Le ultime mosse di Trump ci dicono che all’origine della sua confusa strategia daziaria esistono soprattutto motivazioni di tipo politico. Il Presidente americano usa le tariffe doganali come una clava sulle economie dei Paesi che non si piegano ai suoi diktat su varie questioni di politica internazionale.
I ‘buoni’ e i ‘cattivi’ per la Casa Bianca
Facendo un’analisi comparativa dei ‘buoni’ e dei ‘cattivi’, secondo la lista stilata dalla Casa Bianca, salta subito agli occhi una certa disparità di trattamento, una logica quasi punitiva, mostrata verso i Paesi del blocco ‘Brics’. L’ultimo in ordine di tempo è il Sudafrica, al quale Trump ha deciso di riservare un trattamento speciale, caricando le sue esportazioni negli Stati Uniti di un dazio del 30 per cento a partire da govedì prossimo, 7 agosto. Il Presidente Cyril Ramaphosa, non si è fasciato la testa e ha detto che, pur continuando le trattative, ‘guarderà altrove’, cioè in Cina e nel resto dell’Africa. Eppure, la lettura dei dati nudi e crudi non giustificherebbe in alcun modo una scelta Usa simile. «Nel tentativo di evitare l’aumento dei dazi – scrive la France Press – il Sudafrica si è addirittura offerto di importare gas naturale liquefatto e alcuni prodotti agricoli statunitensi, nonché di investire nelle sue industrie minerarie e di riciclaggio dei metalli. Pretoria è concentrata sui negoziati per un nuovo accordo nonostante la ‘provocazione molto estrema’ da parte degli Stati Uniti, ha detto ai giornalisti il Ministro degli Esteri, Ronald Lamola. Il dazio del 30 percento era ‘imperscrutabile’ considerando che le importazioni dal Sudafrica rappresentavano solo lo 0,25 per cento del totale Usa. Inoltre, il Sudafrica – ha aggiunto Lamola – non rappresenta una minaccia commerciale per l’economia statunitense né per la sua sicurezza nazionale, sottolineando che le importazioni sostengono l’industria statunitense e non sono in concorrenza con essa. Un esempio è che le esportazioni agricole sudafricane – dice ancora Lamola – sono ‘controstagionali’ e quindi colmano le lacune del mercato Usa, senza sostituire la produzione nazionale».
Quel 30% commercialmente insensato
Certo, a valutare la sproporzione tra il volume degli scambi e lo sproposito tariffario proposto da Trump, qualcosa non torna. Non c’è una logica commerciale. La tariffa del 30% è la più alta nell’Africa subsahariana e, guarda caso, viene adottata contro Pretoria proprio in un momento in cui le relazioni diplomatiche con Washington sono in crisi. Per ora si tratta di una prima botta: i dazi colpiranno in particolare i settori agricolo, automobilistico e tessile del Sudafrica, mentre il 35 percento delle esportazioni sarà esentato (rame, prodotti farmaceutici, semiconduttori, articoli in legno e minerali essenziali). Comunque sia, proprio i comparti più interessati potrebbero soffrire improvvisi cali dell’occupazione (sia nell’ortofrutticolo che nel manifatturiero) e creare ulteriori problemi ai già fragili equilibri sociali. L’effetto-Trump sull’economia sudafricana potrebbe ridurre dello 0,2 per cento la crescita, che nel primo trimestre di quest’anno è stata solo dello 0,1 per cento circa. Di questo passo, si allontana anche la prospettiva di chiudere l’anno almeno con un +1 per cento di Pil. La scorsa settimana la South African Reserve Bank ha previsto che l’imposta statunitense potrebbe costare 100 mila posti di lavoro, con un tasso di disoccupazione che viaggia già abbondantemente sopra il 30% (siamo al 32,9). Ma il governo (logicamente) getta acqua sul fuoco. Il direttore generale del Dipartimento del commercio Simphiwe Hamilton ha dichiarato che, secondo le loro stime, potrebbero essere interessati ‘solo’ 30 mila posti di lavoro. Tuttavia, inutile negarlo, la contrapposizione frontale tra Sudafrica e Stati Uniti sta prendendo una brutta piega. Le ragioni? Strettamente politiche. Di più: strategiche.
Sudafrica Brics e Corte di giustizia dell’Aja
Pretoria viene vista come una formidabile testa di ponte cinese, protesa verso tutto il Continente nero. Il Sudafrica è il primo partner commerciale di Pechino ed è asse portante dei ‘Brics’, i Paesi a nuova industrializzazione che si oppongono, a volte drammaticamente, al pensiero unico occidentale’. Nel caso del Sudafrica il fastidio, anzi, l’astio di Trump, verso il Presidente Cyril Ramaphosa, è esacerbato da contenziosi multipli. Non solo l’aura di ‘non allineato’ che per Trump è quasi un’offesa (lo considera un ‘cane sciolto’) ma anche la sua ostinazione a battersi per Gaza e la Palestina, portando Israele davanti alla Corte internazionale di Giustizia dell’Onu. Non solo. Ramaphosa ha fatto anche passare una legge in patria, sulle quote (posti di lavoro, terre) da assegnare ai neri, suscitando le ire della Casa Bianca. Che lo ha accusato di ‘pulizia etnica e genocidio’, nei confronti dei coloni bianchi di origine olandese (gli ‘afrikaaner’). Ci sono stati un paio di omicidi di agricoltori, fatti passare (guarda caso) per l’equivalente di quello che sta succedendo a Gaza. Chi c’è dietro? Risposta facile per ognuno di voi. Fatto sta che Trump ha ricevuto Ramaphosa alla Casa Bianca un paio di mesi fa e gli ha teso un agguato mediatico. Qualcuno gli ha procurato i video dei presunti ‘genocidi’ sudafricani. La situazione si è ulteriormente incancrenita (non solo per il Sudafrica) il mese scorso, dopo il meeting dei ‘Brics’ svoltosi a Rio de Janeiro.
Analisi Stratfor
Ecco l’analisi fatta dal think tank Stratfor dell’impatto che può avere avuto il vertice sulle politiche tariffarie della Casa Bianca: «I leader dei ‘BRICS+’ si sono riuniti in Brasile per il 17° vertice del blocco e hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in difesa del multilateralismo, chiedendo la riforma delle Nazioni Unite e sostenendo le posizioni di Russia e Iran nei conflitti in corso. Mentre il blocco ha evitato di mettere direttamente in discussione gli interessi degli Stati Uniti, il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha minacciato di imporre dazi del 10% sui paesi allineati con i ‘BRICS+’ e le loro presunte politiche anti-americane. La dichiarazione congiunta – sostiene Stratfor – riflette la crescente tendenza ideologica anti-occidentale del gruppo, segnalando che i ‘BRICS+’ probabilmente continueranno a spingere per il multilateralismo e un ruolo più importante per i Paesi del Sud del mondo nelle istituzioni globali e una riduzione del protezionismo». La valutazione di Stratfor sulle minacce tariffarie di Trump, di conseguenza, è che «probabilmente approfondiranno le divisioni sull’Occidente all’interno del blocco dei ‘Brics+’ nei prossimi anni».
Anti Brics e niente Gaza
- Il problema chiave per gli Stati Uniti è frenare, con le minacce, il processo di allargamento del blocco. Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica hanno fondato i BRICS nel 2009, mentre Egitto, Etiopia, Iran ed Emirati Arabi Uniti ne sono entrati a far parte nel gennaio 2024, mentre l’Indonesia è diventata membro nel gennaio 2025. Bielorussia, Bolivia, Kazakistan, Cuba, Malesia, Nigeria, Thailandia, Uganda, Vietnam e Uzbekistan sono Paesi partner ‘BRICS+’. Se Trump e l’Europa allineata non li fermano adesso, i ‘BRICS+’ faranno a pezzi l’arroganza e il suprematismo dell’Occidente.
05/08/2025
da Remocontro