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Blinken in Turchia tra tensioni e ostilità. Le bomba americane che Israele lancia su Gaza

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Il Segretario di Stato Usa ad Ankara dall’alleato più scomodo di tutti. Voleva discutere di una ‘tregua per Gaza’, mentre Biden continua a rifornire di bombe Israele. E scopre che il concetto di ‘terrorismo’ può essere vario. Erdogan ad esempio discute su Hamas ‘solo terrorista’, e richiama l’ambasciatore da Israele per lo scempio a Gaza e Cisgiordania.

Ad un mese esatto dall’attacco terroristico a Israele, con 200 ostaggi ancora nelle mani di Hamas, sono più di diecimila le vittime palestinesi, la metà minorenni. Per l’Onu la guerra di Netanyahu nella Striscia sta facendo di Gaza «un cimitero di bambini».

 

Le basi americane sempre più sgradite

In Turchia, dopo le imponenti manifestazioni dei giorni scorsi per la ‘Palestina libera’, è cresciuto anche un sordo risentimento contro gli americani. Poco prima che arrivasse Blinken, una folla di manifestanti anti-israeliani ha assaltato una base aerea dell’US Air Force, ad Adana. La polizia antisommossa questa volta è riuscita ad arginare le proteste.

Il ‘vorrei ma non posso’ di Biden

Blinken è arrivato ad Ankara per «esprimere l’interesse dell’Amministrazione Biden a una ‘pausa umanitaria’ del conflitto». Ma nessun ‘cessate il fuoco’ a vantaggio di Hamas, come da veto alla risoluzione Onu in cui il mondo chiedeva una tregua.

Aria fritta con contorno di buone intenzioni

Vuoto a perdere. E il Segretario di Stato non è neppure stato ricevuto da Erdogan, ma dal suo omologo turco Hakan Fidan. A dimostrazione dell’atmosfera di freddezza nella quale si è svolto l’incontro, il giornale Hurryet scrive: «Blinken e Fidan si sono astenuti dal rilasciare dichiarazioni mentre posavano per i fotografi, prima delle discussioni formali. In particolare, Blinken non ha incontrato il Presidente Recep Tayyip Erdogan, che è stato apertamente critico nei confronti del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu».

Basta bombe da arsenale Usa

Sempre secondo quanto riferisce Hurryet, Fidan ha insistito sulla la necessità di «fermare Israele a Gaza e di dichiarare immediatamente un cessate il fuoco totale». E Blinken si deve accontentare di un «si è discusso di come ridurre le vittime civili».

Fallimento americano in Medio Oriente

Il vorticoso tour diplomatico di Antony Blinken, a proporre cosa? La tregua bloccata all’Onu? O le sollecitazioni umanitarie su Israele con i carichi di nuove bombe dagli arsenali Usa quotidianamente attraverso l’Atlantico? Come una trottola per il Medio Oriente e cercare di spiegare ai sempre più sconcertati leader dei Paesi islamici della regione, come mai l’America non sia riuscita a ottenere, finora, manco un accenno di tregua umanitaria per Gaza. Superpotenza? Forse in armenti e dollari, ma non in autorevolezza politica. E questa volta i dollari non bastano. Nemmeno i 14,3 miliardi promessi a Israele, a saldo futuro della enormità di bombe americane che Tel Aviv continua a scaricare sulla Striscia.

Qualcosa non torna, ed ecco Irak e Cisgiordania

Blinker inarrestabile, due visite-blitz in Irak e, soprattutto, in Cisgiordania. Dopo i colloqui con il leader dell’Autorità Nazionale Palestinese, Abu Mazen, una verifica  sull’impatto, tremendamente negativo, della politica di ‘protezione’ degli insediamenti di coloni abusivi fatta dal governo Netanyahu nella West Bank. Con questioni di credibilità e fiducia Usa nei  confronti delle stesse autorità israeliane. Il Wall Street Journal riporta l’allarme lanciato da funzionari del Dipartimento di Stato. «La vendita di armi da parte degli Stati Uniti alla polizia israeliana solleva preoccupazioni per i diritti umani», titola il WSJ. «Si teme che i fucili possano finire nelle mani dei coloni israeliani, per usarli contro i civili palestinesi». La quotidianità che Blinken è stato costretto ad andare a vedere.

L’arsenale nel Far West Bank

24 mila armi di grosso calibro, che secondo il senatore Chris Van Hollen «potrebbero alimentare la violenza estremista contro palestinesi innocenti». E per questo il rappresentante Dem chiede garanzie, anche perché il Ministro della Sicurezza nazionale israeliana, Ben-Gvir, piace a pochi. Così lo descrive il Wall Street Journal: «È un’icona della destra ultranazionalista e fino al 2020 ha appeso nel suo soggiorno un ritratto di Baruch Goldstein, l’estremista israelo-americano che uccise 29 palestinesi in una moschea della Cisgiordania nel 1994. Ben-Gvir ha suscitato polemiche in ottobre, quando ha pubblicato una serie di immagini sui social media in cui distribuiva armi a gruppi di cittadini in tutto il Paese».

Dubbi e incertezze americane

Dunque, i dubbi da parte americana aumentano, di pari passo con un’offensiva israeliana militarmente discutibile e strategicamente catastrofica. In tutta questa baraonda sanguinolenta, manca qualsiasi barlume di logica sul ‘dopo’. Mentre, per quanto riguarda ‘l’adesso’, Biden sembra in confusione totale: da un lato straparla di ‘tregua umanitaria’ e dall’altro (scrive il New York Times) si dice pronto a entrare in una nuova guerra contro l’Iran.

Non basta: spedisce anche un sottomarino nucleare d’attacco (USS Florida), con 154 missili Tomahawk, nel Mar Rosso, e cede a Israele, alla chetichella (come rivela il WSJ), 320 milioni di dollari di superbombe ‘di precisione’. Per migliorare i bombardamenti aerei. Poveri noi e povera l’umanità.  

07/11/2023

Da Remocontro

Piero Orteca