La stretta commerciale e giudiziaria imposta da Trump al Brasile e il giudice de Moraes scatena tensioni internazionali e il fronte compatto guidato da Lula segna un punto a favore del multilateralismo
Con il decreto firmato mercoledì 30 luglio alla Casa Bianca Donald Trump ha fatto un salto di qualità nello scontro diplomatico con il Brasile. Lo ha fatto con un decreto che rende ufficiale l’applicazione di dazi al 50% per il 36% dei prodotti brasiliani, esportati verso gli Stati Uniti, facendo ricorso all’Emergency Economy Power Act (1977), la legge che assegna al presidente degli Stati Uniti poteri smisurati nella regolamentazione delle transazioni economiche internazionali, in risposta a presunte minacce alla sicurezza, alla politica estera o all’economia degli Usa.
Al giudice della Suprema corte Alexandre de Moraes, alla guida delle indagini contro Bolsonaro, è stata applicata la chiamata Global Magnitsky Act, una normativa statunitense progettata nel 2012 dall’ex presidente Barack Obama, per responsabilizzare gli agenti russi coinvolti nella morte dell’avvocato Sergei Magnitsky.
Sebbene non abbia conti correnti all’estero o beni negli Stati Uniti, il magistrato non potrà più toccare il suolo statunitense, saranno bloccati eventuali beni sotto la giurisdizione americana e subirà restrizioni nelle transazioni con cittadini o aziende statunitensi, come gli enti gestori dei circuiti di carte di credito Visa, Mastercard e American Express.
Occorre sottolineare che il Global Magnitsky Act non è certamente concepito come una norma studiata a tavolino per colpire un giudice straniero, che agisce nel rispetto della Costituzione di un Paese democratico, contro gli artefici di crimini e reati che possono minare le basi di una democrazia.
Tuttavia, nel 2022, il Congresso degli Stati Uniti ha reso tale normativa permanente, ampliandone altresì le basi giuridiche, e consolidandola come uno dei principali strumenti globali di sanzione unilaterale del governo statunitense: nei fatti, rendendola uno strumento di ricatto in più al volubile Trump.
Alexandre de Moraes, il giudice conservatore odiato dall’estrema destra
Per la giornalista Raquel Landin, la base bolsonarista, convinta che Alexandre de Moraes sia un “comunista sotto mentite spoglie”, vorrebbe estendere tali sanzioni economiche anche ai familiari del giudice, in particolare alla moglie, l’avvocata Viviane Barci, alla guida di uno studio legale.
Nella nota pubblicata nel sito del Dipartimento di Stato statunitense, per giustificare ciò che gli economisti definiscono la “morte economica” di una persona, il segretario di Stato Marco Rubio, utilizzando un linguaggio religioso, definì il giudice Alexandre de Moraes “un attore straniero maligno”.
Dopo aver obbligato le piattaforme online, comprese le società di social media statunitensi, a vietare gli account di individui che, secondo Rubio, “pubblicano contenuti protetti dalla libertà di espressione”, il magistrato è diventato il principale bersaglio dell’estrema destra transnazionale, con a capo Steve Bannon, che l’ha soprannominato “Lucifero”.
Evidentemente, nel linguaggio degli estremisti, gli ordini di arresto firmati dal giudice brasiliano contro gli influencers di destra, nonché politici che diffondono fake news sugli oppositori, inneggiando a colpi di Stato, attentati terroristici, e violenza fisica contro chiunque sia visto come un ostacolo ai loro interessi, contradicono il volere delle loro divinità.
La mossa – altamente controversa – di Rubio contro de Moraes è stata annunciata dal segretario al Tesoro statunitense Scott Bessent, soltanto poche ore prima della conferma dei dazi. Per Bessent, il magistrato della Corte suprema sarebbe il responsabile di una “campagna oppressiva di censura e detenzioni arbitrarie che violano i diritti umani” nonché “procedimenti giudiziari politicizzati, anche contro l’ex presidente Jair Bolsonaro”.
Tra gli ordini di arresto firmati da Alexandre de Moraes, e ritenuti “ingiusti” dall’estrema destra transnazionale, è opportuno menzionare quello contro la deputata italo-brasiliana Carla Zambelli.
Dopo aver violato (in accordo con l’hacker Walter Delgatti) il sistema informatico del Consiglio nazionale di Giustizia, alterando dati di documenti, certificati, mandati di arresto e scarcerazione, e persino la firma dei magistrati della Corte suprema, Zambelli fu condannata a dieci anni di carcere.
Il 29 luglio scorso, dopo la fuga dal Brasile, e l’inserimento nella lista rossa dell’Interpol, Zambelli è stata arrestata a Roma, a seguito di un’operazione congiunta tra la polizia federale, l’Interpol e le agenzie italiane.
Secondo l’inchiesta del giornalista Andrea Palladino, una rete di imprenditrici brasiliane di estrema destra l’ha tenuta nascosta in Italia per ben due mesi.
Al momento, la soprannominata “pistolera della destra” – per aver inseguito un giornalista puntandogli la pistola e averlo offeso e pretendo delle scuse per le sue domande – è stata tradotta nel carcere di Rebibbia, dopo la convalida del fermo.
La rivolta degli imprenditori statunitensi contro Trump
Per quanto riguarda la lista dei prodotti colpita dai dazi, Donald Trump ha seguito con il Brasile il medesimo copione già adottato con altri Paesi.
Sebbene abbia annunciato un aumento esponenziale e indiscriminato delle tariffe, per tutti i prodotti, poco prima della decisione finale, tolse circa 700 dalla lista, prorogando la scadenza di altri cinque giorni. Obiettivo: permettere a dei container, fermi nei porti brasiliani, di partire verso gli Stati Uniti, e così rifornire le aziende statunitensi più danneggiate, rimaste sprovviste di materia prima.
Dopo la visita della comitiva spedita da Lula, con a capo il vicepresidente Geraldo Alckmin, il pressing del mondo dell’imprenditoria statunitense sul segretario al Commercio Howard Lutnick, è stato decisivo per il passo indietro di Trump.
John Murphy, il vicepresidente senior e responsabile internazionale della Camera di commercio degli Stati Uniti, ne pubblicò una dura lettera, il 28 luglio, sul sito della US Chamber of Commerce.
Nella missiva, Murphy non solo invita Trump ad applicare tariffe 0 ai prodotti agricoli non coltivati nel suolo statunitense, come il caffè, il mango, l’ananas e il cacao, generando un precedente importante per tutti i paesi danneggiati, come chiede l’accantonamento dei dazi per il “gigante latino”.
Sul sito dell’organo, si legge che l’applicazione di un dazio così elevato per il Brasile, in risposta a “procedimenti legali interni”, rischia di provocare una reazione molto negativa nel paese “con potenziali misure di ritorsione significative” che possono comportare “costi elevati non solo per le aziende, ma anche per i lavoratori e gli agricoltori statunitensi”.
Ricordando ed enfatizzando le loro 6.500 piccole imprese, che dipendono dalle importazioni di materie prime brasiliane, la lettera di Murphy si conclude con una vera e propria richiesta di resa al presidente statunitense: “[…] la minaccia di un dazio del 50% sta provocando in Brasile un effetto di rally around the flag, in cui politici di diversi Partiti si stanno unendo per preparare un’accesa ritorsione. Dopodiché, una volta attuate, queste misure potrebbero essere emulate da altri governi, con gravi conseguenze per i lavoratori e le aziende americane”.
Di fronte al netto rifiuto di dialogare direttamente con Lula, Trump è stato sconfessato dai suoi stessi imprenditori.
Pur di scongiurare il peggio, la metodologia applicata dal governo Lula è stata quella di radunare le forze politiche, e il mondo dell’imprenditoria, in difesa della sovranità del Paese, contro il bullismo di uno solo.
Trovare, nel contempo, alleati nel mondo dell’imprenditoria statunitense, si è rivelata una mossa vincente dagli sherpa spediti da Lula per trattare direttamente con le aziende, scavalcando Trump.
Intervistato dal New York Times, Lula ha ribadito l’indipendenza della magistratura brasiliana, il suo incrollabile sostegno al lavoro dei giudici della Corte suprema e ha dichiarato che, sebbene riconosca la superiorità economica, militare e tecnologica degli Stati Uniti, il Brasile non ammetterà un trattamento di servitù.
Per il Times, non esiste un leader mondiale capace di sfidare apertamente Trump quanto Lula.
Effetto dazi trumpiani: la spinta definitiva verso il multilateralismo
Forte dei rapporti commerciali con la Cina, schierata più volte in difesa del Brasile e dichiarandosi disposta ad acquistare i prodotti tassati al 50% dagli Usa, Lula coglie i frutti del suo ruolo all’interno dei Brics.
Chiaramente intenzionato ad unire l’America Latina, il presidente brasiliano promette rafforzare il Mercosur per fare fronte ad ulteriori aggressioni commerciali e attacchi alla propria sovranità provenienti dagli Stati Uniti.
Per rafforzare la sua posizione, il 21 luglio, nel corso del Foro democratico del Cile, dopo l’incontro con i presidenti Gabriel Boric (Cile), Gustavo Petro (Colombia), Yamandú Orsi (Uruguay) e il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez, Lula ha ribadito fermamente il suo impegno per la democrazia, promettendo dare battaglia “affinché gli interessi collettivi prevalgano sugli individuali”.
L’esortazione di Lula, affinché i Paesi democratici della zona si incontrino con più frequenza, al fine di contrastare “l’ondata antidemocratica, che sta colpendo duramente il mondo intero”, segna la presa di distanza del suo secondo partner economico, dopo la Cina, ovvero, gli Stati Uniti.
L’incontro in Cile è stato emblematico, poiché ha siglato anche un’alleanza importante: quella che sosterrà la comunista Jeannette Jara alle elezioni presidenziali cilene del 16 novembre 2025.
In testa a uno dei principali sondaggi sulle intenzioni di voto, Jeannette ha acquisito notorietà come Ministra del Lavoro e della Previdenza sociale del governo di Gabriel Boric, soprattutto dopo aver aumentato il salario minimo, ridotto da 45 a 40 ore la settimana lavorativa e approvato la riforma delle pensioni.
Con una Destra divisa, e dei moderati senza una candidatura propria, i sondaggi indicano Jeannette Jara in largo vantaggio rispetto agli altri.
Storicamente, si tratta della terza candidatura presidenziale con a capo un candidato, o candidata, del Partito comunista. La prima fu quella del poeta Pablo Neruda, nel 1969, e la seconda di Gladys Marín, nel 2009, la prima persona in Cile ad aver accusato pubblicamente Pinochet dei crimini di genocidio, sequestro di persona e violazione dei diritti umani.
05/08/2025
da Left
L’autrice: L’avvocata per i diritti umani Claudiléia Lemes Dias è scrittrice e saggista. Tra i suoi libri Le catene del Brasile.(L’Asino d’oro ed.) e il nuovo Morfologia delle passioni (Giovane Holden ed.)