ATTUARE LA COSTITUZIONE PER CAMBIARE L'ITALIA

ATTUARE LA COSTITUZIONE PER CAMBIARE L'ITALIA

ATTUARE LA COSTITUZIONE PER CAMBIARE L'ITALIA

Fermiamo l'imperialismo americano

Fermiamo l'imperialismo americano

Bocciare in Italia e in Europa l’accordo sui dazi. Fermare il riarmo. Cacciare Meloni e Von Der Leyen.

L’accordo sui dazi stipulato tra Trump e Von Der Leyen è pessimo e va bocciato. Lo chiediamo al Parlamento italiano ed a quello europeo. Chi ha accettato questa resa, la Presidente Von Der Leyen, dovrebbe essere sfiduciato e per questo avanziamo la richiesta di dimissioni. Analogo discorso vale per il governo Meloni che ha espresso un giudizio positivo e ha sostenuto in Europa una linea di genuflessione di fronte alla prepotenza statunitense. I dazi al 15% non sono un compromesso ma un salasso pesantissimo per l’Europa. Cui si aggiungono gli impegni a comprare a caro prezzo energia e armi dagli USA e a favorire le Big Tech nordamericane. L’Unione europea dovrebbe acquistare ogni anno il triplo dell’energia che compra attualmente dagli Stati Uniti a costi elevatissimi. I beneficiari dell’accordo capestro – vale per il gas come per le armi -  sono i grandi colossi del capitalismo finanziario. È significativo e gravissimo che venga sostenuto da un governo pseudo sovranista e in realtà di destra neoliberista come quello Meloni. Von Der Leyen e Meloni sono nei fatti alleate in quella che è certo una capitolazione verso gli interessi USA ma anche l’accordo tra borghesie dominanti che si combattono ma sono unite nel voler rendere permanente e incontrovertibile quello che Luciano Gallino chiamò il rovesciamento della lotta di classe. Questa è la natura profonda e strutturale della UE di Maastricht. Rompere il compromesso sociale del dopoguerra e fuoriuscire dal modello sociale europeo considerato ormai insostenibile da borghesie proiettate nella globalizzazione. Ciò valeva nella fase espansiva della globalizzazione e vale ancor di più in quella dei contrasti crescenti tra i dominanti. Le borghesie europee hanno accettato i surplus esportativi tedeschi perché il modello ordoliberista consentiva loro di riprendere in toto il controllo dell’economia e della società. Analogamente ora accettano il riarmo tedesco come volano sostanziale ed effettivo delle scelte che devono far fuoriuscire la UE dal welfare verso il warfare. In questo quadro accettano il tallone di ferro di Trump per la medesima ragione di classe. Hanno scelto di perseguire la guerra con la Russia e in prospettiva la Cina come vincolo esterno alle proprie azioni. E accettano che gli USA non si presentino più come l’amico americano ma come la più forte tra le potenze dominanti che chiede oltre che fedeltà anche un oneroso tributo in denaro contante. Sopra tutti resta il capitalismo finanziario globalizzato, vero dominus. Ciò non significa che non esistano contraddizioni e conflitti. Anzi.

Le guerre economiche e militari confermano le previsioni più infauste del “movimento dei movimenti” come abbiamo ricordato a Genova lo scorso 20 luglio. Esse però vanno lette ed agite a partire dalle dinamiche di classe e non solo geopolitiche. Il neoliberismo negli ultimi quarant’anni ha accresciuto la dipendenza del capitalismo europeo dagli Stati Uniti, ma dentro un modello che ha impoverito larga parte della popolazione europea e aumentato la concentrazione della ricchezza. È evidente che l’accordo sui dazi comporterà ristrutturazioni pesanti che colpiscono interi settori produttivi. Le esportazioni italiane verso gli Stati Uniti sono del valore di 65 miliardi distribuiti in vari settori: dalla farmaceutica all’agroalimentare, a quello della moda, alla meccanica ecc. Va da sé che un calo delle esportazioni con i dazi al 15%, a cui va aggiunta una percentuale quasi equivalente per la svalutazione del dollaro, va messo nel conto. L’impatto dei dazi sarà in larga parte scaricato sulle spalle delle classi popolari tagliando lo stato sociale, delle lavoratrici e dei lavoratori riducendo l’occupazione, riorganizzando il lavoro, aumentando lo sfruttamento e contenendo i salari e le retribuzioni del lavoro. La risposta non può che essere la mobilitazione contro queste scelte che passa per la denuncia delle responsabilità del governo Meloni e della Commissione Europea.

Si pone sempre più l’urgenza di rovesciare un modello basato sulle esportazioni e i bassi salari. La stessa risposta vale anche per la torsione verso l’economia di guerra. Oggi diventa ancora più necessario e decisivo l’intervento pubblico in economia, la crescita dei salari e delle pensioni, gli investimenti nell’istruzione, nella ricerca, nella sanità, nella cultura, nella risposta ai bisogni sociali, nella riconversione ecologica delle produzioni, nella messa in sicurezza dei territori, nel contrasto ai cambiamenti climatici. Un nuovo paradigma che basi la risposta all’inasprirsi del quadro della competizione internazionale, alla folle corsa al riarmo, sul soddisfacimento dei bisogni sociali, sulla cura del bene comune. Anche questa è economia. Un’altra economia per l’interesse dei molti contro quello dei pochi. Ma, come già accaduto con Maastricht e poi con la austerità, sarebbe illusorio confidare in una opposizione delle borghesie nazionali che tendono sempre ad adeguarsi al quadro sovradeterminato scaricando sulle classi lavoratrici le conseguenze anche delle guerre commerciali. In particolare nella UE si è realizzato un mix tra tecnocrazie e nazionalismi che è il contesto in cui la borghesia opera in modi diversi dal passato. La convergenza tra Von Der Leyen e Meloni è illuminante. Contraddizioni ci sono anche tra il piano ReArm dell’UE e l’aumento al 5% delle spese militari richiesto dalla NATO. La differenza tra i due è di 4 mila miliardi in 10 anni e, a differenza del piano UE, quello NATO non è coperto da flessibilità di bilancio. Flessibilità di bilancio che in realtà sono alla portata sostanzialmente della sola Germania che, come dice il Cancelliere Merz, vuole tornare ad essere ciò che era. Un incubo. E infatti la Germania boccia l’ipotesi di bilancio europeo maxi presentato da Von Der Leyen che vuole dare una parvenza europea al riarmo. Naturalmente un riarmo europeo è egualmente inaccettabile così come una difesa europea priva di qualsiasi requisito costituzionale. Già ora il testo votato dal Parlamento Europeo sul rapporto della Commissione in materia di sicurezza comune è ignobile. A 50 anni dalla Conferenza di Helsinki in realtà l’UE ci ha riportato a 50 anni prima di Helsinki.

Queste contraddizioni possono esplodere positivamente solo in presenza di una decisa azione di contrapposizione al warfare e all’economia di guerra. Per questo è necessario dare continuità, in Europa e in Italia, al movimento contro il riarmo. Sono importanti le scadenze già definite, dalla controCernobbio alla Marcia Perugia-Assisi alla quale parteciperemo in forze. Sono importanti iniziative come le delibere popolari negli enti locali contro i piani ReArm e NATO. Serve una prospettiva strategica che sia di scioglimento della NATO e, per l’Italia, di rivendicazione di un neutralismo attivo volto alla rifondazione di un’altra Europa. È importante il contrasto nelle scuole e nella società al militarismo ed all’autoritarismo. Fondamentale è che i sindacati, le lavoratrici e i lavoratori siano protagonisti di un contrasto attivo, di iniziative e scioperi, alle pratiche di guerra. E che venga costruita una piattaforma per il welfare e contro il warfare. Per questo la proposta della Cgil di una manifestazione nazionale sulla manovra economica entro ottobre è molto importante. Noi la appoggiamo e vogliamo contribuire a definire i contenuti di riscatto economico e sociale. Alzare i salari e abbassare le armi. Sanità e non bombe. Via il pareggio di bilancio non per le armi ma per scuole e case. La lotta contro la guerra e contro il riarmo è lotta di classe. La politica “estera” non deve essere condivisa ma diventare il punto di più chiara alternativa: pace contro guerra. Ursula Von Der Leyen non è una presidente di compromesso. È la presidente della guerra, delle multinazionali, della subalternità a Trump. È paradossale che sia stata la destra radicale a presentare una mozione di sfiducia. L’appoggio di Meloni al pessimo accordo sui dazi tra Trump e Von Der Leyen dice molta più verità dell’uscita dall’aula nel voto di sfiducia da parte di Fratelli d’Italia. Noi la sfiducia l’avremmo votata. Comunque solo il 50% dei Parlamentari Europei l’ha respinta. È ora di costruirne una da sinistra e il disastro dell’accordo con Trump lo conferma.

01/08/2025

Partito Rifondazione Comunista

share