01/09/2025
da Remocontro
Il telegiornale ‘principe’ Rai, battuto per la prima volta da quello Mediaset. Come premio il direttore, il semi ignoto Chiocci, passa da ‘Telemeloni’, direttamente a portavoce della premier, finalmente senza inganni. Il servizio pubblico è sempre più un parcheggio per le seconde file della destra, denuncia l’opposizione. Anche terze file.
Sempre Meloni, televisiva o meno
La notizia l’ha data il Foglio: Meloni vuole prendere come portavoce il direttore del Tg1 Gian Marco Chiocci. Lui non ha smentito. Anzi ha confermato: ci sta pensando, ma intanto continua a fare il suo lavoro da portavoce ufficioso. Dal Foglio al manifesto: ‘Ieri all’ora di pranzo il semi ignoto Chiocci ha convocato la redazione. Appena un quarto d’ora, giusto il tempo per dire che in effetti l’ipotesi è in piedi ma che in ogni caso, prima di dire sì, l’azienda verrà, bontà sua, messa al corrente. Potrebbe accadere molto presto’. Tra i giornalisti molti hanno ringraziato per i chiarimenti, altri si sono detti preoccupati. Al peggio non c’è mai fine?
Una voce nel deserto
Dal Cda solo il consigliere Roberto Natale ha parlato di «grave danno» (inteso nel senso di prevaricazione politica certamente), ricordando pure che il direttore fa da testimonial al ‘Media freedom act’, «che ai servizi pubblici di tutta Europa chiede indipendenza dal potere esecutivo». La persona giusta al posto giusto svela ora ufficialmente la stessa premier. Ora la domanda delle domande -sottolinea Mario Di Vito-, è chi prenderà il posto di Chiocci e la risposta alla fine della fiera potrebbe essere la più semplice di tutte, considerando che a spasso (cioè con un programmino su Rai Storia e non molto di più da fare) c’è Mario Sechi, pure lui per un periodo capo della comunicazione di palazzo Chigi.
Cambio e ricambio, ‘la Rai è mia’
Un piano dunque esiste, ma non mancano le insidie: pare che il sottosegretario/stratega massimo Giovanbattista Fazzolari non sarebbe entusiasta dell’arrivo dell’autore del famoso scoop sulla casa di Montecarlo che costò la carriera politica a Gianfranco Fini. E c’è chi dice che il motivo sia nella diversità di vedute, e di rapporti, sui vertici degli apparati dello stato, a partire dai servizi. Si vedrà, ma tanto la scelta finale sarà solo di Meloni, alla quale non sembra importare molto del tracollo degli ascolti del Tg1 sotto la direzione Chiocci, apprezzata invece per il diligente servizio di megafono delle politiche governative.
‘Comfort zone’ prezzolata
Si sa che la premier non ama i giornalisti, lo ha ammesso lei stessa a chiare lettere alla Casa Bianca pochi giorni fa. E i giornalisti, piaggerie e carrierismi a parte, avrebbero molto per cui ricambiarla. La gestione politica del servizio pubblico e la ‘comfort zone’ del telegiornale ‘fu ammiraglio’ dunque era apprezzata assai. Ormai senza far finta, il governo usa la Rai soprattutto come un parcheggio per amici in attesa di migliore collocazione. A parte il già citato Sechi appoggiato sul canale 54 a celebrare le «magnifiche imprese» del Belpaese, non si può non ricordare Gennaro Sangiuliano, che abbandonato il ministero della Cultura per le note vicende, è in esilio confortevole a Parigi, da corrispondente.
Sola e vera missione, la propaganda
Molto si è discusso delle avventure e delle disavventure di Telemeloni, tra censure e autocensure, fuga dei volti più noti verso altri lidi, produzioni bizzarre per attaccare la presunta «egemonia culturale» della sinistra, dati d’ascolto in picchiata e raccolta pubblicitaria in costante peggioramento. Un discorso che potrebbe arrivare anche al troppo spesso dimenticato comparto cinematografico. Qui l’operazione sarebbe di lungo respiro e vorrebbe costruire un immaginario nuovo, ma tra comandanti fascistissimi, reporter di guerra troppo chiacchierati ed eroiche imprese istriane, il botteghino non ha mai restituito risultati irresistibili.
Più della lottizzazione, l’incompetenza
Di fatto, la tara di fondo di TeleMeloni, finora, non è tanto la lottizzazione, operata né più né meno dei predecessori, ma è la scarsità di risorse professionali. Detta semplicemente: non ci sono professionalità all’altezza, sul piano strettamente radiotelevisivo (e molto spesso genericamente giornalistico). Per ragioni storiche di esclusione precedente, senz’altro. Ed ecco la predilezione nel guardare alla quantità di caselle da occupare, più che alla bravura e padronanza di linguaggi tutta da dimostrare. Politica di governo compresa.
Qualità: che vi sia ciascun lo dice, dove sia, a TeleMeloni, nessun lo sa.
C’ERA UNA VOLTA IL MIO TG1
Telegiornaliste anno VI N. 35 (252) del 25 ottobre 2010
Remondino va in pensione di Anna Rossini
- Anche i giornalisti vanno in pensione. Li vedi lì, sullo schermo, ogni giorno, per anni. Diventano persone di famiglia. Un giorno, però, qualcosa cambia. Per gli spettatori, ma anche per i telegiornalisti. Anche per Ennio Remondino.
Dopo 40 anni di lavoro – correggimi se sbaglio – un cambio radicale. Dubbi, perplessità?
«Lasciami l’illusione che l’anagrafe sia l’ultima certezza democratica rimasta. Anche se mi dicono di importati eccezioni. A che età vanno in pensione i politici, o i consiglieri di amministrazione, o direttori generali di aziende pubbliche o semipubbliche? Dubbi pochi, perplessità molte. Mi manca la percezione di essere pressato da una folla di bravissimi che chiedono strada. Ma la modestia non è più una virtù».
Felice di lasciare il giornalismo in un momento così difficile, fra dossier, perquisizioni, leggi molto criticabili, critiche del Premier…
«Uno lascia un giornale, mai il giornalismo. Che questo sia un momento molto difficile per il nostro mestiere è certo. Ma è anche giornalismo triste. I dossier su cui ho lavorato riguardavano terrorismo, trame e attentati allo Stato. Ho subito perquisizioni e processi che non riguardavano vicende immobiliari. Sono stato anche attaccato da un Premier, ma si chiamava Andreotti e si litigava attorno a Cia e P2. Allora».
Cosa ti mancherà? E di cosa sarai felice di liberarti?
«Banalmente, la giovinezza, l’ambizione, la voglia di fare, l’illusione di un giornalismo nobile e raddrizza torti. Mi credevo Tex Willer e mi scopro quel brontolone di Kit Carson. Nel frattempo sono scomparsi sia il West sia gli amati Pellerossa. Genocidio del giornalismo senza frontiere e padroni. Salvo nobili e resistenti eccezioni. Il dramma è quello di essere troppo vecchio per armarmi e salire in montagna».
Progetti. Hai altri libri nel cassetto? Oppure nuove collaborazioni giornalistiche?
«Tanto per precisare, io esco il primo novembre: non a caso il giorno di tutti i Santi. Tracce di libri tante, editori interessati a pubblicarli molti meno. Uno cui tengo molto avrà un titolo chiaro e innocente. C’era una volta il Tg numero Uno. E voi non malignate subito su presunti sottintesi. Sulle collaborazioni giornalistiche potreste aiutarmi pubblicando una sorta di annuncio economico. Eccolo qui.
- A.A.A. Giornalista collaudato offresi, quasi come nuovo. Usato sicuro per ruoli di supporto a giovani colleghi. Non saranno prese in considerazione sostituzioni di giovani in fase di rodaggio. Consumi ridotti, motore opportunamente revisionato, velocità diesel con spunti interessanti all’occorrenza. Carrozzeria decente con qualche spelacchiatura sul tetto. Colore originale anche se sbiadito. Libretto di circolazione e revisioni successive garantiscono aspro collaudo sia sul fronte della carta stampata sia su quello radiotelevisivo, percorsi sul terreno della cronaca investigativa e d’assalto e su quello estero delle guerre. Molti i chilometri lungo le dissestate strade dei Balcani, da Vukovar al Kosovo passando per Sarajevo, del Medio Oriente e dell’Iraq, sino alle impercorribili piste afgane e alle travagliate colline libanesi dell’altro ieri. Per la migliore fruizione dell’Usato Garantito è consigliato oggi un uso più stanziale ad evitare rotture con conseguente difficile reperimento dei pezzi di ricambio».
Torni in Italia o resti all’estero?
«Data la mia naturale predisposizione alle lingue, sogno di andare al mercato e di poter chiedere ciò che desidero senza indicare col dito. A Istanbul mi sono ridotto a mangiare solo Levrek, che è il branzino, le Hamsi, che sono le acciughe e i facili Kalamar. Con lo slavo possedevo un menù un po’ più vasto ma oggi sento il bisogno di qualche golosità in più. Che sia giunta l’età dei brodini?».
Un bilancio della tua carriera
«Ciò che c’era da fare per strada l’ho fatto tutto. Le cose più pazze e pericolose. Nel giornalismo di carriera sono stato una frana. Capo redattore di me stesso o di pochi altri in quattro diversi uffici esteri di corrispondenza e “quasi direttore” sulle pagine dei giornali a ogni vigilia di nomine degli ultimi 15 anni. Sulla base del principio di Peter, ho evitato di raggiungere il mio livello di incompetenza. Troppi altri no».
Una riflessione sul giornalismo
«Un mestiere meraviglioso, se te lo lasciano fare. Nel frattempo sono cambiate molte condizioni di base. Meno editori e meno occasioni, meno notizie e più chiacchiere, meno mondo e overdose di politica interna. Provincialismo, servilismo, superficialità. Il mestiere dell’Inviato nel frattempo è morto senza una lacrima di cordoglio. Infine direttori che scambiano l’autorevolezza con l’autoritarismo. Imbecilli».
Un saluto ai telespettatori
- «Cari amici da casa. In tempi d’oro v’ho rotto le scatole a tutte le ore. Dal Tg1 quando ci frequentavamo (io e il Tg1), da tutte le testate e reti Rai quando la Nato ha giocato alla guerra umanitaria sulla ex Jugoslavia. Sicuramente vi avrò raccontato cose inesatte. Se è accaduto, il primo ad essere stato ingannato ero io. Di personale ho soltanto aggiunto ingenuità, stanchezza, ma sempre buona fede. Scusatemi».