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Giugno 1946, l’altra metà degli italiani che volevano il Re

Giugno 1946, l’altra metà degli italiani che volevano il Re

La festa della Repubblica, sottovoce, senza parate e con qualche curiosità inconsueta sull’altra quasi metà degli italiani di quel 2 giugno 1946 che votarono per il Re.
Il rapporto con la dinasta dei Savoia è sempre stato molto complesso e tormentato, come del resto si vide spesso nella storia d’Italia. Si racconta che l’ardente repubblicano ed ex cospiratore Francesco Crispi, quando dopo l’Unità d’Italia passò in parlamento tra le fila dei monarchici, abbia pronunciato una storica frase: «La monarchia ci unisce, la repubblica ci dividerebbe»; più volte presidente del consiglio durante il regno di Umberto I, Crispi fu travolto dallo scandalo della Banca Romana e dalla sconfitta di Adua, ma la monarchia – che pure non era del tutto estranea alle vicende – non fu messa mai in discussione.
Solo dopo il fascismo e i disastri della II guerra mondiale si poté però finalmente decidere.

Voti monarchici nel giugno 1946

I sentimenti degli intellettuali. Alla fine della guerra il più noto intellettuale italiano era indubbiamente Benedetto Croce che non fece mistero della sua scelta monarchica al referendum del 2 giugno. Vale la pena di ricordarlo soprattutto perché Croce, autore del manifesto degli intellettuali antifascisti nel 1925, sostenne anche la necessità dell’abdicazione di Vittorio Emanuele III, troppo compromesso con il regime, a favore del figlio Umberto o addirittura del di lui figlio Vittorio Emanuele sperando nell’apertura di una pagina politica nuova.
Anche lo scrittore Carlo Emilio Gadda, che aveva combattuto valorosamente nella Grande Guerra, votò per la monarchia e come lui Valentino Bompiani, fondatore della casa editrice e che – bisogna ricordarlo – era comunque figlio di un generale del regio esercito. Meno noto è che anche Eugenio Scalfari, all’epoca ammiratore di Benedetto Croce, fece lo stesso e a nulla valsero le esortazioni di Italo Calvino, che aveva fatto la Resistenza in Liguria, a non farlo ed anzi il loro rapporto epistolare si interruppe per questo.
Più controverso il caso di Indro Montanelli, almeno sul piano della motivazione: secondo alcuni il giornalista non votò tanto per il suo conservatorismo, quanto per il fatto che, intuendo come tanti altri il sopravvento della repubblica, voleva compiere un gesto controcorrente.
A favore della monarchia si schierarono anche il pittore Giorgio de Chirico, l’attrice Anna Magnani e Antonio de Curtis, più conosciuto come Totò. Nonostante all’epoca non abbia votato, il diciottenne Ennio Morricone si dichiarò monarchico nel ricordo del Risorgimento.
Un caso particolare di monarchico ‘convertito’ fu quello dell’economista Luigi Einaudi: anche lui votò per la monarchia, ma fu il primo presidente della Repubblica eletto dal parlamento il 12 maggio 1948. Prima di lui del resto anche l’avvocato napoletano Enrico De Nicola, Capo provvisorio dello Stato dal giugno 1946 al maggio 1948, aveva votato per la monarchia.

Le ambiguità della politica

I partiti di sinistra ovviamente si pronunciarono tutti ufficialmente per la repubblica, ma il grande partito cattolico non prese una posizione netta: lasciò ai propri militanti la libertà di scelta. Sappiamo che tra i tanti democristiani che votarono per la monarchia ci fu ad esempio Giulio Andreotti; in realtà il dibattito sulla questione istituzionale all’interno della Democrazia Cristiana era cominciato prima e cioè alla fine del 1944 durante il governo Bonomi.
Tra il settembre 1943 e il giugno 1944, la monarchia era infatti precipitata in basso, ma dopo la liberazione di Roma si era assistito ad un piccolo recupero di popolarità, soprattutto grazie alla figura di Umberto, nominato Luogotenente generale del Regno il 5 giugno. Si era allentata così la pressione su Vittorio Emanuele III e i partiti del Comitato di Liberazione Nazionale avevano raggiunto l’accordo di «congelare» la questione fino alla fine della guerra. In questo clima meno rovente Ivanoe Bonomi, estromettendo il maresciallo Badoglio – figura assai controversa, ma soprattutto legata a doppio filo con il re – si era mosso con maggior disinvoltura.
In generale furono frenate alcune proposte del CLN, ma ad esempio fu sospesa la pena capitale e si decise di allargare l’elettorato concedendo il diritto di voto alle donne. A favore di casa Savoia si aggiunse poi l’atteggiamento inglese che, pur nutrendo scarsa fiducia nel sovrano regnante, guardava con moderata simpatia all’erede al trono.
Nell’attesa assieme alla Democrazia Cristiana, anche il Partito Liberale e il Movimento dell’Uomo Qualunque, non espressero quindi una posizione ufficiale sulla questione – subendo tra l’altro furibondi attacchi dai monarchici –sperando forse nel recupero della monarchia, o in un altro modo per rallentare le riforme economiche e sociali. Effettivamente Umberto riscosse poi un certo consenso, ma l’abdicazione di Vittorio Emanuele fu tardiva e non gli consentì di mostrarsi subito e fino in fondo come futuro sovrano.

Le forze armate e i reduci

Tradizionalmente il regio esercito e la regia marina erano sempre stati i pilastri fondamentali della monarchia, ma il disastroso esito della guerra li aveva fatti vacillare non poco. A parte le sconfitte e le accuse di crimini di guerra, pesava soprattutto la tragica e dolorosa vicenda dell’Otto Settembre: le forze armate si erano trovate a fronteggiare i tedeschi senza ordini precisi, scoprendo per di più dopo un certo tempo che Roma non era stata difesa ed era stata lasciata in balia dei nazisti in maniera a dir poco frettolosa.
Per gli ex militari internati venti mesi nei lager nazisti o costretti al lavoro coatto nella fabbriche tedesche e che comunque avevano rifiutato di aderire alla repubblica di Salò, la scelta non poteva essere altro che repubblicana e altrettanto per i reduci da altri fronti di guerra.
Diversi invece i casi di numerosi generali e ammiragli che non solo si pronunciarono per la monarchia, ma fino all’ultimo – cioè la partenza di Umberto per il Portogallo il 13 giugno – pensarono di rovesciare l’esito del voto. Curiosamente però a determinare una resistenza di Umberto ai risultati, non fu la possibilità di un’insurrezione monarchica come in Grecia, ma l’ipotesi di un ricorso suggerita da un gruppo di docenti universitari padovani presentata a De Gasperi dal ministro Cattani e dal segretario del partito liberale Cassandri.

Mentre i dati dell’Assemblea Costituente furono resi noti già il 6 giugno, per il referendum si dovette attendere il 18: secondo la Corte di Cassazione 12.717.928 voti per la repubblica, 10.769284 per la monarchia, 1.498.154 le schede nulle. «Un immenso lavoro ricostruttivo ci attende», disse De Gasperi, un percorso in salita.

04/06/2023

Abbiamo ripreso l'articolo

da Remocontro

di Giovanni Punzo