvere, pure prima. Adesso lo è diventato ancora di più: raccattare una maggioranza all’Assemblea nazionale disposta a votare un bilancio dello Stato da ‘austerity’. Che taglia di qua e taglia di là e, contemporaneamente, piglia anche di qui e pure da lì. Non saranno i 44 miliardi di euro chiesti sull’unghia da Bayrou, per non abbassare la saracinesca del fallimento, ma poco ci manca. Sulla carta. Perché, vedete, Sebastien Lecornu, è uno di quegli ‘sherpa’ diventati improvvisamente, per un gioco del destino, famosi scalatori di ‘ottomila’ himalayani. È vero, era (occhio, non a caso) Ministro della Difesa, ma il suo ‘patron’ dell’Eliseo è deciso a mandarlo all’attacco. Anzi, allo sbaraglio. Senza curarsi troppo di lacci e lacciuoli dottrinari, ideologici, partitici o di scuole di pensiero macroeconomico. No, Lecornu parlerà con tutti e per tutti avrà una parola buona. Specialmente se tutti gli daranno un voto buono, per lui e per Macron.

  • Ecco come il quotidiano Liberation descrive l’attività del nuovo premier al Ministero della Difesa: «Il personale è grato per gli sforzi compiuti per migliorare le sue condizioni di vita, in particolare gli stipendi. Da parte loro, sebbene abbia dato loro una piccola scossa per accelerare i ritmi di produzione a sostegno dell’Ucraina, i produttori di difesa sono entusiasti dei miliardi di euro aggiuntivi previsti dalla Legge di Programmazione Militare 2024-2030».

Le prospettive: un Patto del diavolo?

Dunque, il mandato di Lecornu, in sostanza, è quello di contrattare i termini per arrivare a una nuova maggioranza di governo. In questo momento, almeno a sentire il rumours, pare che ci siano dei fitti scambi di valutazioni sottotraccia col Partito socialista. Non si tratterebbe di un sostegno indolore per Lecornu (e soprattutto per Macron), perché in ballo pare che ci sia una versione riveduta e corretta della Patrimoniale, il cavallo di battaglia della sinistra. Più nota in Francia come ‘tassa Zucman”, dal nome del noto economista, questa proposta è uno dei fiori all’occhiello di ‘France Insoumise’, il partito di Melanchon, che già tanti grattacapi ha creato al governo nelle passate elezioni. Macron, dal canto suo, ha sempre decisamente osteggiato qualsiasi ipotesi di Patrimoniale, arrivando persino a ipotizzare un esodo di massa da parte dei ricchi imprenditori che sarebbero stati tassati. Ma adesso pare che i 66 voti dei socialisti lo abbiano ammorbidito e gli abbiano consigliato di assumere un atteggiamento più ‘trattativista’. In effetti, si è già sentito con Oliver Faure, il segretario generale del PS. E se la situazione sociale dovesse peggiorare, è probabile che il centro spurio e frastagliato di Macron si incontri con il partito che fu di Mitterrand, grazie alla mediazione di un ex gollista come Sebastien Lecornu.

  • In quest’evoluzione, molto ha giocato finora la posizione di netta chiusura della destra di Le Pen e Bardella. Contrariamente a qualche spiffero comparso sulla stampa, che parlava di rapporti preferenziali tra Lecornu e il Rassemblement National, fatto di cene e incontri segreti, quest’area resta ferocemente ostile a Macron. E punta tutte le sue carte sulle prossime Presidenziali.

ULTIM’ORA

Fitch declassa il rating da AA- ad A+ e boccia i conti pubblici

Fitch declassa il debito francese: il voto dell’agenzia di rating è passato ad A+ con outlook stabile, da AA- con outlook negativo. Diverse le motivazioni: l’elevato debito, la frammentazione politica che rende difficile il consolidamento fiscale ma anche la «debolezza nella gestione fiscale», sia nel risanamento che nel rispetto delle regole Ue. Il percorso di ristrutturazione del bilancio appare quindi «incerto». 

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