Medio Oriente. «Come va a Stalingrado» chiedeva la Resistenza europea. Ora non vediamo chi vince, chi perde appesi a «tregue» esili mentre Netanyahu, che vuole l’incendio, massacra Gaza.
Due partigiani, un ucraino e un polacco, nell’inverno del 1943 escono dal loro rifugio e chiedono con apprensione a quelli che incontrano: «Come va la battaglia di Stalingrado dei russi contro i nazisti?».
Inizia così “Educazione europea”, romanzo di Romain Gary, grande scrittore ed eroe della resistenza francese. Come va oggi la battaglia del Golfo?
La nostra attuale educazione europea deve ancora cominciare, perché non conosciamo più le guerre. E neppure chi le vince e chi le perde. Soprattutto quando vengono proclamate tregue fragili e persino evanescenti. Basta pensare a Gaza dove i palestinesi affamati e torturati muoiono tutti i giorni.
Non è retorica: questa guerra del Golfo nasce nel momento in cui né gli Stati uniti né l’Europa si sono opposti al genocidio di un popolo. Se ammetti questo, tutto il resto è possibile.
Abbiamo lasciato mano libera a Netanyahu di incendiare il Medio Oriente.
Ma quando la casa del tuo vicino brucia anche la tua casa potrebbe bruciare: questo gli americani, a migliaia di chilometri da qui, non l’hanno mai capito. Tanto meno questo disperato che sta alla Casa Bianca, già pentito di quello che ha fatto in Iran. La guerra in Afghanistan nel 2001 è costata migliaia di morti e di profughi, per poi restituire il Paese ai talebani. In Iraq nel 2003 abbiamo gettato uno stato nel caos, nella guerra civile e nel jihadismo. Per non parlare della Libia, divisa, ferita e in mano a bande criminali che colpevolmente anche noi italiani accettiamo e foraggiamo.
Ma queste cose forse Trump non le sa o fa finta di ignorarle: lui non sa neppure che cosa è stata Stalingrado. E soprattutto ha persino sbeffeggiato i suoi servizi segreti dando credito a quelli israeliani che assegnavano già all’Iran una bomba atomica. Invece di continuare a negoziare con Teheran si è fatto imporre l’agenda di Netanyahu: Israele ha attaccato l’Iran quando, dopo due giorni, si dovevano tenere incontri in Oman tra Washington e Teheran.
Nonostante i suoi potenti cacciabombardieri, Trump ha dato dimostrazione di un’estrema debolezza. La tecnica è importante ma non è mai una politica. Questa è una guerra che lui poteva evitare e non l’ha fatto. Aveva promesso di portare la pace nel mondo e alla fine ha ceduto al premier israeliano.
Vanno incontro, Usa e Israele, a una sconfitta? Forse. L’obiettivo non era solo il nucleare iraniano ma il cambio di regime e soprattutto ridurre l’Iran come l’Iraq e la Siria. Ovvero senza un esercito, un’aviazione e una base industriale, spogliando popoli e paesi di qualunque sovranità.
Il piano strategico americano e israeliano non è certo la stabilizzazione del Medio oriente ma quello di condurre la regione nel caos, disgregando gli stati nati dalla dissoluzione dell’impero ottomano e del colonialismo anglo-francese. Se noi guardiamo la mappa della regione ci rendiamo conto che i confini degli stati attuali sono più una convenzione che una realtà.
In Medio Oriente secondo Netanyahu e soci deve esistere solo un colonialismo, quello israeliano che decide non soltanto la sorte dei palestinesi ma quella degli stati di tutta la regione. Per ora questo progetto resta in piedi e infatti nel Golfo e altrove la guerra è destinata a continuare.
L’Iran, pur con un regime inaccettabile secondo i nostri standard occidentali, si è opposto a questo destino. Ma oggi Trump annaspa perché non sa cosa fare e rischia di ripetere gli errori disastrosi fatti dalle altre amministrazioni americane.
E noi qui, in Europa e nel Mediterraneo, cosa abbiano da dire? Poco o nulla: il presidente Usa non ci considera degni interlocutori, a Israele, governata da un ricercato della corte penale internazionale, non imponiamo neppure una sanzione. Dovremmo ribellarci ma per farlo ci vuole una dignità che forse non abbiamo. E non siamo degni neppure della memoria di Stalingrado.
25/06/2025
da Il Manifesto