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L’industria Usa dipende da Pechino anche per armare l’Ucraina

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Dopo la missione di Antony Blinken in Cina e l’incontro con il presidente Xi Jinping, nei rapporti tra Washington e Pechino non c’è stata una svolta, soprattutto sui temi più delicati come Taiwan e la guerra della Russia contro l’Ucraina.
Ma è noto a pochi che, senza la Cina, gli americani non potrebbero mai riarmare l’Ucraina? Con l’aggiunta che la strategia del   ‘disaccoppiamento’, tanto caldeggiata da Biden, rischia di ritorcersi contro l’intero Occidente.

                                                        

La catena di approvvigionamento che lega il mondo

Stati Uniti e Cina tornano a parlarsi, perché ‘devono’. I loro rapporti economici e commerciali sono così intrinsecamente connessi che ‘disaccoppiarli’ è, semplicemente, impossibile. La globalizzazione ha costruito una catena di approvvigionamento produttivo che, partendo da Pechino, alimenta le fabbriche di tutto il mondo. E non è un’esagerazione. In questo senso, insomma, ha ragione l’Europa quando parla di ‘de-risking’ con la Cina. Cioè, di abbassare la soglia di rischio nelle transazioni, ma senza eliminarle, perché questo finirebbe per danneggiare tutti. Se ciò è vero per molti distretti produttivi, diventa ‘urgenza’ indifferibile per quelle aree ad altissimo valore aggiunto, come i settori che lavorano per la difesa. Secondo Greg Hayes (Amministratore delegato di Raytheon), “su 500 miliardi di dollari di scambi, che ogni anno vanno dalla Cina agli Stati Uniti, più del 95% dei materiali e dei metalli delle terre rare proviene o viene lavorato sul territorio del colosso asiatico. Non c’è alternativa”.

I missili Raytheon

La Raytheon, che costruisce molti dei missili più avanzati prodotti in America, per qualsiasi teatro di guerra. Sforna a getto continuo ‘cruise’, ‘sidewinder’, ‘Patriot’, ‘Stinger’ antiaerei a spalla e ‘Javelin’ anticarro, tanto per citarne alcuni. E, inoltre, realizza radar di scoperta aerea di tutti i tipi e sensori per la guerra elettronica. Molte di queste armi finiscono in Ucraina, aprendo la strada a una considerazione paradossale: il riarmo di Kiev passa, necessariamente, attraverso il contributo indispensabile di Pechino. Xi Jinping lo sa benissimo e sfrutta questi delicati equilibri commerciali con Washington, per tirare la corda. A febbraio ha fatto sanzionare sia la Raytheon che la Lockeed Martin, un’altra grande industria americana che lavora per la difesa. Loro producono caccia per superiorità aerea, ma anche i famosi lanciamissili multipli ‘Himars’, che l’Ucraina sta usando con grande successo.

Sanzioni e controsanzioni

Le restrizioni cinesi sono motivate ‘dalla vendita di sistemi d’arma a Taiwan’. Ma nessuno ci impedisce di pensare che, nei fatti, si tratta di una stretta’ che rallenta significativamente il ritmo di produzione bellica degli Stati Uniti. Insomma, più sanzioni cinesi, meno materie prime e semilavorati per l’industria della difesa Usa e pericoloso svuotamento degli arsenali militari del Pentagono.

Mancano le ‘armi fresche’

Non ci sono armi ‘fresche’ da mandare a Kiev, se non in misura molto limitata. Non è un problema di risorse finanziarie, è proprio una questione di avere le materie prime necessarie e il tempo per costruirle. «Se dovessimo ritirarci dalla Cina – dice ancora Hayes – ci vorrebbero parecchi anni per ristabilire le nostre capacità produttive, a livello nazionale o nei Paesi amici». È chiarissimo. Senza le materie prime e semilavorati ad alto valore aggiunto dell’economia cinese, l’industria americana degli armamenti se la vedrebbe brutta. Quindi, a nessuno, meno che mai a Biden (che ha già cominciato la sua campagna elettorale per il 2024) conviene tirare troppo la corda. Ultimamente, per esempio, sono state saccheggiate tutte le scorte di missili ‘Javelink’ e ‘Stinger’, e la produzione Usa non riesce assolutamente a stare dietro, all’enorme domanda che arriva dai campi di battaglia ucraini. Nonostante gli abbondanti finanziamenti del governo federale, la ‘Aerojet Rocketdyne’ non riesce a produrre sufficienti motori a razzo, a combustibile solido.

Il futuro a microchip

Un settore su cui Blinken avrà certo discusso in gran segreto, è quello dei microchip di fascia alta. In quest’area, gli Stati Uniti vogliono l’esclusiva e non solo per una questione di sicurezza nazionale. Chi detiene la tecnologia per produrli firma una vera e propria assicurazione sulla propria crescita economica, nei prossimi anni. I cinesi, però, inondano il mercato con i semiconduttori di fascia bassa e media, che vengono usati nei beni durevoli di largo consumo. Insomma, hanno sempre una grande capacità di colpire, anche se (per ora) restano esclusi dal settore più importante, che è quella dei semiconduttori più sofisticati, a uso militare.

Questo scenario è proprio ciò che la Casa Bianca vuole evitare, anche perché il percorso del dialogo con Pechino è ancora molto accidentato.