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Crisi climatica e filiere alimentari: è possibile evitare la catastrofe

Crisi climatica e filiere alimentari: è possibile evitare la catastrofe

L'aggravarsi degli impatti della crisi climatica mette a rischio le filiere agroalimentari globali ma i decisori politici possono intervenire

La crisi climatica da un lato e le tensioni geopolitiche dall’altro stanno mettendo a rischio le filiere agroalimentari globali. Tra guerre commerciali e guerre armate, eventi climatici estremi e aumento delle temperature, la situazione non sembra destinata a migliorare. A differenza che in passato, inoltre, non si tratta di una crisi passeggera, legata a un particolare evento.

La volatilità delle filiere agroalimentari non è mai stata così alta

Dall’inizio del secolo, la volatilità dei mercati di materie prime come grano, mais e riso non è mai stata così elevata. Entro il 2050, anzi, la produzione globale di ben quindici colture essenziali nella dieta della popolazione mondiale, calerà in media del 12%, ma ci saranno anche picchi del 35.  La buona notizia – se di buona notizia si può parlare – è che questo non è un destino scritto. Per quanto i modelli predittivi ci dicano che andrà esattamente così, esistono strumenti, strategie e sistemi per intervenire.

Ed è quello che propone lo studio della società di consulenza Boston Consulting Group e della società di consulenza ambientale Quantis. La ricerca ha elaborato modelli sulle previsioni dei cali delle principali colture e strutturato un piano di interventi che i decisori politici possono mettere in campo per rendere resilienti le filiere agroalimentari.

Crisi climatica e instabilità geopolitica mettono sotto pressione le filiere globali

Un terzo del cibo prodotto in tutto il mondo va perso o sprecato, mentre la popolazione globale ha sempre più fame. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, una persona su undici soffre di insicurezza alimentare. Negli ultimi anni la situazione è aggravata dal fatto che l’instabilità geopolitica determina l’interruzione delle forniture di prodotti di base. Basti pensare agli effetti che ha avuto la guerra in Ucraina sulla filiera del grano.

Gli effetti dell’aumento delle temperature e dell’aggravarsi e dell’intensificarsi degli eventi meteo estremi, l’imprevedibilità delle stagioni di crescita e le conseguenze che questo ha sugli ecosistemi, fanno il resto. Sta già accadendo in Africa occidentale. I modelli erratici delle precipitazioni e una serie di infestazioni hanno inciso sulla produzione delle fave di cacao nella regione che ne genera il 60% della produzione globale. I prezzi sono saliti del 400% rispetto all’ultimo decennio. Le conseguenze sono state globali: a dicembre 2024 una tonnellata è arrivata a sfiorare il costo di 13mila dollari. Il prezzo del cioccolato in Europa e Nord America è schizzato.

BCG e Quantis: strategie per rendere resilienti le filiere agroalimentari

Rispondere in maniera sensata ai rischi all’orizzonte richiede un’analisi approfondita dei comportamenti delle diverse filiere e delle soluzioni possibili. In particolare BCG e Quantis si sono concentrati su quindici colture chiave, che rappresentano il 65% della produzione agricola e il 70% dell’apporto calorico mondiali. Sono banane, cacao, caffè, cotone, arachidi, mais, cipolle, olio di palma, patate, riso, soia, barbabietola da zucchero, canna da zucchero, tè, pomodori e grano.

Tra le soluzioni proposte c’è l’adozione di pratiche agricole sostenibili e rigenerative e l’utilizzo di tecnologie come intelligenza artificiale e analisi predittiva a supporto del settore. Concretamente si possono sviluppare sementi resistenti al clima o varietà delle colture, individuare sistemi di stoccaggio e strategie di approvvigionamento alternativi, ottimizzare la logistica. Ma, soprattutto, elaborare soluzioni scalabili.

Gli effetti concreti della crisi climatica sui sistemi alimentari

Che la crisi climatica abbia degli effetti concreti sull’agricoltura è sotto i nostri occhi ogni giorno. Quanto e come lo faccia, però, a volte ci sfugge. L’analisi delle colture di BCG e Quantis approfondisce gli impatti globali e quelli a livello Paese, oltre che le perturbazioni che agiscono a più livelli.

Gli eventi meteorologici estremi incidono sui livelli di produzione locale e nazionale, ma questo ha impatti globali. I modelli dello studio stimano che la diminuzione globale, entro la metà del secolo, potrebbe avere un picco del 35%. Per le economie nazionali strettamente legate alla produzione di prodotti agricoli di base gli impatti saranno molto marcati. Un esempio è quello del riso, che costituisce il 22% dell’apporto calorico globale (superato solo dal grano al 23%). Il calo di produzione globale dovuto ai divieti di esportazione potrebbe portare a carenze di approvvigionamento tra il 30 e il 50%. I primi tre produttori al mondo subiranno un calo molto ingente: l’India del 18%, il Bangladesh del 15% e l’Indonesia del 12%. Questo avrà importanti conseguenze sul Pil. Bangladesh e Vietnam rischiano perdite fino a 4 miliardi di dollari. India e Cina potrebbero perdere rispettivamente 9 e 6 miliardi di dollari.

Le perdite dei Pil nazionali hanno effetti sulla redditività degli agricoltori già in calo per la volatilità dei prezzi e per lo scarso potere contrattuale. Questo non li mette in condizione di fare investimenti in adattamento e resilienza. Spesso, anzi, li costringe a indebitarsi.

Dalla siccità alle guerre: crisi multiple sulle filiere alimentari

Non c’è solo la crisi climatica, che ha effetti gravi ma che diventano ancora più gravi se le condizioni di base sono particolarmente instabili o fragili. Gli eventi che mettono a rischio le catene di approvvigionamento spesso arrivano a cascata. Come accaduto nel 2022 con la fornitura globale di oli vegetale. È iniziato tutto dall’olio di girasole, alla base della dieta di molti Paesi. La guerra in Ucraina è stato il primo elemento di shock: insieme alla Russia, il Paese produce il 60% delle esportazioni globali.

Intanto in Thailandia la siccità e le malattie delle piante hanno colpito il settore dell’olio di palma. In Brasile e Argentina, a causa della siccità, la produzione di olio di soia è scesa rispettivamente dell’11 e del 5%. Il caldo estremo in Canada, il più grande esportatore al mondo di colza, ne ha devastato le coltivazioni. Tutti questi eventi, messi in fila, hanno determinato un crollo della filiera degli oli vegetali e fatto aumentare i prezzi come mai nella storia.

Fenomeni del genere, secondo la ricerca delle due società di consulenza, saranno sempre più frequenti visto l’aggravarsi della crisi e delle tensioni geopolitiche e commerciali.

I principali rischi che minacciano le filiere del cibo

L’imprevedibilità della produzione agricola ha effetto diretto sui prezzi delle materie prime e indiretto sulle strategie di approvvigionamento, visto che sono basate su flussi di fornitura stabili. Per questo è opportuno analizzare i tipi di rischio cui le filiere agroalimentari vanno incontro. La ricerca ne individua quattro categorie, o archetipi.

  • Rischio localizzato e volatilità delle filiere. Le aree più colpite della crisi climatica sono quelle i cui raccolti sono più a rischio. Di conseguenze, quelle in cui diventano più probabili i divieti di esportazione a tutela del fabbisogno locale. Come accaduto nel 2022 e nel 2023 con il riso in India. Se la misura dovesse diventare totale, si potrebbe arrivare a una diminuzione della disponibilità globale del 54% entro il 2050.
  • Produzione concentrata. Alcune catene di approvvigionamento si concentrano quasi esclusivamente su un’unica regione di coltivazione. Serve invece emanciparsi da questo modello e sviluppare nuovi fornitori, oltre che coltivazioni alternative. Per rispondere a queste esigenze servono investimenti ingenti per formare gli agricoltori e costruire reti logistiche e di stoccaggio. Oltre che tempi lunghi. Come è accaduto per il cacao, a lungo produzione dominante in Africa occidentale. La diffusione di malattie delle piante e la siccità hanno portato alle carenze globali del 2024 di cui dicevamo sopra. Ma una soluzione al problema potrebbe essere l’obiettivo del Brasile di raddoppiare la produzione nazionale entro il 2030.
  • Singola variante. Come abbiamo raccontato nel nostro dossier sul caffè, concentrarsi su una sola variante di una coltivazione può essere deleterio. Basta l’infestazione di un parassita o una malattia per avere conseguenze globali. Lo studio riporta l’esempio della banana Cavendish, che rappresenta il 95% delle banane in commercio in tutto il mondo. Eppure si tratta di una variante molto vulnerabile alle malattie proprio per la mancanza di diversità genetica. Anche in questo caso, è necessario investire con lungimiranza e finanziare programmi di diversità genetica, recuperare colture del passato e svilupparne di nuove più resistenti.
  • Ritardi nell’innovazione. Alcune colture sono ferme a metodi ormai antiquati e inadatti alle nuove sfide ambientali.

Filiere resilienti: un cambiamento possibile solo con scelte politiche

Intervenire su questi quattro ambiti di rischio vuol dire affrontare con lungimiranza la crisi in cui le filiere agroalimentari già si trovano. E vuol dire farlo in maniera definitiva, senza soluzioni tampone. BCG e Quantis elaborano una road map in tre fasi, che va dall’analisi e mappatura dei rischi, a partire dalle fonti esistenti e dalla modellistica climatica alla definizione di piani per costruire strategie di resilienza a lungo termine. Questa fase deve coinvolgere tutti gli attori della filiera, da quelli produttivi e/o economici a quelli politici, che insieme devono essere in grado, infine, di gestire collettivamente i rischi a breve termine nelle regioni di produzione agroalimentare esistenti.

La crisi climatica sta colpendo gran parte dei settori economici e produttivi ma, quando parliamo di agricoltura, parliamo di ciò di cui si nutre la popolazione mondiale. Non intervenire in maniera radicale vuol dire semplicemente lasciare che, anche in questo campo, le disuguaglianze facciano il loro corso e chi ha mezzi e possibilità si salvi, anche se tra questi ultimi spesso si tratta di persone, Paesi o aree geografiche in gran parte responsabili dei rischi. E significa lasciare abbandonate a loro stesse milioni di persone, interi Paesi e aree geografiche che invece hanno avuto un ruolo quasi nullo nel generare il disastro.

A prescindere da quanto impegno possiamo mettere nel condurre stili di vita virtuosi, il campo di intervento è essenzialmente politico. Lo è a livello nazionale, con i piani di adattamento e le strategie di mitigazione. Lo è a livello sovranazionale, all’interno dei diversi luoghi in cui i decisori politici si riuniscono. Anche se, guardando all’Europa, possiamo solo esprimere preoccupazione. E lo è a livello globale, nella revisione delle filiere agroalimentari e in interventi di adattamento che vadano nella direzione di renderle più resilienti. E nelle Conferenze per il clima, in cui ogni anno i rappresentanti dei Paesi di tutto il mondo si riuniscono, in teoria per spartirsi impegni e responsabilità. In pratica, per fare da scaricabarile e prendere tempo. Come se ne avessimo ancora a disposizione.

16/06/2025

da Valori

Rita Cantalino

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