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Capitalismi americani in Germania contro le regole Ue

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Un ex dirigente del fondo americano BlackRock a capo del governo e un ex consulente della banca d’affari Goldman Sachs all’opposizione. Il nuovo leader tedesco Frederick Merz è cresciuto con le politiche economiche di Reagan, mentre Alice Wiedel, a capo del secondo partito più rappresentato in Germania, è stata un’esperta di business con la Cina. Ecco come la Germania si appresta a far detonare il sistema di regole dell’Unione Europea.

Le origini dei personaggi

Il nuovo capo di Berlino proviene dalla finanza, rappresenta una classe politica da sempre transatlantica, nonostante le sue prime dichiarazioni di “indipendenza dagli Usa” (ma sarebbe meglio dire “da questi Usa”). Non è quindi un rappresentante  della tradizione manifatturiera e si appresta a far scendere un intero ceto politico dalla locomotiva industriale tedesca. La Germania è in recessione da due anni con al centro della crisi l’industria dell’auto (10% del Pil). Come molti rappresentanti dell’imprenditoria tedesca che certificano la crisi come strutturale, Merz considera la partita ormai persa. Produzione significa energia, energia significa Russia. Stop. Automotive uguale elettrico, elettrico uguale Cina. Stop. Lo scrive Wolfgang Münchau, un editorialista del Financial Times che Merz conosce bene, e che ha pubblicato “Kaput. La fine del miracolo tedesco”.

Quale altro futuro economico tedesco?

Il nuovo cancelliere vede quindi un altro futuro per l’economia tedesca: trasformare la Germania in un marchio di qualità tecnica, il punto di forza che ha fatto di quella tedesca la terza economia mondiale, dopo Usa e Cina. Delocalizzare mantendo il controllo sui processi è una sfida che la ferrea volontà teutonica potrebbe vincere. Anche se questa transizione non sarebbe indolore perché occorre sacrificare un gran numero di lavoratori meno qualificati. Un problema politico, ma secondario ai bisogni dell’animal spirit imprenditoriale che è già partito alla ricerca di nuovi mercati (India e Mercosur), nuove catene di aprovigionamento, nuovi clienti. Istinto naturale anche di tanti altri imprenditori europei, che non se ne stanno certo ad aspettare Bruxelles.

Frederick Merz deve risposte soprattutto a questi attori economici, che addossano la responsabilità della crisi dell’auto ai ferrei dettami del Green Deal e da un mix di regole e burocrazia che ha allontanato l’Europa dalla competizione economica mondiale.

Europa come futuro e solo impiccio?

L’Europa è vista come un dovere e un impiccio, non più il progetto futuro di un modello economico che affronta le sfide dei cambiamenti climatici e sociali. Il processo è in corso dall’ascesa di Trump e ora sta subendo un’accelerazione per cui proprio la Germania potrebbe essere decisiva. La Commissione Europea ha infatti annunciato in questi giorni il nuovo pacchetto di regole denominato “Omnibus”. Si tratta dell’allentamento di tutta la regolamentazione sulla sostenibilità delle imprese. Obbiettivo, togliere lacci e lacciuoli che rallentano lo sviluppo e aumentano i costi delle aziende europee. Il prossimo 5 marzo sarà presentata “La Bussola della Competitività” che in parte risponde alle indicazioni del Piano Draghi con l’obbiettivo di rendere l’economia europea concorrenziale a Usa e Cina. Una sfida che però è impossibile giocare ad armi pari con chi dell’ambiente (Green Deal) o della responsabilità sociale delle imprese (Csdr), se ne fa un baffo.

La resa totale dell’ambiente?

L’unica strada quella di smantellare le ambizioni ambientali, climatiche e sociali che hanno reso l’Europa un’avanguardia del cambiamento, sebbene con un sistema complesso di regole? L’urgenza della crisi tedesca sta spingendo Bruxelles a buttare il bambino con l’acqua sporca. Merz  si appresta a diventare il primo Kaiser della deregolamentazione tedesca, a cominciare della fatidica barriera dello 0,35% al deficit di bilancio. Non solo l’automotive, ma tutto il sistema manifatturiero delle Mittelstand (le Piccole e medie imprese, Pmi), guarda ormai oltre l’Europa e soprattutto alla Cina.

Deutsch Bank se ne è uscita con un rapporto fresco fresco dal titolo: “La Cina si mangia il mondo” e la nazi-economista Alice Wiedel, che in Cina ha portato grandi aziende, se la ride. Il liberista Merz se la dovrà giocare in casa, mentre a Bruxelles la Germania sta certificando il predominio della logica di mercato sulla politica e la visione del 

02/03/2025

da Remocontro

Valerio Sale

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