Il piano per deportare i palestinesi di Gaza echeggia tragicamente il “piano Madagascar”. Di pura matrice antisemita, fu ideato nel 1937 da Polonia e Francia. L'anno dopo i gerarchi di Hitler se ne appropriarono e fu abbandonato nel 1940 per cedere il passo all'Olocausto
Il gabinetto di guerra israeliano ha partorito un folle progetto criminale. Difficile non pensare proprio i piani di chi un secolo fa volle colpire con intenti genocidari le persone di religione e/o cultura ebraica in Europa.
In un primo momento, infatti, il regime nazista pensò ad una pulizia etnica della Germania, per rimuovere quelli considerati corpi estranei e impuri. È il cosiddetto Piano Madagascar, una migrazione forzata di una parte della popolazione, sradicata dai luoghi in cui viveva da generazioni, soluzione poi messa da parte per passare al totale sterminio (il piano fu ideato nel 1937 dalla Polonia in collaborazione con la Francia, nel 1938 se ne “appropriò” la Germania di Hitler, ndr).
Ed ecco che oggi si ricomincia a parlare di un ‘piano Somalia’ per spostare la popolazione gazawa (e chissà, in futuro anche tutti i palestinesi, compresi quelli della Cisgiordania), idea emersa già in primavera, e pure lo scorso anno (riporta la notizia La Stampa del 9 agosto). È un progetto alla cui formulazione hanno cooperato anche ambienti americani, e l’amministrazione Trump non sembra aver opposto particolari resistenze, anche perché l’idea del presidente resta quella orripilante riviera di qualche mese fa, nel video prodotto con l’intelligenza artificiale e postato dalla Casa Bianca.
Probabilmente Netanyahu non intende poi creare campi di concentramento in Somalia, alla destra israeliana nemmeno interessa cosa ne sarà dei gazawi una volta fuori dal territorio che Israele intende occupare, anche perché, come vediamo ogni giorno, l’opera di sterminio è già in atto con modalità sempre più violente e strazianti. E di certo il governo di Tel Aviv non pensa proprio ad un rientro della legittima popolazione, coerentemente con tutta la storia israeliana che fin dalla fondazione ha vietato il diritto al ritorno ai palestinesi.
Ma va ricordata una differenza fra i due piani di deportazione: a ventilare ipotesi alternative alla terra di Palestina, fra cui proprio la destinazione africana, erano stati anche alcuni sionisti, che (giustamente) notavano come la Palestina non corrispondesse al criterio di “terra senza popolo per popolo senza terra”. Poi di quell’idea si appropriò Hitler, e nel mondo sionista prevalsero invece i gruppi più oltranzisti, in un crescendo coloniale (sulle vicende legate alla colonizzazione israeliana si può vedere il recente volume di Lorenzo Kamel, Israele-Palestina in trentasei risposte, uscito per Einaudi).
E oggi, gli eredi degli oltranzisti sono ancora più aggressivi e dettano la linea nel governo Netanyahu, col favore del premier criminale. Il piano rilasciato nei giorni scorsi parla di occupare il poco e devastato territorio rimasto ai palestinesi, e comprimere la popolazione in uno spazio isolato e ristretto, da cui poi si procederà all’emigrazione.
L’incedere nazista in Polonia passò per tappe analoghe: occupare il Paese, confinare la popolazione in un’area limitata (il ghetto), e da lì deportazione.
Da una parte – cercando di tener buona un’ormai recalcitrante (ma inerte) opinione politica internazionale – Netanyahu afferma che l’obiettivo è eliminare Hamas, e poi affidare agli arabi il territorio, beninteso riservandosi il diritto di dire chi deve o no governare (senza con questo difendere in alcun modo i terroristi, sia chiaro, ma l’atteggiamento israeliano nega ogni autodeterminazione del popolo palestinese). Dall’altra parla di piena occupazione e controllo, come in Cisgiordania, e i suoi ministri discutono apertamente di cancellazione di Gaza, senza essere smentiti dal premier.
Le cancellerie occidentali iniziano a muoversi, ma timidamente e sostanzialmente solo a parole, senza atti concreti, specie da noi. Sul governo di Netanyahu non vengono imposte reali pressioni di alcun tipo, per cercare di arginare quello che è un vero e proprio atto coloniale e genocidario (binomio che ha segnato tanti episodi della storia occidentale), e nessun decisore politico riconosce apertamente che l’atteggiamento che spinge verso il progetto ‘Grande Israele’ non è altro che quello di un secolo fa, quando qualcuno inneggiava Deutschland über alles, in una pretesa superiorità, folle e criminale, che poteva e doveva travolgere l’altro.
11/08/2025
da Left
Matteo Cazzato è filologo, ricercatore dell’Università di Padova