Usa e Iran. Le parole del presidente Usa lasciano pochi dubbi. E Israele vuole il «cambio di regime». Nella regione ci sono i caccia F-22, F-35 e anche i B-2 capaci di trasportare le bombe bunker buster
Dietro il caos di dichiarazioni a raffica fatte ieri da , che dicono tutto e il contrario di tutto nel giro di poche ore, è emersa in modo palese la continuazione del progetto concordato con Israele dal presidente americano: l’annientamento della Repubblica islamica e la creazione di un Iran amico, come ai tempi dello Shah, magari governato da un presidente sfiatato e compiacente come il siriano Ahmad Shara.
«L’Iran non può avere un’arma nucleare… Non sto puntando a un cessate il fuoco, stiamo cercando di fare meglio di un cessate il fuoco, una fine vera della guerra tra Iran e Israele», ha avvertito il presidente americano parlando ai giornalisti a bordo dell’Air Force One dopo essere atterrato a Washington, di ritorno dal G7 in Canada. Dietro quelle parole sulla fine della guerra non c’è un intento pacifista, piuttosto sono la conferma che gli Usa sono vicini a unirsi all’attacco israeliano. Il sempre ben informato sito Axios ha riferito ieri sera che Trump è pronto a bombardare i siti nucleari iraniani, a cominciare da quello di Fordow.
Al presidente, mentre tornava dal G7, è stato chiesto se il possibile coinvolgimento americano porterà alla distruzione del programma nucleare iraniano. Ha risposto: «Non ho alcun desiderio di negoziare con loro (gli iraniani). Spero che il programma venga distrutto prima di essere coinvolti». Poco dopo ha reso ancora più espliciti i suoi propositi. «Noi abbiamo il controllo dei cieli sopra l’Iran», ha scritto su Truth Social senza Israele. Quindi ha definito la Guida suprema dell’Iran, Ali Khamenei, «un bersaglio facile», ma ha aggiunto: «Lì è al sicuro. Non lo elimineremo, almeno non per ora».
In Israele ora c’è fiducia. La decisione di scendere in guerra spetta solo a Trump, lo sanno tutti. È opinione diffusa anche tra la gente comune che il presidente ordinerà l’ingresso in guerra alla prima occasione. Come un rifiuto iraniano – se mai riprenderanno i colloqui con Teheran che il tycoon vorrebbe affidare al vicepresidente Vance e all’inviato speciale Witkoff – di accettare tutte le condizioni degli Stati Uniti, a partire dall’interruzione piena dell’arricchimento dell’uranio. A invocare l’intervento in guerra degli Usa c’è anche la nota ex deputata e modella israeliana Pnina Rosenblum, che in un video sale idealmente a bordo di un F-15 per partecipare ai bombardamenti. Sulle note di una musichetta accattivante, Rosenblum saluta con un «bye bye» un Iran sconfitto e ridotto in macerie dalle bombe.
Alcuni come i giornali online Maariv e N12, si sono lasciati travolgere dall’entusiasmo dopo aver appreso delle parole di Trump. Hanno riferito con enfasi della presenza – o dell’arrivo imminente – nella regione di bombardieri F-22, F-35 e B-2 dell’aeronautica militare statunitense, assieme agli aerei cisterna. I B-2 sono bombardieri strategici. Si troverebbero a bordo di una portaerei – forse la Nimitz, in navigazione dal Mar Cinese Meridionale verso il Golfo – e sono gli unici, assieme ai giganteschi B-52, capaci di trasportare e sganciare la GBU-43, la bomba più potente al mondo con capacità di bunker busting, ossia in grado di penetrare per decine di metri nel terreno fino all’obiettivo. Israele ne possiede altre di questo tipo, ma meno potenti e non sufficienti a distruggere il sito nucleare iraniano di Fordow. A incoraggiare Trump a fornire a Israele le bunker-buster più potenti al mondo è anche il noto editorialista del New York Times, Thomas Friedman.
«Siamo pronti a dare la spallata decisiva, l’Iran è sul punto di crollare», ripeteva ieri un funzionario israeliano, riferendosi non solo all’intensità dell’operazione aerea e di intelligence Rising Lion in corso su Teheran e altre città. Il fatto che l’Iran abbia lanciato ieri i suoi missili in più occasioni, ma in numero largamente inferiore rispetto ai giorni scorsi – hanno provocato 24 morti e 647 feriti (2.725 gli sfollati) – fa credere ai comandi militari che la guerra sarà «vinta nel giro di qualche giorno, se non di qualche ora».
L’Amministrazione Usa si è anche convinta che la guerra, come afferma Benyamin Netanyahu, dovrà avere come fine ultimo il «cambio di regime» a Teheran. Un obiettivo che appare irraggiungibile, se non al costo di migliaia di vite umane in Iran e di sofferenze per molti altri. Quando Orient Today ha domandato ieri a Peyman Jafari se la Repubblica islamica imploderà a causa degli attacchi israeliani, la risposta dello storico iraniano-olandese, esperto di Iran, è stata netta: no. «È molto improbabile che il regime iraniano crolli sotto questa pressione», ha detto. «Per ora, non vi è dissenso all’interno dell’apparato. Queste aggressioni, al contrario, porteranno a breve termine a un rafforzamento dell’élite politica e militare». Una guerra prolungata e lo scoppio di conflitti etnici, tuttavia, potrebbero innescare una reazione a catena verso il collasso. «Questo sarebbe lo scenario ideale per Israele – ha continuato Jafari – non un cambio di regime, ma la frammentazione dell’Iran», in modo che il Paese resti debole e non torni a ricoprire il ruolo di unico rivale strategico credibile nella regione.
Per raggiungere quel risultato Israele ha bisogno degli Stati Uniti, non solo per l’assistenza alla sua aviazione impegnata in voli lunghi e insidiosi o per rendere più intensi e distruttivi gli attacchi aerei. A Israele gli Stati Uniti servono sul campo, per alimentare o creare le divisioni etniche e territoriali che dovranno frammentare e rendere innocuo l’Iran, proprio come è avvenuto in Siria. Trump è pronto.
18/06/2025
da Il Manifesto