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Trump incriminato per l’assalto al Congresso, quasi colpo di stato

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Donald Trump è da ieri formalmente accusato di aver tentato si sovvertire le elezioni democratiche del 2020. L’ex e potenzialmente prossimo presidente degli Stati uniti è di fatto accusato di tentato colpo di stato.
Quattro capi d’accusa federali tra cui associazione a delinquere e cospirazione. L’accusa lunga 45 pagine sostiene che «l’ex presidente, nonostante avesse perso le elezioni, era determinato a rimanere al potere, e ha diffuso menzogne sul fatto che ci fossero stati brogli… affermazioni che l’imputato sapeva erano false».

                                                             

L’inquisito Trump tra presidenza e carcere

Questa volta l’accusa su Donald Trump è veramente pesante: aver complottato per ribaltare le elezioni presidenziali del 2020. Quattro capi d’accusa federali per l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio del 2021, tra cui associazione a delinquere e cospirazione: di fatto un tentato colpo di Stato. E la notizia, peraltro attesa, prima del difficile procedere giudiziario, scatena una tempesta politica destinata a durare sino alle presidenziali 2024 con problemi di rimbalzo sul mondo.

L’atto d’accusa

Un dossier di 45 pagine prima inviato dal procuratore speciale, Jack Smith, a un Gran giurì, che ha deciso di incriminare Trump. Il Wall Street Journal, nell’analizzare il testo dell’accusa preparata dal procuratore speciale Jack Smith, ha scritto: «… un’accusa parlante, che fornisce più informazioni di quelle legalmente richieste per giustificare le accuse per creare una narrazione». Nel documento, vengono anche citati sei ipotetici cospiratori, anonimi e per ora non incriminati.

I cospiratori

I cospiratori non sono stati indicati per nome, ma 5 di loro sono facilmente identificati attraverso le descrizioni fornite dal pubblico ministero: gli ex avvocati di Trump Rudy GiulianiJohn Eastman e Sidney Powell, l’ex funzionario del Dipartimento di Giustizia Jeffrey Clark, e l’avvocato d’appello Kenneth Chesebro. Il ‘co-cospiratore 6’, non ancora identificati, è descritto nell’accusa come un ‘consulente politico‘ che ha contribuito a realizzare un piano per presentare liste di elettori fraudolente.

Mentiva sapendo di mentire

Trump, quando parlava di «voto fraudolento e di essere stato derubato della vittoria», sapeva benissimo di avere perso veramente. «Ma l’imputato ha ampiamente diffuso lo stesso queste valutazioni – recita l’atto d’accusa – per fare apparire legittime le sue affermazioni consapevolmente false, creare un’intensa atmosfera nazionale di sfiducia e rabbia ed erodere la fede pubblica nell’amministrazione delle elezioni». Comunque, la libertà di contestare le elezioni per Trump è stata sempre garantita. I riconteggi sono stati accordati e il loro esito è stato infruttuoso.

Le pressioni sul vice Pence

Pressioni illecite diffuse, sul Dipartimento di Giustizia, per indurlo ad aprire false indagini su presunti crimini elettorali, ma soprattutto sulla seconda carica dello Stato. «L’imputato ha tentato di utilizzare una folla di sostenitori che aveva raccolto a Washington, DC, per fare pressioni sul Vicepresidente Pence affinché alterasse in modo fraudolento i risultati delle elezioni». Infine, mentre i rivoltosi che avevano invaso il Congresso cantavano ‘impicchiamo Pence’, Trump si rifiutava di ordinare lo sgombero del Campidoglio e con due tweet, definiva ‘tranquilla’ la situazione dell’ordine pubblico.

Le reazioni politiche

Ora la giustizia farà il suo corso. Ma i tempi del diritto non sono quelli della politica e i movimenti tellurici delle ultime accuse all’ingombrante Donald Trump, sono stati immediati. Siamo già in campagna elettorale per le Presidenziali del 2024. Le primarie interne ai partiti –‘le elezioni delle elezioni’-, per scegliere il candidato alla sfida presidenziale. Problema in casa repubblicana dove nessuno si è azzardato a dire mezza parola contro l’ex-presidente. Temono tutti, a cominciare da Ron DeSantis, di perdere quel ‘zoccolo duro’ (tra il 30 e il 40% del partito) pervicacemente attaccato a The Donald. Mezze frasi, allusioni, magari qualche ammissione sulle ‘sbracature’ politiche di Trump, ma niente di più. Anzi.

La politica del discredito

Già si è scatenato il fuoco di sbarramento degli alleati più stretti. Marjorie Taylor Greene, la ‘pasionaria’ dura e pura della Georgia, ha tuonato contro il Dipartimento di Giustizia, e Kevin McCarthy, lo speaker della Camera, è stato ancora più pesante. Facendo presagire un futuro prossimo molto turbolento, nelle aule del Congresso americano. McCarthy, senza entrare nel merito delle accuse mosse da Jack Smith, ha però avanzato dei gravi sospetti sull’origine di tutta l’azione anti-Trump. Secondo l’esponente repubblicano, si tratterebbe di una ‘rappresaglia politica‘ originata dalle indagini e dalle inchieste parlamentari sollecitate dal GOP, su Hunter Biden, il figlio del Presidente Joe Biden.

Tra politica e guerra per bande

Nel mirino di tutto il Partito repubblicano c’è, sempre e comunque, l’Attorney general, cioè il Ministro della Giustizia, democratico, Merrick Garland. Insomma, l’imbarbarimento della vita politica americana è tale che, al di là del merito delle accuse, se i Repubblicani dovessero tornare alla Casa Bianca, si vendicheranno. Forse anche di Jack Smith, magistrato preparato, onesto e gran lavoratore, ma con la colpa di avere una moglie amica della signora Obama. Dalla politica alla guerra per bande.

Futuribile

Alla fine non saranno magistrati o giurati gli arbitri di Trump e del trumpismo, ma gli elettori. Perché Trump dovrà farsi eleggere per evitare il forte rischio carcere, facendo decadere i procedimenti o addirittura concedendo una grazia a se stesso. O contare su una Corte suprema ultraconservatrice da lui creata. Arrivando ad una Casa Bianca asservita agli interessi personali di uno speculatore edilizio che nella carriera ha accumulato oltre 4.000 procedimenti civili, dispute contrattuali e bancarotte.

 

03/08/2023

da Remocontro

Piero Orteca